Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10313 Anno 2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 1   Num. 10313  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME COGNOME DI GIURO NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AFRAGOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/02/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla mancata pronuncia assolutoria fino alla data della richiesta di rinvio a giudizio;
uditi i difensori, avvocato NOME COGNOME e avvocato NOME COGNOME, entrambi del foro di NAPOLI, entrambi in difesa di NOME COGNOME, che hanno concluso riportandosi ai motivi e chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 febbraio 2024, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 09/10/2013, ha dichiarato non doversi procedere a carico di numerosi imputati, ai quali erano contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, usura e altro, perchØ i reati per i quali erano stati condannati con la sentenza di primo grado – previa esclusione della contestata aggravante di cui all’art. 7 l.n. 203/91 – si erano frattanto prescritti; ha confermato la sentenza di primo grado con riguardo alle altre statuizioni.
In particolare, in tale procedimento NOME COGNOME era imputato quale associato promotore dell’associazione mafiosa, denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ di Afragola, con condotta a decorrere dal 1998 fino al 2002, e del reato di esercizio abusivo del credito a tassi usurari, fino al marzo 2002.
Il Tribunale di Napoli lo ha assolto da entrambe le imputazioni perchØ i fatti non sussistono.
Avverso tali statuizioni aveva proposto appello la difesa di NOME COGNOME per eccepire la nullità dell’ordinanza del Tribunale di Napoli, emessa all’udienza del 24/01/2012, con la quale era stato autorizzata la modifica dell’imputazione a suo carico da parte del Pubblico ministero; l’originaria imputazione era a contestazione aperta e faceva riferimento a «condotta perdurante», mentre con la modifica della contestazione la permanenza era stata circoscritta fino al 2002 per il
reato associativo e fino a marzo 2002 per l’esercizio abusivo del credito. In tal modo, secondo la difesa, si sarebbe consentita un’inammissibile ritrattazione dell’azione penale, mentre il Pubblico ministero avrebbe dovuto chiedere l’assoluzione per i periodi in cui non erano state raccolte prove a sostegno dell’ipotesi di accusa.
Aveva pure proposto appello il Procuratore della Repubblica per chiedere la riforma della sentenza di assoluzione di NOME COGNOME e la sua condanna per il reato di associazione mafiosa.
I giudici di secondo grado hanno respinto entrambi gli appelli e hanno confermato l’assoluzione di NOME COGNOME, ritenendo legittima la modifica dell’imputazione a suo carico con la delimitazione temporale sopra indicata.
Con due separati atti e con sovrapponibili motivi i difensori di NOME COGNOME hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
La difesa premette che vi Ł interesse all’impugnazione della decisione assolutoria, in quanto la sentenza così emessa, per effetto dell’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 24/01/2012, già impugnata con ricorso per saltum , convertito in appello,e poi confermata con la sentenza della Corte di appello, aveva privato l’imputato del diritto di essere assolto dal reato associativo con cessazione della permanenza alla data di emissione della sentenza di primo grado.
Premette altresì che NOME COGNOME era stato tratto a giudizio con decreto del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, emesso in data 17/10/2006, per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. (con ipotesi di partecipazione al ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘), commesso in Afragola e località limitrofe «a decorrere dal 1998, condotta perdurante». Mentre era in corso questo procedimento il Pubblico ministero aveva elevato nuova contestazione a carico di NOME COGNOME, in relazione alla quale lo aveva sottoposto a fermo con decreto in data 20/04/2011, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (anche in questo caso con ipotesi di partecipazione al ‘RAGIONE_SOCIALE‘), commesso in Afragola, Casoria, Arzano e località limitrofe «a partire dal 2004 e con condotta perdurante»; per questa imputazione era stato poi sottoposto a misura cautelare con ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli in data 20/04/2011, misura cautelare confermata dal Tribunale per il riesame competente, ma successivamente annullata dalla Corte di Cassazione con sentenza in data 29/09/2011 che aveva accolto la censura della difesa in ordine al fatto che per la stessa condotta e con riferimento al medesimo arco temporale NOME COGNOME era già stato rinviato a giudizio per altro procedimento.
Nel primo giudizio di rinvio il Tribunale per il riesame aveva nuovamente confermato la misura cautelare ma anche su questa ordinanza fu presentato ricorso e la Corte di Cassazione con sentenza in data 26/04/2012 ne dispose l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio ravvisando una situazione di litispendenza e affermando il principio per il quale non Ł consentito iniziare per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona un nuovo procedimento per un reato permanente e perdurante, oggetto di precedente procedimento e in assenza di un fatto interruttivo della permanenza.
Dopo questo secondo annullamento nel corso del secondo giudizio di rinvio, il pubblico ministero aveva prodotto documentazione attestante la modifica temporale dell’ipotesi di accusa avanzata a carico di NOME COGNOME nel dibattimento, chiusa fino al 2002, come risultante dal verbale di udienza in data 10/01/2012, il Tribunale per il riesame aveva annullato l’ordinanza applicativa della misura e infine la Cassazione con sentenza in data 14/12/2012 aveva respinto il ricorso del pubblico ministero avverso tale decisione.
Secondo la difesa, la modifica del periodo di permanenza nella contestazione per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. oggetto di questo giudizio sarebbe la «legittimazione a posteriori di un abuso accusatorio» per sanare una nullità di ordine generale di cui all’art. 178, comma 1 lett. b), e
179, commi 1 e 2, cod. proc. pen., nonchØ la violazione dell’art. 50, commi 1 e 3, cod. proc. pen.
E la Corte di appello non si era confrontata con le violazioni denunciate e non si era nemmeno fatta carico di prendere specifica posizione a fronte di un riconosciuto contrasto giurisprudenziale.
Pertanto i difensori hanno articolato le seguenti censure, chiedendo peraltro di rimettere al questione alle Sezioni Unite.
