Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14700 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14700 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI TORRE
ANNUNZIATA
nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a CERCOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 aprile 2023 il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME NOME NOME ai delitt contestatile ai sensi degli artt. 81, 110, 624′ 625 cod. pen. (capo A) e artt. 81, 624, 625 cod. pen. (capo B), perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità.
Più precisamente, nel corso dell’indicata udienza il P.M. aveva avanzato richiesta di modifica delle imputazioni mediante la contestazione suppletiva della circostanza aggravante prevista dall’art. 625′ comma 1, n. 7 cod. pen., rispetto alla quale il Tribunale aveva emesso immediata sentenza, ex artt. 129 e 529 cod. proc. pen., di non doversi procedere per essere i reati non procedibili per mancanza di querela.
1.1. Il Tribunale ha esplicato le ragioni dell’assunto provvedimento osservando, in primo luogo, come l’art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 abbia modificato il testo dell’art. 624 cod. pen., rendendo il delitto di furto ora procedibile a querela, fatta salva – tra l’altro – l’ipotesi in cui vi sia anche la contestazione dell’aggravante ex art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., che rende il reato procedibile di ufficio.
Nel caso di specie, alla data del 31 marzo 2023 era scaduto il termine previsto dall’art. 85 della c.d. “Riforma Cartabia” senza che vi fosse stata la presentazione della querela da parte della persona offesa, per cui già a decorrere da tale data il reato era divenuto improcedibile per mancanza della richiesta condizione di procedibilità.
Rispetto alla modifica dell’imputazione invocata dal P.M., il Tribunale ha affermato di conoscere il principio espresso dalla Suprema Corte per cui l’energia elettrica può essere qualificata come bene destinato al pubblico servizio – tale da rendere configurabile, in caso di furto, l’aggravante di cui all’art. 625, comma 7, cod. pen.- ma ha, pur tuttavia, osservato come nella specie si fosse trattato di una contestazione irrituale e tardiva, in quanto effettuata dopo il perfezionamento del termine di improcedibilità del reato.
Ciò sarebbe conforme alla giurisprudenza per cui, in mancanza (originaria o sopravvenuta) della querela, il giudice è tenuto ad emettere sentenza processuale di improcedibilità, per essere il rapporto processuale non validamente costituito, con conseguente preclusione per il decidente della possibilità di effettuare una qualsiasi valutazione di merito, ivi compresa quella inerente al vaglio della richiesta di modifica dell’imputazione. Tale ultima è espressione di un potere di pertinenza del P.M., per il cui esercizio, tuttavia, necessita l’effettiva sussistenza di un processo, aspetto che, nel caso di specie,
non vi sarebbe più stato alla data di celebrazione dell’udienza, per non esservi più la necessaria esistenza della condizione di procedibilità, avendo il P.M. richiesto di modificare un’imputazione relativa a reati non più punibili per mancanza di querela.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata, deducendo, con un unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente contesta, in particolare, il modo erroneo con cui il giudice d merito avrebbe letto i principi espressi dalla citata giurisprudenza di legittimità, la quale, invece, confermerebbe la sussistenza, nel caso di specie, del potere del P.M. di modificare l’imputazione.
Ed infatti, anche prescindendo dal fatto che riguarderebbe il diverso istituto della prescrizione – e non, quindi, della carenza della condizione di procedibilità l’indicato indirizzo ermeneutico, del tutto maggioritario in giurisprudenza, esprimerebbe, comunque, proprio l’applicazione del principio per cui è nella possibilità del P.M. procedere in dibattimento alla modifica dell’imputazione pur a fronte del già intervenuto decorso del termine prescrizionale.
Tale potere del P.M. di procedere alla modifica dell’imputazione in dibattimento, operando una contestazione suppletiva ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., si conformerebbe, d’altro canto, al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 103 Cost., del qua costituirebbe un corollario, per cui rispetto al suo esercizio non vi sarebbe nessuna preclusione ed esso sarebbe riconosciuto senza la previsione di alcun limite temporale, se non quello della pronunzia della sentenza da parte del giudice.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, per l’effetto imponendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.
