Modifica Imputazione: la Scelta del PM in Udienza è Decisiva
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1738 del 2024, offre un importante chiarimento sui poteri del Pubblico Ministero (PM) nel processo penale e sulle conseguenze delle sue scelte. La Suprema Corte ha stabilito un principio procedurale fondamentale: se il PM ha la possibilità di procedere a una modifica imputazione durante il giudizio di primo grado e non lo fa, non può successivamente lamentarsi in appello per l’errata qualificazione giuridica del fatto. Vediamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine da una sentenza del Tribunale di Roma che dichiarava il non doversi procedere nei confronti di un imputato per il reato di truffa, ai sensi dell’art. 640 del codice penale. La decisione del Tribunale si basava su una ragione puramente procedurale: l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela, un atto indispensabile per la perseguibilità di quel specifico reato.
La Tesi dell’Accusa e l’Appello
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma ha impugnato questa decisione, sostenendo che il Tribunale avesse commesso un errore nella qualificazione giuridica del fatto. Secondo la Procura, la condotta dell’imputato non configurava una truffa, ma un reato più grave: l’estorsione, prevista dall’art. 629 del codice penale. A differenza della truffa semplice, l’estorsione è un reato procedibile d’ufficio, per il quale non è necessaria la querela della persona offesa. La Procura sosteneva quindi che il processo avrebbe dovuto proseguire sotto questa diversa qualificazione giuridica.
Il passaggio in Cassazione
La Corte di Appello, anziché decidere nel merito, ha trasmesso l’atto di impugnazione direttamente alla Corte di Cassazione, come previsto dall’articolo 568, comma 5, del codice di procedura penale. In questa sede, è stato lo stesso Procuratore Generale presso la Cassazione a chiedere che il ricorso fosse dichiarato inammissibile.
La Modifica Imputazione: il Cuore della Decisione
Il fulcro della decisione della Suprema Corte risiede nel potere, e nel mancato esercizio, di modifica imputazione da parte del PM nel corso del giudizio di primo grado. Il Pubblico Ministero, in qualità di organo dell’accusa, ha la facoltà di cambiare la contestazione mossa all’imputato se, nel corso del dibattimento, emergono elementi che suggeriscono una diversa qualificazione giuridica del fatto.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso del Procuratore Generale manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato che l’ufficio della Procura aveva la piena possibilità di modificare l’imputazione da truffa a estorsione direttamente dinanzi al Tribunale. Questa scelta rientra nei poteri esclusivi dell’organo dell’accusa.
Non avendolo fatto, il PM non può dolersi in una fase successiva del processo di una decisione che è la diretta conseguenza della sua stessa inerzia. Il Tribunale, infatti, ha correttamente giudicato sulla base dell’imputazione che gli era stata sottoposta, ovvero quella di truffa. Di fronte a tale accusa, la constatazione della mancanza di querela ha reso inevitabile la pronuncia di non doversi procedere.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La sentenza ribadisce un principio di auto-responsabilità e di preclusione processuale per l’organo dell’accusa. Il momento per definire e, se necessario, correggere il perimetro dell’accusa è il giudizio di primo grado. Lasciar passare questa occasione significa cristallizzare la situazione, impedendo che la stessa questione possa essere sollevata come motivo di impugnazione. Questa decisione rafforza la necessità di un’attenta valutazione da parte del Pubblico Ministero durante tutto il corso del dibattimento, poiché le sue scelte strategiche hanno conseguenze definitive sull’esito del procedimento.
Perché il Tribunale ha inizialmente archiviato il caso?
Il Tribunale ha dichiarato il non doversi procedere perché l’imputato era accusato del reato di truffa (art. 640 c.p.), che richiede la querela della persona offesa per poter essere perseguito. Poiché tale querela mancava, l’azione penale non poteva essere iniziata.
Qual era l’argomento principale del Procuratore Generale nel suo ricorso?
Il Procuratore Generale sosteneva che il Tribunale avesse sbagliato la qualificazione giuridica del fatto. A suo avviso, non si trattava di truffa, ma di estorsione (art. 629 c.p.), un reato più grave che è procedibile d’ufficio e non necessita di querela. Di conseguenza, il processo avrebbe dovuto continuare.
Per quale motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha stabilito che il Pubblico Ministero aveva il potere e l’opportunità di modificare l’imputazione da truffa a estorsione durante il processo di primo grado. Non avendolo fatto, non poteva lamentarsi in appello di una decisione (quella del Tribunale) che era corretta sulla base dell’imputazione originaria. L’inerzia del PM in primo grado gli ha precluso la possibilità di sollevare la questione in sede di impugnazione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1738 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1738 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ROMA nel procedimento a carico di COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 17/12/2021 del TRIBUNALE di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Roma con sentenza del 17/12/2021 ha dichiarato, su richiesta congiunta del Pubblico Ministero e della difesa, non doversi procedere ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. nei confronti di COGNOME NOME per il reato allo stesso ascritto ai sensi dell’art. 640 cod. pen. in quanto l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma, censurando la decisione impugnata, attesa l’erronea qualificazione giuridica del fatto oggetto di imputazione; il reato contestato al NOME, pur qualificato nel capo di imputazione come truffa, sarebbe più correttamente riconducibile
alla fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen., peraltro nella forma consumata e non meramente tentata, avendo l’imputato ottenuto la consegna del denaro richiesto e non dovuto.
La Corte dì appello ha disposto la trasmissione dell’appello presso la Corte di Cassazione ex art. 568, comma 5, cod. proc. pen.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che l’ufficio della Procura, nell’esercizio dei suoi esclusivi poteri, aveva la possibilità di modificare l’imputazione elevata dinnanzi al Tribunale in composizione monocratica (competente anche nel caso dì fattispecie di estorsione semplice e non aggravata), non potendo lamentare in questa sede la diversa considerazione della portata della condotta contestata secondo la decisione del Tribunale sulla base della descrizione del fatto nel capo di imputazione ai sensi dell’art. 640 cod. pen.
Non avendo, dunque, il Pubblico ministero modificato il capo di imputazione in udienza, la decisione del Tribunale, in relazione alla contestazione elevata, appare corretta e non censurabile.
Il ricorso deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 2 novembre 2023.