2.1 Con il primo motivo si denuncia la nullità ex artt. 178 e 179 cod. proc. pen. dell’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 24/01/2012 che ha consentito la modifica dell’imputazione fuori dalle ipotesi previste dagli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen. e violazione di legge e totale omessa motivazione da parte della Corte di appello di Napoli ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avendo con essa il Tribunale ratificato l’arbitraria ritrattazione dell’azione penale da parte del Pubblico ministero.
Il Pubblico ministero in una fase avanzata dell’istruttoria dibattimentale, quando erano emersi elementi favorevoli all’imputato con riguardo alla sua estraneità all’ipotesi di reato, anzichØ chiedere l’assoluzione, aveva proceduto alla modifica della contestazione limitando il periodo di permanenza facendo riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 516, 517 e 518 cod. proc. pen., senza che ne ricorressero i presupposti, visto che non era emerso un fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio nØ un reato connesso nØ una circostanza aggravante nØ un fatto nuovo.
Il procedimento di modifica della contestazione previsto per garantire il rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza era stato utilizzato per eludere una pronuncia di assoluzione.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 50, comma 3, 129 e 530 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello omesso di uniformarsi ai principi processuali fissati dalla Corte di Cassazione nella fase incidentale per NOME COGNOME, nonchØ per avere travisato ovvero omesso di valutare principi di diritto favorevoli all’imputato e violato i principi e le categorie processuali.
La Corte di appello aveva eluso in particolare il principio di diritto posto dalla sentenza della Cassazione, Sez. 2, n. 28644 del 26/04/2012, emessa nel corso del sopra richiamato procedimento di riesame, nella quale era stato affermato che nel presente giudizio doveva essere emessa una decisione che sarebbe stata destinata a coprire di giudicato l’intero periodo formalmente in contestazione, sino alla sentenza di primo grado; aveva anche eluso il principio posto da altra sentenza della Cassazione, Sez. 6, n. 1753 del 14/12/2012, pure emessa nel sopra richiamato procedimento di riesame, nella quale era stato affermato che la postuma modifica dell’imputazione non poteva far rivivere il potere di contestare la condotta per un periodo per il quale un precedente esercizio dell’azione penale aveva già prodotto un effetto preclusivo.
La Corte di appello aveva invece richiamato altri precedenti, non pertinenti al caso, e peraltro li avrebbe in parte travisati, omettendone gli argomenti favorevoli all’imputato. In particolare aveva affermato di aderire all’orientamento espresso da Sez. 1, n. 8759 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284212 – 01, che tuttavia contiene affermazioni non dissimili da quelle contenute in Sez. 1, n. 36330 dell’01/06/2022, Rv. 283625 – 01; e questi precedenti avevano escluso la legittimità di una modifica dell’imputazione con la chiusura di una contestazione già formulata come aperta, facendole produrre effetti retroattivi, cioŁ in particolare consentendo di circoscrivere la contestazione ad epoca di gran lunga antecedente alla data in cui la modifica viene formulata dal Pubblico ministero.
Al momento in cui il Pubblico ministero aveva richiesto di modificare l’imputazione, NOME COGNOME si era già difeso dall’accusa di essere partecipe dell’associazione camorristica fino a quel giorno e, sulla base delle evidenze, la pubblica accusa avrebbe dovuto semmai chiedere l’emissione di sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. per il segmento di condotta per la quale non erano emersi elementi a suo carico.
Pertanto i difensori concludevano chiedendo di annullare senza rinvio la sentenza impugnata
nella parte in cui limita la pronuncia assolutoria fino al marzo 2002, estendendola al 09/10/2013 (data della sentenza di primo grado) o, in subordine, al 10/01/2012 (data della avvenuta chiusura della contestazione).
All’udienza del 18/12/2024 il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha concluso rilevando che, alla luce degli orientamenti elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, deve considerarsi illegittima la modifica dell’imputazione del reato permanente con la chiusura della contestazione a data anteriore al deposito della richiesta di rinvio a giudizio. Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente all’omessa pronuncia assolutoria sulla condotta intercorsa tra il 2002 e la data del deposito della richiesta di rinvio a giudizio.
I difensori hanno illustrato il ricorso e hanno insistito nell’accoglimento dei motivi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato e va accolto nei limiti appresso specificati.
La questione controversa attiene alla legittimità della modifica dell’imputazione a carico di NOME COGNOME, autorizzata con ordinanza del Tribunale di Napoli in data 24/01/2012.
2.1 Nel presente procedimento NOME COGNOME era stato tratto a giudizio con decreto del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli, emesso in data 17/10/2006, per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. (con ipotesi di partecipazione al ‘RAGIONE_SOCIALE‘), commesso in Afragola e località limitrofe «a decorrere dal 1998, condotta perdurante»
Nel corso del dibattimento, e in particolare in data 24/01/2012, il pubblico ministero aveva modificato l’imputazione definendo il tempus commissi delicti «a decorrere dal 1998 fino al 2002».
L’ordinanza del Tribunale di Napoli, censurata unitamente alla sentenza della Corte di Appello di Napoli ora impugnata, ha ritenuto legittima la delimitazione a ritroso del periodo di permanenza, mentre la difesa ritiene che sia stata consentita un’inammissibile ritrattazione dell’azione, alla quale il giudice di legittimità deve porre rimedio.
Gli argomenti difensivi sono tratti da alcuni precedenti giurisprudenziali che in realtà non sono vincolanti in questo procedimento perchØ emessi dalla Corte di Cassazione sempre nei confronti di COGNOME ma nell’ambito di altro procedimento le cui vicende si sono intersecate con questo.
2.2 Mentre era pendente il giudizio per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. commesso in Afragola e località limitrofe, con l’originaria contestazione, «a decorrere dal 1998, condotta perdurante», nel corso del 2011, COGNOME era stato indagato e sottoposto a misura cautelare per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. (anche in questo caso con ipotesi di partecipazione al ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘), commesso in Afragola, Casoria, Arzano e località limitrofe «a partire dal 2004 e con condotta perdurante».
