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Misure di prevenzione: quando il ricorso è inammissibile

Un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale per presunti legami con la criminalità organizzata si rivolge alla Corte di Cassazione. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che per le misure di prevenzione l’appello è consentito solo per violazioni di legge e non per una nuova valutazione dei fatti. Poiché la decisione del giudice di merito era basata su prove concrete e adeguatamente motivata, il ricorso è stato respinto.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure di prevenzione: i limiti del ricorso in Cassazione

Le misure di prevenzione rappresentano uno strumento cruciale per contrastare la pericolosità sociale di determinati soggetti, anche prima della commissione di un reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 20176/2024) offre un’importante lezione sui limiti del ricorso contro tali provvedimenti, sottolineando la differenza tra una violazione di legge e una semplice contestazione dei fatti. Analizziamo insieme il caso per comprendere meglio i confini del giudizio di legittimità in questa delicata materia.

Il caso: dalla sorveglianza speciale al ricorso

Il Tribunale di Trapani aveva disposto la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per tre anni, nei confronti di un individuo ritenuto affiliato a una nota famiglia mafiosa siciliana. La decisione, confermata dalla Corte di Appello di Palermo, si basava su un solido quadro probatorio che includeva una sentenza definitiva, un’ordinanza di custodia cautelare, intercettazioni e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

Secondo i giudici di merito, il soggetto avrebbe svolto un ruolo di rilievo nella gestione della latitanza di un capo clan di spicco, intrattenendo rapporti con il reggente del mandamento locale e gestendo lo scambio di informazioni tra i vertici dell’organizzazione.

I motivi del ricorso

Attraverso il proprio difensore, il soggetto ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una “mancanza o motivazione meramente apparente”. In sostanza, sosteneva che i giudici non avessero adeguatamente spiegato:
* Le modalità operative con cui avrebbe supportato la latitanza del capo.
* Le specifiche occasioni in cui avrebbe curato lo scambio di comunicazioni.
* Il suo presunto ruolo di prestigio all’interno della consorteria criminale.

Il ricorrente negava inoltre qualsiasi rapporto con il boss latitante e contestava le accuse, affermando di essersi sempre mantenuto con proventi leciti e di essersi ormai allontanato dalle logiche criminali.

Le Misure di Prevenzione e la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Per comprendere questa decisione, è fondamentale ricordare un principio cardine del procedimento di prevenzione: il ricorso in Cassazione è ammesso solo per “violazione di legge”. Questa nozione include anche il vizio di motivazione, ma solo quando essa è totalmente assente o “meramente apparente”, cioè quando le argomentazioni sono talmente illogiche, generiche o contraddittorie da non poter essere considerate una vera giustificazione della decisione.

Le motivazioni

La Corte ha stabilito che, nel caso di specie, non vi era alcun difetto radicale di motivazione. Al contrario, i giudici di merito avevano fondato la loro decisione su una pluralità di fonti probatorie, costruendo un percorso logico coerente. Avevano valorizzato una sentenza definitiva, intercettazioni e le dichiarazioni di un collaboratore per delineare l’affiliazione del soggetto e il suo ruolo attivo nell’organizzazione.

Per quanto riguarda l’attualità della pericolosità, la Corte d’Appello aveva correttamente osservato che l’affiliazione era di lunga data e non erano emersi elementi concreti che indicassero una dissociazione del soggetto da un’organizzazione criminale tuttora operativa.

Gli argomenti del ricorrente sono stati quindi qualificati non come una denuncia di una violazione di legge, ma come un tentativo di rimettere in discussione la valutazione dei fatti e delle prove, un’operazione non consentita in sede di legittimità per le misure di prevenzione.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Il suo compito è assicurare la corretta applicazione della legge, non riesaminare le prove. Quando una decisione è fondata su un’analisi logica e coerente degli elementi disponibili, non può essere annullata solo perché la difesa propone una diversa lettura dei fatti. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, sancisce l’abuso dello strumento processuale per finalità non consentite dalla legge.

Quando è possibile fare ricorso in Cassazione contro le misure di prevenzione?
Il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge. Questa categoria include anche la motivazione inesistente o meramente apparente, che si verifica quando il provvedimento non spiega affatto le ragioni della decisione o lo fa in modo illogico o contraddittorio.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni presentate non denunciavano una violazione di legge, ma contestavano la valutazione dei fatti e delle prove operata dai giudici di merito. Questo tipo di contestazione non è permessa in sede di Cassazione per i procedimenti di prevenzione.

Come è stata valutata l’attualità della pericolosità del soggetto?
La Corte ha ritenuto che l’attualità della pericolosità fosse dimostrata dalla lunga e risalente affiliazione del soggetto a un’organizzazione criminale ancora operativa, unita all’assenza di elementi concreti che potessero far ritenere avvenuta una sua dissociazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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