Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33834 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33834 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nata a Venezia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/09/2024 della Corte di appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore della parte civile “RAGIONE_SOCIALE” di RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha deposita conclusioni scritte e nota spese; udito il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
NOME, con atto del proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Venezia indicata in epigrafe, che ne ha confermato la condanna per il delitto di peculato continuato, per essersi appropriata di somme versatele
dagli utenti a titolo di diritti di segreteria, nell’esercizio delle sue funzion impiegata presso la RAGIONE_SOCIALE.
Il suo ricorso consta di un unico motivo, vale a dire della riproposizione dell’eccezione di nullità del decreto che ha disposto il giudizio e degli atti successivi e consequenziali, per l’indeterminatezza del capo d’imputazione, tale da aver determinato il Pubblico ministero, nel corso del dibattimento, ad integrarlo per ben due volte, specificando l’ammontare complessivo delle somme oggetto di appropriazione nonché correggendo l’indicazione del luogo e della data di commissione dei reati.
Tali successivi interventi correttivi – deduce la difesa – non possono sanare l’indeterminatezza originaria dell’imputazione e, quindi, la nullità dell’atto di citazione in giudizio, potendo essi giustificarsi solamente qualora conseguano a nuove emergenze dibattimentali, mentre non è consentita la formulazione di un capo d’imputazione “in bianco” (testuale) in presenza di circostanze di fatto già risultanti dalle indagini e non modificatesi nel corso del dibattimento.
Ha depositato memoria scritta la Procura AVV_NOTAIO, chiedendo di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato e, perciò, non è ammissibile.
L’art. 516, cod. proc. pen., si limita a prevedere la possibilità per il Pubblico ministero di modificare l’imputazione “se nel corso dell’istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio”, senza specificare se tale diversità debba essere il prodotto di novità emerse dall’istruttoria dibattimentale o possa derivare da una differente valutazione di elementi già acquisiti durante la fase investigativa. La preoccupazione del legislatore, infatti, è soltanto quella di consentire all’imputato di apprestare adeguate difese rispetto al “nuovo” addebito e di garantire costantemente una perfetta correlazione tra accusa e decisione, esigenze comunque assicurate dalle garanzie e dalle sanzioni processuali previste dagli artt. 519 – 522, cod. proc. pen..
Del resto, la giurisprudenza di legittimità è ormai da tempo ferma nel ritenere che, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516, cod. proc. pen., come pure la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui al successivo art. 517, possano essere effettuate
dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal Pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari (così Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757, e, fra molte altre successive, Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264903; Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, COGNOME, Rv. 259857; Sez. 6, n. 18749 del 11/04/2014, COGNOME., Rv. 262614 Sez. 6, n. 44980 del 22/09/2009, COGNOME, Rv. 245284).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. peri. – la condanna della proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
Per effetto dell’integrale soccombenza, la ricorrente va altresì condannata alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla parte civile “RAGIONE_SOCIALE” di RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile costituita, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2025.