Ciò avveniva, dunque, quando era pendente già a suo carico il presente procedimento nel quale era stata esercitata l’azione penale per il reato associativo con contestazione aperta, quindi con condotta perdurante alla data di emissione a suo carico della misura cautelare.
Tale circostanza aveva indotto la Corte di Cassazione (sez. 6, n. 40672 del 29/09/2011, n.m.) ad annullare l’ordinanza confermativa del provvedimento cautelare e a rinviare al Tribunale del riesame per nuovo giudizio, in particolare ribadendo «il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, nell’ipotesi di litispendenza tra procedimenti nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero, anche se pendenti in fase o grado diversi, che abbiano ad oggetto il medesimo fatto attribuito alla stessa persona, viene a configurarsi una preclusione, fondata sul principio generale del ne bis in idem , che determina l’impromovibilità dell’azione penale nel secondo procedimento (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005,
Donati,  Rv.  231800).  Ne  consegue  pertanto  che,  in  presenza  di  una  siffatta  situazione  di litispendenza, non Ł consentito iniziare per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona un nuovo procedimento e adottare in tale ambito un provvedimento cautelare personale».
2.3 Mentre era pendente il giudizio di rinvio dinanzi al Tribunale del riesame, il pubblico ministero aveva proceduto nell’altro giudizio alla modifica dell’imputazione di reato associativo dal 1998 con condotta ancora perdurante e aveva delimitato il tempus commissi delicti al 2002.
Nel giudizio di rinvio dinanzi al Tribunale del riesame era stato prodotto il verbale dell’udienza del 24/01/2012 per dimostrare l’avvenuta delimitazione della contestazione al 2002 e sostenere il venir meno della litispendenza segnalata dalla Corte di Cassazione.
Dopo un’ulteriore decisione di conferma della misura cautelare, basata in realtà sull’affermazione della sussistenza di due diverse associazioni mafiose contestate a COGNOME nei due paralleli procedimenti, affermazione tuttavia cassata dal giudice di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 28644 del 26/04/2012, COGNOME, Rv. 253416 – 01), quella medesima misura cautelare era stata annullata e con la sentenza (Sez. 6, n. 1753 del 14/12/2012, dep. 2013, n. m.) che definitivamente concludeva il procedimento de libertate veniva affermato quanto segue: «ricostruito il principio di preclusione in termini di consumazione del relativo potere già esercitato – e precisato che la sua sussistenza va valutata al momento della proposizione della domanda – Ł di tutta evidenza che nessuna idoneità a far rivivere tale potere può attribuirsi alla postuma modificazione dei termini del suo esercizio, secondo una scelta insindacabile dell’organo titolare. In altri e piø concreti termini direttamente riferiti al caso che ci occupa: altrimenti opinando si riconoscerebbe in capo al pubblico ministero la potestà di conformare ad libitum l’esercizio dell’azione penale, anche attraverso la duplicazione dei procedimenti mediante il frazionamento temporale della condotta permanente connaturata al delitto associativo secundum eventum , ovvero in rapporto ad esigenze cautelari che si intendano perseguire, pur in violazione del fondamentale principio espresso dalla preclusione in parola».
2.4 Orbene i principi di diritto posti dalle decisioni di legittimità sin qui richiamate ed emesse su ricorso dei difensori di COGNOME nell’ambito del successivo procedimento non riguardano l’imputazione oggetto di questo procedimento. SicchŁ la doglianza in ordine al fatto che i giudici di merito di questo giudizio non vi siano conformati Ł in questi termini del tutto inconducente.
Non si può infatti prefigurare alcuna vincolatività di esse.
La misura cautelare, con riguardo alla quale quelle sentenze si pronunciano, era stata emessa quando l’azione penale era ancora improcedibile perchØ la contestazione era aperta; a conclusione di quel procedimento Ł stato affermato il principio per il quale anche la modifica della contestazione nel procedimento già pendente successiva al momento in cui era stato iniziato il procedimento per lo stesso fatto non poteva rimuovere gli effetti processuali già prodottisi per effetto della precedente preclusione.
Ma da ciò nessuna implicazione necessaria in ordine alla legittimità o alla illegittimità della modifica dell’imputazione può farsi derivare, avendo tali statuizioni ad oggetto solo gli effetti eventualmente prodotti da tale modifica sulla procedibilità dell’azione penale nel secondo giudizio; effetti che non potevano sanare o far venir meno l’improcedibilità già determinatasi.
Nella vicenda riguardante COGNOME, cioŁ, decisivo era stato considerato il fatto che la modifica dell’imputazione era intervenuta dopo che la preclusione si era verificata; si era affermata cioŁ non l’irretrattabilità del primo esercizio dell’azione penale nella delimitazione della contestazione ma l’immodificabilità degli effetti preclusivi già prodotti per il tramite della modifica della precedente contestazione.
2.5 Peraltro in tempi piø recenti Ł stato escluso qualsiasi spazio di incursione per il giudice del successivo procedimento su quello precedente con il quale si Ł determinata la litispendenza, affermando che «in tema di “bis in idem” cautelare, dopo che il giudice della cognizione del
procedimento principale asseritamente preclusivo abbia consentito al pubblico ministero di “chiudere” la contestazione “aperta” del reato associativo, così accettando la delimitazione temporale del ” thema decidendum “, il giudice del subprocedimento cautelare non può sindacare quella decisione – allo stato esistente ed efficace, ancorchØ non irrevocabile – nØ eventualmente disapplicarla in via incidentale per affermare che il primo processo abbraccia un ulteriore periodo di tempo rispetto a quello ritenuto dal giudice della cognizione, poichØ compete a quest’ultimo evitare eventuali abusi e verificare che la perimetrazione dell’imputazione non si traduca in un’inammissibile ritrattazione dell’azione penale» (Sez. 5, n. 20045 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284674 – 01; mette appena conto precisare che tale sentenza Ł stata emessa nell’ambito di un procedimento cautelare sempre a carico dello stesso COGNOME per un terzo titolo con ordinanza emessa il 09/04/2022, quindi dopo la modifica dell’imputazione, e in questo terzo procedimento la contestazione di cui all’art. 416bis cod. pen. aveva decorrenza dal 2011 e condotta perdurante fino al 2019).
