Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37352 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37352 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/7/2025 del Tribunale del riesame di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 19/7/2025, il Tribunale del riesame di Trento rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa il 28/7/2025 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, che aveva rigettato l’istanza di modifica del luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliari, disposti con riguardo al delitto di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
erronea applicazione della legge penale; violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe ribadito la sussistenza delle esigenze cautelari con motivazione contraddittoria e lacunosa, ripetendo gli argomenti contenuti nel provvedimento genetico del 31/7/2024 (dunque, di un anno precedente) e senza individuare alcun elemento tale da giustificare – a distanza di così ampio tempo il permanere della misura in corso. Questa lacuna motivazionale, peraltro, assumerebbe un rilievo ancor maggiore alla luce del tempo trascorso dalla consumazione delle condotte contestate, risalenti al 2022, in assenza di violazioni di sorta, nel frattempo, e dell’intervenuto arresto della maggior parte dei sodali. L’ordinanza impugnata, dunque, impedirebbe al ricorrente di proseguire l’attività lavorativa, rischiando anzi di perderla, così come di ricoprire adeguatamente il ruolo genitoriale; un tale effetto, peraltro, sarebbe sprovvisto di ogni supporto argomentativo, non dandosi conto, nel provvedimento medesimo, del fondamento delle esigenze cautelari, dell’esistenza concreta di elementi al riguardo e, in particolare, della prossima occasione di compiere altri delitti della stessa specie;
manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta esistenza delle esigenze cautelari. Richiamati gli argomenti di cui al primo motivo, si contesta ancora al Tribunale di aver solo ribadito le considerazioni contenute nell’ordinanza genetica, con la quale il ricorrente aveva visto applicata la misura della custodia in carcere, successivamente però attenuata; questa circostanza, con evidenza, avrebbe richiesto un più adeguato esame delle esigenze in questione, in punto di attualità e di concretezza, non l’utilizzo di mere clausole di stile o di fr apodittiche, come quelle impiegate dal Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato; al riguardo, peraltro, i due motivi possono essere trattati in modo congiunto, emergendone una comune base argomentativa.
Occorre sottolineare, in primo luogo, che la stessa impugnazione (come già quella di merito) individua con precisione l’oggetto della richiesta cautelare proposta il 16/7/2025, del successivo gravame deciso con il provvedimento qui impugnato e, infine, del ricorso per cassazione in esame: è ripetutamente specificato, infatti, che l’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. aveva ad oggetto soltanto la modifica del luogo di esecuzione degli arresti domiciliari (eventualmente anche con applicazione del cd. braccialetto elettronico), non la revoca di questa.
4.1. In particolare, nell’appello si legge (pag. 2) che “questa difesa non ha chiesto di revocare la misura degli arresti domiciliari ora applicata: ha chiesto, al
contrario, che la misura custodiale coercitiva rimanesse, ma con ubicazione differente, e più precisamente presso il luogo di residenza del COGNOME ove lo stesso ha famiglia e lavoro. In subordine la scrivente difesa, prevedendo che la richiesta in via principale non sarebbe andata accolta, ha addirittura in modo inconsueto chiesto un trattamento in peius per il proprio assistito, ovvero che venisse applicato il braccialetto elettronico, che ora non ha, una volta trasferito a Riva del Garda.”
4.2. Analogamente, nel ricorso per cassazione è precisato (pag. 2) che “questa difesa (…) ha sempre richiesto semplicemente che la misura degli arresti venisse modificata soltanto in termini di ubicazione del luogo di esecuzione, non avendo mai chiesto un alleggerimento o una revoca tout court”. Di seguito (pag. 14), è ribadito che “si era reso necessario adire il predetto Tribunale a seguito dell’ennesimo rigetto di istanza di modifica di misura cautelare da parte del GUP di Trento, ove veniva chiesto sistematicamente solo che potesse essere modificato il luogo di esecuzione degli arresti domiciliari. Mai, infatti, lo scrivente ha chiest all’AG di revocare la misura cautelare tutt’ora in vigore, in quanto ritenendola coerente alla situazione in atti e al fatto che il COGNOME necessita di essere monitorato anche alla luce del percorso terapeutico di disintossicazione ora in itinere”.
Tanto premesso, questa Corte ritiene che tale precisazione – ripetutamente ribadita dallo stesso difensore – assuma un rilievo decisivo nell’esame del ricorso per cassazione, soprattutto in punto di ammissibilità.
5.1. In particolare, lo specifico e limitato oggetto dell’istanza cautelare – l modifica del solo luogo di esecuzione degli arresti domiciliari – ha evidentemente indotto il Tribunale del riesame a valutare le esigenze cautelari, in termini di concretezza ed attualità, nella limitata ottica richiesta, ossia soltanto nel senso dell’eventuale prevalenza delle esigenze medesime sulle ragioni personali che l’indagato proponeva a sostegno della domanda di una diversa ubicazione del luogo di esecuzione della misura. In altri termini: non costituivano oggetto dell’istanza, per come ripetutamente ribadito in essa, né la sussistenza in sé delle esigenze cautelari né l’adeguatezza della misura in corso rispetto alle prime, ma soltanto il bilanciamento di queste – in termini esclusivamente logistici – con le specifiche ragioni di vita (familiare e lavorativa) del COGNOME.
Ne consegue che non può costituire oggetto di censura, in questa sede, l’ampia parte motiva con la quale il Tribunale (pagg. 3-5) ha ritenuto comunque perdurante il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, al riguardo facendo propri gli argomenti spesi dal G.i.p., in assenza di qualunque elemento di novità (peraltro, neppure individuato nel ricorso); si ribadisce, infatti, che l sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 275, lett. c), cod. proc. pen., sé non costituiva oggetto di impugnazione da parte dell’imputato.
6.1. Ne consegue, allora, che entrambi i motivi di ricorso qui proposti risultano inammissibili, concentrandosi esclusivamente sulla motivazione resa dal Tribunale proprio in punto di esigenze cautelari in sé, argomento – si ribadisce – meramente ancillare rispetto all’unica questione sollecitata dall’interessato, nei termini gi ripetutamente richiamati.
Per contro, avrebbe potuto costituire pertinente motivo di impugnazione la successiva parte della stessa ordinanza, nella quale (pag. 5) il Tribunale ha diffusamente posto in relazione la (pacifica) esigenza cautelare con le ragioni addotte dal COGNOME a sostegno della domanda di mutamento del luogo di esecuzione della misura. Nessuna critica, tuttavia, si riscontra al riguardo nel ricorso, né peraltro, alcun confronto con la motivazione stesa al riguardo dal Tribunale che, con argomento del tutto adeguato e privo di vizi, oltre che fondato su concreti elementi investigativi, ha evidenziato che il pericolo di reiterazione del reato verrebbe addirittura aggravato con un mutamento di domicilio dell’imputato, anche qualora rafforzato dal cd. braccialetto elettronico: con l’accoglimento della domanda, infatti, il ricorrente verrebbe ricondotto nel territorio teatro di molt delle condotte illecite contestate, peraltro in ambito associativo e con ruolo apicale, per di più rientrando nell’abitazione condivisa con la moglie, imputata con riguardo al medesimo procedimento.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2025
Il coflSigliere estensore
Il Presidente