Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46801 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46801 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 21/01/1993
avverso l’ordinanza emessa il 18/06/2024 dal Tribunale di sorveglianza di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 18 giugno 2024 il Tribunale di Sorveglianza di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza pronunciata dal Magistrato di sorveglianza di Roma il 19 febbraio 2024, con cui era stata disposta l’espulsione dell’appellante dal territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 235 cod. pen., applicava al ricorrente la misura di sicurezza della libertà vigilata.
Occorre, in proposito, precisare che l’originaria misura di sicurezza dell’espulsione dal territorio dello Stato era stata applicata a COGNOME dal Magistrato di sorveglianza di Roma in conseguenza della sentenza irrevocabile pronunciata dalla Corte di appello di L’Aquila il 15 gennaio 2019, con cui il ricorrente era stato condannato alla pena di due anni e otto mesi di reclusione, per i reati di tentato furto, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali devastazione, commessi il 3 agosto 2017.
Avverso questa ordinanza COGNOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolando due censure difensive.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 228, 235 cod. pen., 125, comma 3, 658 e 679 cod. proc. pen., per non avere il Tribunale di Sorveglianza di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che consentivano l’applicazione della libertà vigilata, che era stata irrogata al ricorren trascurando la sua incompatibilità con l’espulsione dal territorio dello Stato, originariamente disposta, incentrandosi le due misure di sicurezza personale su presupposti differenti e inconciliabili.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento agli artt. 125, comma 3, 133 e 203 cod. proc. pen., per non avere il Tribunale di Sorveglianza di Roma dato adeguato conto delle ragioni che permettevano di applicare a Cybi la misura di sicurezza personale della libertà vigilata, a fronte delle emergenze processuali, collegate alla stabilità della situazione socio-familiare del ricorrente, che non consentivano di ritenerlo socialmente pericoloso.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da COGNOME è infondato.
2. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cuoi si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere il Tribunale di Sorveglianza di Roma dato esaustivo conto delle ragioni che consentivano l’applicazione della libertà vigilata, che era stata irrogata al ricorrente trascurando la sua incompatibilità con l’espulsione dal territorio dello Stato, originariamente disposta, incentrandosi le due misure di sicurezza personale su presupposti differenti e inconciliabili.
Osserva il Collegio che, sul piano sistematico, non sussiste alcuna incompatibilità tra la misura di sicurezza personale dell’espulsione dal territorio dello Stato italiano e quella della libertà vigilata. Infatti, le due misure, incentrandosi su presupposti applicativi differenti, non si pongono, tra loro, in termini di alternatività e inconciliabilità, inserendosi in un contesto sistematico flessibile, incentrato sui principi di proporzionalità e di gradualità, che, a lo volta, traggono il proprio fondamento dall’art. 27, terzo comma, Cost.
Discende da tali presupposti che, nel valutare la possibilità di applicare una misura di sicurezza personale a un condannato, il tribunale di sorveglianza, oltre a dovere verificare la condizione soggettiva di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento, può modificare la tipologia di misura originariamente applicata, laddove ritenuta inadeguata; potere che non può che essere esercitato, nell’ottica di flessibilità che caratterizza il micro-sistema delle misur di sicurezza personale, riconducibile ai Capi I e II del Titolo VIII del Libro I de Codice penale, alla luce dei principi di proporzionalità e di gradualità.
Né potrebbe essere diversamente, atteso che costituisce espressione di un orientamento ermeneutico consolidato il principio secondo cui, per valutare le condizioni necessarie all’applicazione di una misura di sicurezza personale, che presuppone la commissione di un reato, non si può prescindere dal vaglio dei comportamenti antecedenti alla verifica della pericolosità sociale, che è prodronnico alla positiva esecuzione della misura e deve essere eseguito nel rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza. Tale verifica, dunque, deve essere effettuata tenendo conto della condizione di pericolosità sociale del soggetto, valutabile in termini di concretezza e attualità, il cui vaglio indispensabile per la formulazione di un giudizio sugli effetti della misura di sicurezza; il che, inevitabilmente, postula la possibilità di applicare la misura ritenuta più adeguata rispetto alla personalità del soggetto, secondo canoni di necessaria flessibilità (tra le altre, Sez. 1, n. 267 del 02/07/2003, Rago, Ry. 227639 – 01; Sez. 1, n. 4730 del 02/10/1998, COGNOME, Rv. 211884 – 01; Sez. 2, n. 301 del 12/06/1986, COGNOME, Rv. 174822 – 01).
A opinare diversamente, in linea con quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, si trascurerebbe di considerare che le misure di sicurezza personale,
essendo ancorate alla pericolosità sociale del soggetto sono connotate, fisiologicamente, da una stabilità relativa, rilevante allo stato degli atti, no assimilabile al giudicato penale, essendo suscettibili di revoca o di modifica in presenza di elementi di novità, destinati a incidere sulla sussistenza delle condizioni che legittimano la loro applicazione in funzione delle finalità perseguite. Ne consegue che, se l’applicazione di una misura di sicurezza personale è ancorata alla sussistenza di una condizione di pericolosità sociale e al grado della stessa, non v’è dubbio che a un grado di pericolosità affievolito debba corrispondere un affievolimento della misura irrogata, che è necessitato dai principi di proporzionalità e di adeguatezza, posti, da diversi decenni, dalla Corte costituzionale, a fondamento delle misure in esame (Corte cost., sent. n. 291 del 2013; Corte cost., sent. n. 1102 del 1988; Corte cost., sent. n. 249 del 1983).
Milita, per altro verso, a favore della possibilità di applicare a COGNOME una misura di sicurezza personale affievolita rispetto a quella originariamente disposta nei suoi confronti dal Magistrato di sorveglianza di Roma anche la circostanza che, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza di Roma operava una variazione in bonam partem della valutazione di pericolosità sociale del ricorrente, che appare conforme ai già richiamati principi di proporzionalità e di adeguatezza.
Alla possibilità di rimodulare in bonam partem il giudizio di pericolosità sociale prodromico all’applicazione di una misura di sicurezza personale, a condizione che la più blanda misura sia tipizzata dal legislatore, fa riferimento un unico precedente in termini (Sez. 1, n. 14216 del 16/12/2016, COGNOME, non mass.), che, pur, non risultando massimato, appare meritevole di essere richiamato. In tale pronuncia, infatti, in linea con quanto si sta affermando in questa sede, si ritiene legittima la rimodulazione favorevole dell’originario vaglio di pericolosità sociale, operata d’ufficio in sede d’impugnazione, ribadendosi il collegamento inscindibile delle misure di sicurezza personale ai principi di proporzionalità e di gradualità.
Occorre, pertanto, ribadire conclusivamente che, nelle ipotesi in cui viene impugnato un provvedimento del magistrato di sorveglianza, che dispone l’applicazione della misura di sicurezza personale dell’espulsione del condannato dal territorio dello Stato, il tribunale di sorveglianza può sostituire d’uffic operando una valutazione in bonam partem della, pericolosità sociale del soggetto, l’originaria misura, laddove ritenuta eccessivamente gravosa, con quella della libertà vigilata.
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza della doglianza in esame.
3. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per non avere il Tribunale di Sorveglianza di Roma dato adeguato conto delle ragioni che permettevano di applicare a Mariglen Cybi la misura di sicurezza personale della libertà vigilata, a fronte delle emergenze processuali, collegate alla stabilità della situazione socio-familiare del ricorrente, che non consentivano di ritenerlo socialmente pericoloso.
Osserva il Collegio che il Tribunale di Sorveglianza di Roma respingeva l’appello proposto da COGNOME in funzione dell’impugnazione proposta avverso il provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza di Roma il 19 febbraio 2024, sulla base di un’ineccepibile valutazione della condizione di pericolosità sociale del ricorrente.
Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, invero, dava atto che l’originario provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato di Cybi, che era stato adottato dal Magistrato di sorveglianza di Roma il 19 febbraio 2024, si fondava su un giudizio di pericolosità sociale inadeguato, essendo necessario procedere alla sua riformulazione alla luce dell’attuale condizione socio-familiare del ricorrente.
Si evidenziava, in proposito, che la condizione di pericolosità sociale del ricorrente, che aveva legittimato l’adozione dell’originaria misura di sicurezza, ex art. 35 cod. pen., non era, ex se, venuta meno, attesi i suoi numerosi pregiudizi penali e la sua situazione di precarietà economica, in merito alla quale, a pagina 1 del provvedimento impugnato, si segnalava che il condannato non «ha alcun contratto di lavoro ma ha riferito di occuparsi occasionalmente di compravendita di auto tra Albania ed Italia».
Tuttavia, la condizione di pericolosità sociale di Cybi, rispetto al momento della condanna pronunciata dalla Corte di appello di L’Aquila il 15 gennaio 2019, si era affievolita, dovendosi tenere conto del fatto che il suo intero nucleo familiare – composto dai genitori, due sorelle, la moglie e una figlia – risiedeva in Italia, con la conseguenza che l’eventuale espulsione dal territorio dello Stato sarebbe risultata eccessivamente gravosa per il ricorrente, alla luce dei parametri umanitari di cui all’art. 8 CEDU.
Sulla scorta di questa valutazione della personalità di COGNOME, fondata su un’analitica ricognizione dei suoi pregiudizi penali e della sua attuale condizione socio-familiare, il Tribunale di Sorveglianza di Roma riteneva che la pericolosità sociale del prevenuto si fosse attenuata e che il provvedimento di espulsione dal territorio dello Stato italiano fosse eccessivamente gravoso rispetto alla gestione dei suoi rapporti familiari, che, nel rispetto dei principi di proporzionalità
adeguatezza, inducevano a ritenere opportuna la sostituzione dell’origina misura di sicurezza personale con quella della libertà vigilata.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da COGNOME deve esse rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spe processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 7 novembre 2024.