Resta quindi da verificare se ed entro che limiti la modifica dell’imputazione in ordine alla permanenza della condotta associativa da parte del pubblico ministero potesse essere autorizzata dal Tribunale; verifica che va effettuata autonomamente rispetto ai decisa del procedimento nel quale Ł stata ravvisata la sussistenza del bis in idem .
Il regime processuale delle contestazioni dei reati permanenti Ł stato da tempo delineato, distinguendo quelle nelle quali viene indicato un preciso limite temporale entro il quale si sia esaurita la condotta o piø semplicemente si debba esaurire l’accertamento della condotta (c.d. contestazioni ‘chiuse’) e quelle nelle quali tale limite temporale non Ł indicato (c.d. contestazioni ‘aperte’).
Con riferimento al primo caso si Ł affermato che «qualora nel capo di imputazione contenuto nel decreto di rinvio a giudizio relativo ad un reato permanente si contesti una durata della permanenza precisamente individuata nel tempo, quanto meno nel suo momento terminale, il giudice può tener conto del successivo protrarsi della consumazione soltanto qualora esso sia stato oggetto di un’ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516 cod. proc. pen.; la posticipazione della data finale della permanenza, infatti, incide sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della pena e può condizionare l’operatività di eventuali cause estintive» (Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, P.m. in proc. Polizzi, Rv. 199171 – 01).
Nelle contestazioni chiuse, quindi, alla cognizione del giudice Ł consegnata dal pubblico ministero solo una parte della consumazione, anche se la condotta si Ł protratta e continua a protrarsi durante il processo, e la sentenza, per il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non potrà valere come accertamento del segmento di permanenza successivo alla data indicata nell’imputazione.
Solo la modifica dell’imputazione con l’indicazione di un nuovo limite temporale spostato in avanti o piø semplicemente con la sua rimozione (a mezzo di formula che evochi anche la condotta in atto) potrà consegnare nella prima eventualità alla cognizione del giudice un piø ampio periodo di permanenza o nella seconda eventualità (con la contestazione ‘aperta’) tutto il periodo di permanenza fino al momento in cui emetterà la sua decisione.
Invece quando il capo di imputazione contenuto nel decreto di rinvio a giudizio relativo ad un reato permanente si limiti ad indicare soltanto la data iniziale del fatto o quella della denuncia, ma non anche la data di cessazione della permanenza, l’originaria contestazione si estenderà automaticamente e progressivamente, per l’intrinseca natura di tale reato che lo rende idoneo a durare nel tempo, all’intero sviluppo della fattispecie criminosa.
In tal caso, quindi, non Ł necessaria alcuna modifica dell’imputazione per consentire al giudice di conoscere anche dei segmenti di permanenza successivi al rinvio a giudizio, perchŁ l’imputato Ł
chiamato a difendersi, fin dall’ origine, non soltanto in ordine alla parte già realizzatasi di tale fattispecie, ma anche con riguardo a quella successiva (in quanto perdurante) fino alla cessazione della condotta o dell’offesa e comunque non oltre la sentenza di primo grado (così ancora Sez. U, n. 11930 del 11/11/1994, cit. che considera non necessaria la modifica dell’imputazione anche nel caso in cui la contestazione indichi la data di accertamento e non il periodo di commissione).
Come Ł stato ulteriormente precisato «poichØ la contestazione del reato permanente, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell’accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell’imputazione, sicchØ l’interessato Ł chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione Ł data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale», perchØ «la contestazione del reato permanente assume una sua ” vis expansiva ” fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perchØ in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perchØ le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l’omogeneità e l’assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione» (Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211385 – 01)
In questi termini anche il giudice delle leggi ha avuto modo di affermare che in caso di contestazione ‘aperta’ «la protrazione della condotta nel corso del processo deve ritenersi compresa nella contestazione, con la conseguenza che il giudice può pronunciarsi su di essa senza necessità di contestazioni suppletive da parte del titolare dell’azione penale. La vis espansiva della contestazione alla condotta successiva incontra, peraltro, un limite ultimo, rappresentato dalla pronuncia della sentenza di primo grado. Tale sentenza cristallizza, infatti, in modo definitivo l’imputazione, la quale non può piø essere modificata nei gradi di impugnazione, impedendo così che, in quel processo, possa formare oggetto di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva»(Corte Cost. n. 53 del 07/02/2018).
Sulla scorta di questi principi appare chiaro dunque che una contestazione ‘aperta’ Ł ammissibile e non pregiudica il diritto di difesa, perchØ l’imputato Ł chiaramente edotto del fatto che gli viene attribuita una condotta che si intende perdurante durante tutto il corso del giudizio di primo grado e potrà essere chiamato a difendersi anche da ogni elemento ulteriore relativo al periodo anche successivo all’elevazione dell’imputazione.
Una contestazione ‘chiusa’ potrà essere ‘aperta’ a seguito di modifica dell’imputazione ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen. o in forza della stessa disposizione potrà essere diversamente delimitata sul piano temporale, spostando in avanti la data di chiusura per consentire l’accertamento di un successivo segmento della condotta.
Ma la questione controversa di questo giudizio riguarda l’ipotesi inversa, cioŁ quella in cui la ‘chiusura’ della contestazione ‘aperta’ derivi non dall’interruzione giudiziale data dalla sentenza di primo grado e nemmeno dall’accertamento contenuto in sentenza di un diverso e piø limitato arco temporale di permanenza rispetto a quello tracciato dalla contestazione, ma venga prodotta dall’iniziativa del pubblico ministero che si avvalga dei poteri di cui all’art. 516 cod. pen. e modifichi la contestazione ‘aperta’, chiudendola ad una certa data.
 Il  Procuratore  Generale ha ritenuto che la modifica dell’imputazione chiudendo una contestazione ‘aperta’ e comunque retrodatandola, dopo che l’azione penale sia stata esercitata,
sia legittima e possibile entro certi limiti e ha richiamato proprio degli snodi motivazionali di Sez. 5, n. 20045 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284674 – 01; in effetti la decisione, pur non occupandosi della questione (anzi basandosi sul fatto che non Ł nel procedimento cautelare che si deve valutare la legittimità della modifica dell’imputazione effettuata nell’ambito di altro procedimento), non manca di dedicare un ampio obiter dictum al tema, affermando che la giurisprudenza di legittimità si attesta su un orientamento che ritiene consentito al pubblico ministero di modificare l’imputazione ‘chiudendo’ la contestazione aperta.
Vi si fa in particolare riferimento a Sez. 1 n. 8759 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284212; Sez. 2, n. 36376 del 23/06/2021, Cimini, Rv. 282015; Sez. 5, n. 37850 del 03/04/2019, COGNOME, n.m.
In base ai principi da esse ricavabili, afferma la sentenza in esame, «la delimitazione del ” tempus commissi delicti ” del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso inizialmente contestato in forma “aperta”, operata dal pubblico ministero in udienza, quale forma anticipata di interruzione giudiziale della permanenza, non integra una ritrattazione dell’azione penale, atteso che per tale deve intendersi solo l’iniziativa unilaterale del pubblico ministero volta ad eliminare elementi essenziali o circostanziali dell’imputazione sottoposta al vaglio del giudice con l’esercizio dell’azione penale».
Con riferimento ad ipotesi di tal fatta, deve considerarsi «consentito al titolare della funzione d’accusa, operare scelte processuali funzionali a detto esercizio, esplicandosi in tal modo un poteredovere che, nella fattispecie in esame, non ha inciso, violandolo, sul principio di irretrattabilità dell’azione penale di cui all’art. 50, comma 3, cod. proc. pen. E’ noto, infatti, che Ł inibito, al pubblico ministero, di procedere alla “riduzione” del fatto contestato ad ipotesi meno grave, in modo autonomo, mediante un’attività di mera correzione o di riqualificazione delle condotte. Ciò in quanto Ł precluso al rappresentante della pubblica accusa, nel corso del dibattimento, intervenire mediante una formale modificazione del capo di imputazione, formulato con il rinvio a giudizio, sostituendosi ad un potere proprio del giudice, riqualificando in modo autonomo l’imputazione (Sez. 2, n. 18617 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269743 – 01; Sez. 2, n. 6905 del 11/11/2009, Rv. 246451; Sez. 4, n. 26653 del 22/04/2009, COGNOME, Rv. 244505 – 01; Sez. 5, n. 9806 del 13/02/2006, COGNOME, precedenti tutti relativi a modifica dell’imputazione inerente all’esclusione di aggravanti contestate con l’originaria imputazione). Nella specie, tuttavia, aver precisato il dies ad quem di una condotta associativa, già contestata come permanente, senza formale modificazione dell’imputazione, che resta, per come circostanziata, la medesima nel senso sopra precisato, non integra la denunciata indebita “riduzione” del fatto, da parte del pubblico ministero».
L’orientamento veniva proposto come incontrastato, salvo che per un unico precedente (Sez. 1, n. 36330 del 01/06/2022, COGNOME, Rv. 283625 – 01), che aveva escluso che il pubblico ministero, una volta esercitata l’azione penale, potesse delimitare il tempus commissi delicti del delitto associativo originariamente contestato in forma “aperta”, in quanto ciò avrebbe determinato la sottrazione al vaglio del giudice di una porzione temporale dell’imputazione.
Il precedente, tuttavia, era rimasto isolato e subito accantonato a seguito di Sez. 1 n. 8759 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, che aveva ribadito l’orientamento maggioritario.
Occorre, tuttavia, individuare i binari di sistema sui quali l’esercizio di questo potere del pubblico ministero deve essere collocato anche per individuare eventuali limiti ai quali non debba essere sottratto. E ciò sarà piø agevole anche confrontando, nei precedenti sin qui citati, il principio affermato con le concrete fattispecie processuali dalle quali Ł scaturito.
Il riferimento di sistema alla luce del quale esaminare la questione resta sempre la natura stessa del reato permanente, chiaramente definita da Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211385 – 01 che, a sua volta, muove dalle considerazioni di Corte Cost. n. 520 del 26/11/1987.
Il giudice delle leggi aveva infatti affermato che «la natura permanente o istantanea del reato non può dipendere da esplicita e apodittica qualificazione del legislatore, ma dalla sua naturale essenza, trattandosi di un carattere che inerisce alla qualità della condotta così come si presenta nella realtà»; quando il perdurare nel tempo della condotta rientra nella sua essenza e quindi nel fatto tipico si Ł in presenza di reato permanente e la consumazione non può cessare se non quando, per fatto del reo o di un terzo, viene ad esaurirsi la situazione antigiuridica.
Da ciò deriva la struttura unitaria del reato permanente, nel quale il continuum Ł  una componente naturale, a differenza di quanto accade nel reato continuato, nel quale deriva da un’artificiale costruzione normativa.