Il Collegio rileva, infatti, come nel caso di specie non sia stata correttamente pronunciata la sentenza di non doversi procedere perché l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di querela, assumendo
prevalente valenza, rispetto all’unico aspetto considerato da parte del decidente, il generale potere-dovere di modifica del capo di imputazione riconosciuto al Pubblico ministero dal nostro ordinamento, per cui è da ritenersi correttamente effettuata l’intervenuta contestazione suppletiva, prima della declaratoria di improcedibilità per difetto di querela, della circostanza aggravante del fatto commesso su cose destinate a pubblico servizio, di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., conseguentemente rendendo i contestati reati procedibili di ufficio.
Ammettere, infatti, come invece ritenuto nella sentenza impugnata, che il P.M. non possa più operare una modifica del capo di imputazione allorquando, in ragione di una modifica dettata dallo ius superveniens, un reato in origine procedibile di ufficio sia divenuto procedibile a querela, per l’effet determinando, nel caso di carente presentazione di essa da parte della persona offesa pure nel termine indicato dal diritto intertemporale, la pronuncia dell’immediata improcedibilità del reato per non poter essere proseguita l’azione penale per mancanza della condizione di procedibilità, significherebbe rendere il suddetto potere del P.M. limitato e vulnerabile, e quindi non più cogente e immanente nel nostro sistema processuale, come, invece, ritenuto da sempre nell’esegesi espressa dal giudice delle leggi e da questa Corte di legittimità.
L’art. 517 cod. proc. pen., regolante – per ciò che attiene al caso di specie – la possibilità di effettuare nel giudizio dibattimentale la contestazion all’imputato di una circostanza aggravante, non sottopone ad alcun tipo di limite il potere-dovere del Pubblico ministero di operare tale modifica dell’imputazione, se non quella che vi sia un’istruzione dibattimentale in atto, e quindi che già non si verta in fase di discussione finale, e che la cognizione non pertenga alla competenza di un giudice superiore – come’ all’evidenza, non è dato ravvisare nel caso in esame -.
E’ stato affermato, con indirizzo interpretativo del tutto prevalente, che, poiché il P.M. è l’esclusivo titolare dell’azione penale, è abnorme il provvedimento con il quale il giudice inibisca all’organo dell’accusa – nel corso del dibattimento – l’esercizio dell’azione penale nell’ambito dei poteri relativi al modifica della imputazione ed alla contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti (così, Sez. 5, n. 2673 del 02/06/1999, Ravelli, Rv. 213970-01; nonché, in termini conformi, Sez. 6, n. 37577 del 15/10/2010, COGNOME, Rv. 248539-01).
Il potere del Pubblico ministero di richiedere la modifica del capo di imputazione, alla stregua delle garanzie previste dall’art. 519 cod. proc. pen. e dell’interpretazione espressa sul punto dalla Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 333/2009 e n. 273/2014), deve essere considerato, pertanto, come un poteredovere immanente e non limitabile, esercitabile in tutte le fasi del procedimento.
Significativamente, è stato perfino affermato, cori principio oramai consolidatosi dopo pronunce difformi del tutto risalenti (cfr., da ultimo, Sez. 6, n 10125 del 22/02/2005, Aricò, Rv. 231225-01), e a cui il Collegio intende conformarsi, che, in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruttoria dibattimentale e, quindi, anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal Pubblico ministero nel corso delle indagini preliminar (così, tra le altre, Sez. 2, n. 45298 del 14/10/2015, COGNOME, Rv. 264903-01; Sez. U, n. 4 del 28/10/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212757-01).
La contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non prevista nel decreto che dispone il giudizio, è consentita, pertanto, anche laddove essa si fondi su elementi già noti nel corso delle indagini preliminari, non necessitandosi che la stessa tragga origine da aspetti per la prima volta emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
2.1. Tale esegesi si conforma pienamente, pertanto, al principio, già espresso da questa Corte di legittimità, per cui, in tema di reati divenuti perseguibili a querela a seguito della modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel caso di intervenuto decorso del termine previsto all’art. 85 del d.lgs. citato senza che sia stata proposta la querela, è consentito al Pubblico ministero di modificare l’imputazione in udienza mediante la contestazione di una circostanza aggravante per effetto della quale il reato divenga procedibile di ufficio, essendo Io stesso investito, anche in difetto di sopravvenienze dibattimentali rilevanti a tale fine, del potere-dovere di esercitare l’azione penale per un reato correttamente circostanziato (così, espressamente, Sez. F, n. 43255 del 22/08/2023, COGNOME, Rv. 285216-01; ma cfr. anche, in termini conformi: Sez. 4, n. 50258 del 22/11/2023, COGNOME, Rv. 285471-01; Sez. 4, n. 47769 del 22/11/2023, COGNOME, Rv. 285421-01).
Sotto altro profilo, deve essere rilevato, poi, come nell’impugnata pronuncia si ravvisi pure l’intervenuta violazione dei principi dettati dall’art. 12 comma 1, cod. proc. pen. in tema di immediata declaratoria obbligatoria – tra l’altro – del difetto di una condizione di proceclibilità.
L’ambito di intervento della suddetta disposizione risulta modulato, infatti, in ragione della fase del procedimento in cui la causa di non punibilità si prospetta o interviene, atteso che, se risulta consentito il proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 469 cod. proc. pen. allorquando non sia utile procedere al vaglio dibattimentale, il ricorso alla suddetta pronuncia, una volta che invece vi sia il dibattimento, deve, comunque, sottostare al rispetto del
principio del contraddittorio. In tale sede, infatti, il giudice è in grado di valutare la scelta della formula più favorevole per l’imputato, essendosi realizzata la piena dialettica processuale tra le parti, ovvero, quando si prospetti l’eventualità di una definizione in rito, ha la possibilità di considerare la necessità di ultimare l’istruzione dibattimentale, ovvero di sollecitare la definizione del giudizio all’esito di una preventiva interlocuzione tra le parti su tutti i temi processuali o probatori emersi.
Sotto tale aspetto, allora, risulta indispensabile ricordare come il rispetto del principio del contraddittorio assuma rilievo costituzionale e un rango pregiudiziale ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza EDU, la cui violazione costituisce la fonte di tutte le forme di nullità previste dal codice di rito. Ne consegue che la sentenza emessa senza la preventiva interlocuzione delle parti processuali necessariamente integra la massima violazione del contraddittorio e, quindi, una conseguente ipotesi di nullità assoluta e insanabile (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 269809-01).
Nel caso di specie, deve ritenersi che il Tribunale, nel pronunciare sentenza di immediata declaratoria del proscioglimento dell’imputata per mancanza della condizione di procedibilità del reato di furto pluriaggravaito, abbia violato i principi sopra evidenziati, avendo anticipato la decisione, con pronuncia ex art. 129 cod. proc. pen. emessa dopo avere dettato, ancor prima della chiusura dell’istruzione dibattimentale, i termini della discussione finale, limitandola alla sola ricorrenza di un mutamento del regime della procedibilità del reato ascritto, nonostante il P.M. avesse sollevato l’incidente relativo alla contestazione suppletiva. In sostanza, il Tribunale non ha considerato che il Pubblico ministero aveva formulato la contestazione di un’aggravante che, in astratto, avrebbe potuto ricondurre la fattispecie nell’alveo della punibilità di ufficio, così, di fatto, omettendo di riconoscere all’imputata le garanzie previste dall’art. 519 cod. proc. pen.
In tale maniera, quindi, limitandosi a rilevare la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale per mancata presentazione della querela, il giudice di merito ha omesso di valutare le acquisizioni istruttorie, pure intervenute nel corso del giudizio, che ben avrebbero potuto concorrere a confortare la plausibilità della contestazione suppletiva in concreto operata.
D’altro canto, la stessa disposizione dell’art. 469 cod. proc. pen. consente al giudice di pronunciare il proscioglimento predibattimentale solo dopo avere sentito le parti, nei caso in cui per accertare la causa di proscioglimento non sia necessario procedere al dibattimento.
