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Molestia reiterata e tenuità del fatto: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di due datori di lavoro condannati per molestie ai danni di una dipendente. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) non si applica in caso di molestia reiterata, poiché la natura abituale e ripetuta della condotta, consistente in continui pedinamenti e controlli, è incompatibile con il beneficio di legge.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Molestia Reiterata: Quando la “Tenuità del Fatto” non si Applica

L’ordinanza n. 9264 del 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto penale: i limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, specialmente in relazione alla molestia reiterata. La Suprema Corte ha chiarito che quando la condotta molesta assume carattere di abitualità, come nel caso di continui pedinamenti, non è possibile invocare il beneficio previsto dall’art. 131-bis del codice penale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Controllo Continuo e Pedinamenti

Il caso trae origine dalla condanna emessa dal Tribunale di Enna nei confronti di due persone, riconosciute colpevoli del reato di molestia in concorso (artt. 110 e 660 c.p.) ai danni di una loro dipendente. La condotta contestata consisteva nel pedinare e controllare continuamente la persona offesa. Gli imputati, non accettando la condanna, hanno proposto ricorso in Cassazione, basando la loro difesa su un unico motivo: l’erronea applicazione della legge penale per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La Questione Giuridica: Molestia Reiterata e Art. 131-bis

Il nucleo della questione giuridica ruota attorno alla compatibilità tra il reato di molestia, quando posto in essere con azioni ripetute, e l’istituto della particolare tenuità del fatto. Quest’ultimo permette di non punire l’autore di un reato quando l’offesa al bene giuridico tutelato è di minima entità e il comportamento non risulta abituale.

Il Reato di Molestia e la sua Natura

L’art. 660 del codice penale punisce chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. La giurisprudenza ha da tempo chiarito che questo reato non è necessariamente abituale. Può, infatti, essere integrato anche da una sola azione di disturbo, purché ispirata da un motivo riprovevole o da un atteggiamento di petulanza, ovvero un modo di agire pressante e indiscreto che interferisce sgradevolmente nella sfera privata altrui.

Limiti alla Tenuità del Fatto in caso di Molestia Reiterata

Tuttavia, la stessa giurisprudenza, richiamata dalla Corte, sottolinea che l’art. 131-bis c.p. pone un limite chiaro: la non punibilità non può essere applicata ai reati che sono per loro natura abituali né a quelli che, pur non essendolo, vengono posti in essere mediante la “reiterazione della condotta tipica”. In pratica, se un soggetto commette più volte l’azione che costituisce il reato, dimostrando una persistenza nell’illecito, non può beneficiare di uno sconto di pena pensato per episodi isolati e di minima gravità.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha seguito un ragionamento lineare e coerente con i propri precedenti. I giudici hanno evidenziato che il Tribunale di merito aveva correttamente descritto la condotta degli imputati come un comportamento caratterizzato dalla “reiterazione di condotte giudicate moleste”. Il pedinare e controllare “continuamente” la vittima non rappresenta un singolo episodio, ma una serie di atti che, nel loro complesso, integrano il reato.

Secondo la Suprema Corte, questa reiterazione è proprio la circostanza che osta all’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La condotta, essendo divenuta abituale nei fatti, è stata giudicata “incompatibile con la causa di esclusione della punibilità”. Pertanto, il motivo di ricorso è stato considerato manifestamente infondato, in quanto proponeva un’interpretazione della norma in contrasto con il dato normativo e la consolidata giurisprudenza di legittimità.

Le Conclusioni

Con l’ordinanza in esame, la Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la particolare tenuità del fatto è un beneficio riservato a offese lievi e occasionali. Non può diventare uno strumento per depotenziare la risposta sanzionatoria di fronte a comportamenti persecutori o molesti che, proprio attraverso la loro ripetizione, manifestano un disvalore significativo e una maggiore lesività per la vittima. La decisione conferma che la valutazione sulla tenuità non può prescindere dalla modalità complessiva della condotta, e una molestia reiterata, per sua stessa natura, esce dall’ambito applicativo di questa causa di non punibilità.

Quando il reato di molestia non può beneficiare della non punibilità per “particolare tenuità del fatto”?
Secondo la Corte di Cassazione, il beneficio non è applicabile quando il reato di molestia viene realizzato attraverso la reiterazione della condotta tipica, come nel caso di continui pedinamenti e controlli. La natura abituale del comportamento è incompatibile con i presupposti dell’art. 131-bis c.p.

È sufficiente una sola azione per commettere il reato di molestia?
Sì, il reato di molestia di cui all’art. 660 c.p. non è necessariamente abituale. Può essere integrato anche da una sola azione di disturbo o molestia, a condizione che sia ispirata da un motivo biasimevole o abbia il carattere della petulanza (un modo di agire pressante e indiscreto).

Cosa si intende per condotta incompatibile con la “particolare tenuità del fatto” nel caso di specie?
Nel caso esaminato, la condotta incompatibile è stata identificata nel “pedinare e controllare continuamente la persona offesa”. Questa descrizione implica una reiterazione di atti molesti che, nel loro insieme, costituiscono un comportamento abituale, escludendo così la possibilità di applicare la causa di non punibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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