Alle caratteristiche ontologiche della condotta illecita da perseguire devono adattarsi le regole di procedura in materia di contestazione e di corrispondenza tra accusa e sentenza. Per questo la contestazione può selezionare una porzione piø o meno estesa dell’elemento temporale del perdurare della condotta, ma può anche enunciare il fatto illecito perdurante senza delimitarlo nel tempo e in base alle regole del processo la porzione oggetto della cognizione del giudice sarà delimitata dalla pronuncia che lo accerta; e in ragione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la sentenza non potrà che avere ad oggetto la condotta che si Ł protratta fino al momento della pronuncia. Salvo appunto che la richiesta del pubblico ministero non abbia selezionato un preciso periodo così lasciando al di fuori del processo l’eventuale ulteriore protrazione.
Pur essendovi, tra la condotta precedente e il successivo protrarsi di essa, un nesso inscindibile per la genesi comune, l’omogeneità e l’assenza di soluzione di continuità, i confini dell’accertamento giudiziale o sono definiti da una contestazione temporalmente precisa o sono resi invalicabili dall’emissione della sentenza.
Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, tuttavia, fonda tali principi sul superamento della summa divisio che si limita a distingue fatti accaduti e fatti da accadere e che non tiene conto di una terza categoria rilevante ai fini della contestazione del reato permanente, cioŁ i fatti in via di accadimento.
Se Ł pur vero che l’imputazione (e quindi la cognizione nel processo) può avere ad oggetto i fatti accaduti, mentre non possono trovarvi ingresso (nØ nell’imputazione nØ quindi nel processo) i fatti da accadere, pena un’irrimediabile lesione del diritto di difesa, nell’imputazione (e quindi nella cognizione del processo) possono trovare ingresso senza alcun pregiudizio per le garanzie dell’imputato i fatti in via di accadimento, che si protraggono ininterrottamente fino alla sentenza senza autonomia ma come semplice manifestazione tipica del reato contestato, al di fuori del quale non assumono rilevanza.
La contestazione Ł «la descrizione del fatto come esso si Ł svolto (o si va svolgendo) in rerum natura per cui quando esso Ł descritto quale Ł per sua intrinseca natura, ossia come reato che perdura nel tempo e perciò permanente, la permanenza Ł già insita nella sostanza del fatto contestato ed Ł da questa inseparabile, non potendo essere degradata a mero elemento accidentale o ad una sorta di post-fatto la cui punibilità richieda a sua volta una ulteriore ed ultronea contestazione» (Sez. U, COGNOME, cit.).
SicchŁ alla luce di questo insegnamento deve dedursi che man mano che trascorre il tempo, prima della sentenza di primo grado, il fatto in via di accadimento entra nella contestazione ‘aperta’ giorno  per  giorno  nello  snodarsi  della  sua  permanenza,  perchØ  la  descrizione  che  ne  fa l’imputazione la ricomprende e la attrae, senza alcuna sorpresa e senza alcun pregiudizio per la difesa.
La successiva delimitazione della contestazione certamente non introduce un fatto nuovo se riguarda il tempo di permanenza già trascorso e non sottrae cognizione al giudice che procede
rispetto al tempo di permanenza successivo, proprio perchØ ancora non Ł trascorso.
La questione si fa piø complessa quando tale delimitazione sottrae dall’imputazione ‘aperta’ un periodo di permanenza che frattanto si Ł già compiuto e fissa a ritroso il confine entro il quale deve considerarsi limitata la cognizione del giudice, come accaduto nella vicenda in esame.
SicchŁ una frazione della condotta che in astratto avrebbe potuto essere già oggetto di cognizione, perchØ in via di accadimento durante il giudizio, non lo sarà piø, perchØ l’intervento del pubblico ministero sull’imputazione l’ha espunta dalla descrizione in essa contenuta.
Con riguardo a questa frazione resta  ancora  da  verificare  se  vi  sia  un’inammissibile ritrattazione dell’azione penale e se, come sostiene la difesa, ci sia un contrasto che renda necessario l’intervento delle Sezioni unite.
Occorre quindi adesso esaminare le decisioni che sostengono che di ritrattazione non si tratti, tenendo conto del fatto che l’orientamento che ravvisi in un’ipotesi del genere una ritrattazione dell’azione penale non ammessa si riconduce ad un solo precedente di legittimità.
Secondo Sez. 2, n. 36376 del 23/06/2021, Cimini, Rv. 282015, la ridefinizione del tempo di commissione del delitto associativo, attraverso un intervento di “chiusura” dell’imputazione inizialmente strutturata come “aperta”, non si traduce nella revoca nØ integrale, nØ parziale della richiesta che siano sottoposte a vaglio giudiziale le condotte contestate, immutate pur nella loro ridefinita dimensione temporale. Non si tratterebbe di una illegittima ritrattazione della richiesta di giudizio sulle ipotetiche condotte consumate nell’arco temporale che intercorre tra la data indicata quale “chiusura” e la pronuncia della sentenza di primo grado (evento che avrebbe, comunque, “chiuso” formalmente l’imputazione), ma sarebbe piuttosto una precisazione nella delimitazione temporale della condotta delittuosa, che resta immutata nei suoi essenziali elementi costitutivi.
In quest’ottica non sarebbe nemmeno necessario procedere ad una rituale modifica dell’imputazione ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., poichØ «l’identificazione precisa del tempo in cui si Ł manifestata la condotta illecita, infatti, non sempre ha rilevanza decisiva per l’identificazione della condotta contestata; e soprattutto non sempre la sua modifica, o precisazione, produce una violazione del diritto di difesa. Pertanto l’eventuale lesione del diritto difesa non può essere ritenuta come il generale correlato della mancata applicazione dello statuto codicistico previsto per la modifica dell’imputazione, ma deve essere valutata caso per caso, attraverso l’analisi delle specifiche circostanze del caso concreto».