Nella fattispecie, il mutamento della procedibilità era sopravvenuto non solo all’instaurazione del giudizio – nell’ambito del quale, peraltro, era già stata
parzialmente svolta l’istruzione dibattimentale – ma, addirittura, la pronuncia di improcedibilità non aveva nemmeno costituito il pacifico approdo dell’applicazione di una disposizione nuova, essendo rimasto del tutto inesplorato l’ambito di operatività dell’ipotesi ancora procedibile di ufficio, a segui dell’introduzione dell’art. 2, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 150 del 2022, e la s compatibilità con il contenuto dell’imputazione (art. 625, comma 1, n. 7 cod. pen., e cioè se l’energia elettrica sottratta potesse essere ritenuta destinata a pubblico servizio o a pubblica utilità), risultando del tutto irrisolto e non ogget di discussione finale il tema della contestazione suppletiva, pure legittimamente formulata da parte del P.M., a seguito dell’invito rivolto alle parti di confrontar unicamente con il tema della sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale.
Ne consegue, pertanto, che l’ingiustificata accelerazione verso l’epilogo de plano del giudizio ha determinato un rilevante vulnus alla pienezza del contraddittorio tra le parti, causandone un’ingiustificata compressione in sede dibattimentale.
La decisività delle superiori considerazioni non risulta modificata, ad avviso del Collegio, neanche a seguito dell’intervenuto deposito, nelle more della redazione del presente provvedimento, della motivazione della sentenza Sez. U, n. 49935 del 28/09/2023, COGNOME, Rv. 285517-01, per la quale, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.
Per l’accezione datane dal Supremo Collegio, la presenza di una causa di non punibilità che il giudice del dibattimento deve riconoscere e dichiarare ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. è preclusiva di ogni ulteriore attività, e quindi l’immediata declaratoria della causa estintiva del reato, ove correttamente e tempestivamente pronunciata da parte del qiudice, preclude al Pubblico ministero la possibilità stessa di procedere alla contestazione suppletiva, mancando il segmento processuale nel quale esercitare tale facoltà.
Orbene, l’indicato principio – della cui indubbia autorevolezza non è dato, all’evidenza, discutere – non si ritiene, tuttavia, possa trovare immediata e diretta applicazione al caso di specie, in cui a rilevare non è già l’istituto della prescrizione, bensì quello dell’improcedibilità dell’azione penale per difetto di querela.
Non si ritiene sia corretto, cioè, effettuare un parallelo fra il termine di procedibilità e quello di prescrizione del reato,, in quanto trattasi, all’evidenza, due situazioni giuridiche affatto diverse tra loro per struttura e finalità, e qui
non equiparabili, atteso che: l’istituto della prescrizione attiene all’estinzione (quasi) tutti i reati a seguito del mero decorso del tempo; il regime della procedibilità inerisce alla necessaria sussistenza di una specifica condizione per l’esercizio dell’azione penale rispetto a determinate figure di reato, secondo una scelta rimessa alla sola discrezionalità del legislatore.
E’ ben noto, cioè, come il concetto di improcedibilità si abbia nel giudizio penale allorquando un processo, già validamente instaurato, non possa proseguire per avere una delle parti omesso di compiere un atto di impulso del giudizio. L’improcedibilità dell’azione penale rappresenta, pertanto, quella particolare situazione processuale per cui il giudizio non può più proseguire o concludersi con una sentenza di merito, al punto che la carenza della condizione di procedibilità o proseguibilità dell’azione penale fa perdere a quest’ultima la sua stessa ragion d’essere.
A differenza della prescrizione sostanziale, che si risolve in una causa di non punibilità per estinzione del reato, l’improcedibilità si limita a troncare il processo, senza affrontare il tema della punibilità, per cui l’ipotetico reato non si estingue, ma il giudice è destituito dello stesso potere di decidere nel merito.
Ne consegue, allora, che il principio dettato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza COGNOME, con riguardo alla contestazione suppletiva effettuata dai P.M. nell’ipotesi di reato prescritto, non può essere esteso, per l’evidenziata alterità concettuale sussistente tra i due istituti, al diverso caso di reato improcedibile per mancanza di querela.
All’esito di tutte le considerazioni espresse, deve essere pronunciato, allora, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata per l’ulteriore corso.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Torre Annunziata, per l’ulteriore corso.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente