Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11593 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11593 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata a Castroreale (Me) l’DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/6/2023 della Corte di appello di Messina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/6/2023, la Corte di appello di Messina confermava la pronuncia emessa il 15/12/2022 dal locale Tribunale, con la quale NOME COGNOME era stata giudicata colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla I. 11
novembre 1983, n. 638, e condannata alla pena di tre mesi di reclusione e 300,00 euro di multa.
Propone ricorso per cassazione la COGNOME, deducendo – con unico motivo – la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione con riguardo alla corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti. Premessa la necessità che queste ultime siano state effettivamente versate, e ribadito il carattere solo indiziario de modelli TARGA_VEICOLO (tale da introdurre una mera presunzione relativa), si lamenta che la sentenza avrebbe ritenuto, per contro, effettivamente pagate le retribuzioni, al riguardo travisando la prova dichiarativa. In particolare, sarebbero state fraintese le parole della funzionaria dell’RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, quelle della consulente del lavoro COGNOME, la quale avrebbe espressamente affermato che negli anni di interesse, compreso il 2017, la società non avrebbe pagato le retribuzioni, tanto da interessare i sindacati e predisporre un piano di rateazione,
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire il costante e condiviso indirizzo della Suprema Corte in forza del quale, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova – non come mero indizio – della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’RAGIONE_SOCIALE, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente (tra le molte, Sez. 3, n. 28672 del 24/9/2020, Brunozzi, Rv. 280089). I modelli DM 10, infatti, hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e fanno piena prova (art. 2709 cod. civ.) a carico dell’imprenditore; la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è sta omesso il versamento dei contributi (per tutte, Sez. 3, n.371.45 del 10/4/2013, NOME, ed altro, Rv. 256957; Sez.3, n.46451 del 07/10/2009, Rv.245610).
Tanto premesso, la Corte di appello – pacifici la presentazione di questi modelli e l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali – ha affermato che l’istruttoria non aveva fornito prova di segno contrario quanto al versamento delle retribuzioni, tale da far superare la presunzione relativa appena richiamata. Ebbene, questa motivazione non appare censurabile, in quanto adeguata e priva dei vizi denunciati.
r-
In particolare, e ribadito il carattere tutt’altro che indiziarlo assegnato d questa giurisprudenza ai modelli TARGA_VEICOLO, non si – riscontra affatto il travisamento della prova lamentato con riguardo alle due fonti testimoniali.
6.1. Quanto alla COGNOME, la lettura del verbale, allegata al ricorso, consente di ritenere del tutto corretta l’interpretazione che la Corte di appello ne ha fatto la funzionaria, invero, aveva riferito (pag. 9) che il suo ufficio non si occupava della verifica dell’effettivo pagamento delle retribuzioni, limitandosi a dare atto delle denunce mensili presentate dall’azienda quali autocertificazioni in cui viene esposta la dicitura “ha trattenuto le quote a carico dei lavoratori dipendenti”. Nessun travisamento della prova, dunque, può essere ravvisato.
6.2. Quanto alla consulente del lavoro COGNOME, la Corte di appello ha riscontrato generiche e prive di precisione le dichiarazioni con le quali la stessa aveva negato che le retribuzioni fossero state corrisposte ai dipendenti nei mesi di riferimento, peraltro precisando di non ricordare se, a seguito del mancato rispetto di un piano di rateizzo, fossero state avviate procedure esecutive nei confronti della società. Ebbene, il Collegio non riscontra affatto il travisamento della prova denunciato con riguardo alla testimone, evidenziando che – come da verbale allegato al ricorso (la cui lettura risulta necessaria, dato il tenore della censura) – la stessa si era effetti pronunciata in termini generici, non aveva saputo precisare gli ambiti temporali di riferimento e, espressamente richiesta con riguardo all’anno 2017, si era limitata a rispondere “sì, non ha pagato”, peraltro senza sapere se poi fossero stati versati acconti. La Corte di appello, dunque, ha esaminato la deposizione con argomento non manifestamente illogico e,, soprattutto, senza travisarne il contenuto che – con giudizio qui non sindacabile – è stato ritenuto generico e tale da non superare la prova positiva offerta dalla presentazione dei modelli TARGA_VEICOLO.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2024