Nel quel giudizio, in cui Ł stato affermato tale principio, durante l’istruzione dibattimentale il pubblico ministero aveva ‘chiuso’ la contestazione ad epoca antecedente e, secondo i giudici di merito, con valutazione condivisa dai giudici di legittimità di quel procedimento, la mancata attivazione dello strumento di cui all’art. 516 cod. proc. pen. non aveva pregiudicato le garanzie dell’imputato, perchØ l’imputazione già elevata era stata solo resa piø precisa e circoscritta, restringendo «l’arco temporale entro il quale l’accusa ha ritenuto che siano state poste in essere le condotte rilevanti, consentendo una migliore espressione del diritto di difesa, che ha potuto essere esercitato nei confronti di condotte specifiche identificate in modo indipendente dai tempi di definizione del primo grado di giudizio».
In quella decisione la Suprema Corte non ha trascurato il fatto che la nuova delimitazione del periodo di permanenza potesse produrre effetti di violazione del principio di ne bis in idem , ma ha ritenuto che la questione non dovesse essere affrontata in mancanza della deduzione di uno specifico interesse processuale in relazione ad uno dei due procedimenti.
Tale decisione, pertanto, fa emergere come la questione non vada affrontata nell’ottica dell’irretrattabilità dell’azione penale ma del controllo del giudice sull’intervento del pubblico ministero di precisazione o di modificazione della contestazione ‘aperta’, al fine di verificare, nel
caso concreto e in forza di valutazioni sorrette da adeguata argomentazione logico-fattuale, se esso Ł aderente agli originari scopi della descrizione imputativa, se il corso dell’istruzione dibattimentale la giustifica e se vi sono garanzie difensive o interessi processuali specifici anche derivanti da altri procedimenti pendenti che possano essere pregiudicati.
Gli stessi argomenti così delineati già si stagliavano in una precedente pronuncia richiamata sul tema, Sez. 5, n. 37850 del 03/04/2019, COGNOME, n.m., dove espressamente si afferma che, a fronte dell’indicazione di una data di chiusura in una contestazione aperta da parte del pubblico ministero (anche in quella vicenda processuale non si procedette ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen.), ne vada «verificata caso per caso l’incidenza, nell’economia complessiva del fatto, dovendosi ad essa attribuire un rilievo marginale tutte le volte in cui non incida sulle possibilità dell’individuazione del fatto da parte dell’imputato e del conseguente esercizio del diritto di difesa».
E con riguardo ai procedimenti cautelari nella medesima direzione si indirizza Sez. 6, Sentenza n. 51803 del 17/10/2018, Iazzetta, Rv. 274577.
In linea di continuità con questi principi si pone Sez. 1, n. 8759 del 25/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284212 – 01, secondo la quale «la delimitazione del “tempus commissi delicti” del delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso inizialmente contestato in forma “aperta”, operata dal pubblico ministero in udienza, quale forma anticipata di interruzione giudiziale della permanenza, non integra una ritrattazione dell’azione penale, atteso che per tale deve intendersi solo l’iniziativa unilaterale del pubblico ministero volta ad eliminare elementi essenziali o circostanziali dell’imputazione sottoposta al vaglio del giudice con l’esercizio dell’azione penale».
Questa decisione, consapevole del diverso orientamento circa l’irretrattabilità della contestazione aperta in corso di giudizio, espresso da Sez. 1, n. 36330 del 01/06/2022, COGNOME, Rv. 283625 – 01 (come già detto, rimasta allo stato isolata), opta per la linea esegetica favorevole alla delimitazione dell’imputazione, perchØ la considera piø persuasivamente argomentata e perchØ la ritiene ben piø saldamente innestata sui principi posti da Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, COGNOME, valorizzando il fatto che la contestazione aperta coinvolge ‘fatti in accadimento’ (oltre a fatti del passato e fatti coevi), ma, come ogni esercizio dell’azione penale, non può coinvolgere fatti futuri.
E siccome il fatto Ł in accadimento, considera una forma ordinaria di specificazione della contestazione, al pari della sentenza, anche l’intervento del pubblico ministero che ad una certa data ‘chiude’ la contestazione ‘aperta’.
Nella vicenda processuale oggetto di questa sentenza, veniva invocato il bis in idem rispetto ad altro  precedente procedimento nel quale la contestazione originariamente aperta, e quindi potenzialmente idonea a protrarsi in un periodo oggetto della contestazione del successivo giudizio, era stata ‘chiusa’ dal pubblico ministero retrodatandola a cinque anni prima dell’udienza questa modifica era stata effettuata.
Questa modifica nel precedente procedimento, frattanto definito con sentenza irrevocabile, era stata considerata del tutto legittima; se ne era occupata in particolare Sez. 5, n. 37850 del 03/04/2019, COGNOME, n.m., sopra citata, che ribadiva l’orientamento sin qui dimostratosi prevalente.
Nel secondo giudizio la Corte territoriale aveva comunque controllato gli effetti di quella delimitazione della contestazione, ritenendo legittima la chiusura della contestazione solo alla data della modifica dell’imputazione e disattendendo la richiesta della difesa di ritenere la contestazione comunque estesa ad una permanenza fino alla data della sentenza di primo grado.
Sulla scelta dei giudici di merito la Cassazione si limita ad evidenziare che incide su questione già oggetto di un giudicato, che avrebbe dovuto fare stato nel procedimento successivo (nella sentenza emessa nel precedente procedimento era divenuto irrevocabile l’accertamento alla data indicata dal pubblico ministero, precedente a quella dell’udienza), ma, non essendovi sul punto
specifica censura, tale profilo non Ł stato approfondito.
Tuttavia i giudici di legittimità hanno voluto sottolineare che «l’unica ipotesi in cui la “chiusura” dell’imputazione comporta la indebita ritrattazione dell’azione penale Ł, infatti, quella, in cui essa arrivi addirittura ad individuare come data finale di consumazione del reato una data antecedente a quella (…) in cui l’azione penale era stata effettivamente esercitata dal pubblico ministero, non per fictio , nØ per vis espansiva , ma a seguito di un provvedimento tipico previsto dal sistema processuale, ipotesi che non si verifica nel caso in esame che, in mancanza di ricorso del pubblico ministero, giudica di una restrizione della condotta che Ł stata limitata dalla Corte d’appello al 27 settembre 2012, data in cui era già aperto il dibattimento di primo grado del processo a monte.»
Sulla base di queste premesse e in continuità con questo orientamento, senza ravvisare alcun significativo contrasto meritevole dell’intervento delle Sezioni unite, il Collegio ritiene che si debba riconoscere al pubblico ministero la facoltà di precisare i confini temporali della condotta contestata in permanenza, ma che occorra recuperare ogni utile spazio per il controllo da parte del giudice sull’intervento della parte pubblica.
Dopo avere elevato un’imputazione per un fatto in accadimento che prosegue per tutto il periodo in cui la contestazione non viene precisata, il pubblico ministero deve fare i conti con l’effetto espansivo che si Ł prodotto, riempiendo l’imputazione medesimo del perdurare della condotta.
E’ pertanto coerente con questa premessa l’orientamento che, se da un lato ritiene possibile una precisazione temporale dei tempi di permanenza a ritroso anche senza il ricorso alla disciplina dell’art. 516 cod. proc. pen. (non essendoci fatto diverso), d’altro canto impone una verifica della rispondenza della specificazione alle finalità del giudizio e alle garanzie per l’imputato e il giudice deve verificare, nel contraddittorio, che il pubblico ministero non sposti nØ arbitrariamente nØ per immotivato esercizio discrezionale gli ambiti temporali senza confrontarsi con esse.
Non va dimenticato che la contestazione aperta comporta il dovere del giudice di accertare anche i tempi di durata della condotta permanente, sicchŁ la sentenza sarà atto interruttivo se il giudizio abbia consentito di acquisire elementi che facciano ritenere perdurante la condotta anche dopo l’esercizio dell’azione penale. In caso contrario deve essere il giudice a delimitare la data di consumazione e indicare fino a quando il reato può dirsi commesso.
L’iniziativa di precisazione o di modifica del pubblico ministero si inserisce in questo sistema e deve pertanto essere idonea ad essere vagliata dal giudice in relazione al giudizio in cui viene effettuata: come emerso nei precedenti sopra esaminati, il pubblico ministero può delimitare ad una data precisa in ragione delle emergenze processuali, dello stagliarsi di fatti sintomatici piø precisi in un certo periodo, del modificarsi del quadro probatorio, della rilevata imprecisione emendabile del capo di imputazione come originariamente formulato, solo per fare qualche esempio.
In assenza di questi elementi che ancorino ad un periodo determinato l’ipotesi di accusa, il perdurare della condotta deve ritenersi consustanziale ad essa e da essa assorbita e la ‘chiusura’ della contestazione potrà avvenire in maniera non altrimenti motivata solo delimitando la durata alla data in cui la scelta del pubblico ministero viene esercitata.
Il pubblico ministero, in assenza di altre ragioni che consentano una diversa delimitazione, può sottrarre alla cognizione solo le porzioni di accadimento che ancora non si sono verificate.
Solo in questo caso il pubblico ministero non sarà tenuto a motivare la scelta di datazione e il giudice  non  sarà  tenuto  ad  uno  specifico  controllo  sull’intervento  della  parte  pubblica sull’imputazione, perchØ solo in questo caso può essere del tutto escluso qualsivoglia rischio manipolativo.
Conseguentemente, quando il pubblico ministero eserciti la facoltà di definire temporalmente una contestazione aperta, essa deve considerarsi automaticamente valida alla data in cui viene
effettuata la modifica di chiusura e, se la retrodatazione formulata dal pubblico ministero ad epoca antecedente non Ł sorretta da adeguati elementi giustificativi, l’interruzione deve considerarsi prodotta a decorrere dall’udienza in cui la parte pubblica ha manifestato la volontà di sottrarre alla cognizione di quel giudizio gli accadimenti futuri.
Nella vicenda in esame i giudici di merito hanno ritenuto sostanzialmente insindacabile la scelta del pubblico ministero di definire il tempus commissi delicti «a decorrere dal 1998 fino al 2002» e non si sono confrontati con gli elementi che potevano giustificare una retrodatazione così lontana e di dieci anni antecedente (e che peraltro nemmeno erano stati dedotti), quando all’udienza del 24/01/2012 la parte pubblica aveva proceduto alla modifica dell’imputazione.
In ragione dei principi sin qui esposti, pertanto, la delimitazione temporale effettuata dal pubblico ministero con riguardo alla contestazione del reato associativo a carico di COGNOME poteva ritenersi legittima solo alla data del 24/01/2012, quando Ł stato esercitata la facoltà insindacabile del pubblico ministero di ‘chiudere’ la contestazione ‘aperta’.
Ne consegue che la sentenza impugnata e quella di primo grado da essa confermata vanno annullate nella parte in cui hanno limitato la cognizione e la conseguente assoluzione di NOME COGNOME dal delitto di cui al capo A) al periodo dal 1998 al marzo 2002.
E poichŁ non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può provvedere, ai sensi dell’art. 620 lett. l) cod. proc. pen., a pronunciarsi sull’arco temporale sul quale i giudici di merito non hanno statuito e conseguentemente estendere la statuituizione assolutoria in favore di COGNOME anche al periodo successivo al marzo 2002 e fino al 24 gennaio 2012, data di udienza in cui Ł stata definita l’imputazione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella del Tribunale di Napoli del 9 ottobre 2013 nella parte in cui viene limitata l’assoluzione di COGNOME NOME dal delitto di cui al capo a) al periodo dal 1998 al marzo 2002, anzichØ al periodo dal 1998 al 24 gennaio 2012.
Così Ł deciso, 18/12/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME