Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4529 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4529 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro sul ricorso proposto da nel procedimento nei confronti di
COGNOME NOME nato a Lamezia Terme il 25/8/1961
COGNOME NOME nato a Lamezia Terme il 18/5/1971
COGNOME NOME nato a Lamezia Terme il 2/6/1968
avverso il decreto emesso il 15 marzo 2024 dalla Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
lette le richieste del difensore del terzo interessato, Banco BPM S.p.A., Avv. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le richieste dei difensori di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME e Avv.
NOME COGNOME che hanno concluso per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso con
la restituzione delle imprese ai legittimi proprietari;
lette le richieste dei difensori di COGNOME e COGNOME Marcello, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con il decreto impugnato la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello del Pubblico Ministero avverso il decreto di rigetto della richiesta di applicazione della confisca di prevenzione nei confronti dei proposti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.11 Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro propone ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento del provvedimento sulla base di due motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione
2.1. Violazione degli artt. 416-bis cod. pen., 4 e 16 d. 1gs. n. 159 del 2011.
Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale ha omesso di compiere un’autonoma valutazione degli elementi probatori emergenti dal procedimento penale “RAGIONE_SOCIALE” a carico di NOME COGNOME, conclusosi con sentenza non definitiva di assoluzione per non aver commesso il fatto, ed ha escluso la pericolosità qualificata dei proposti sulla sola base delle dichiarazioni rese da uno dei collaboratori di giustizia, NOME COGNOME La Corte ha, tuttavia, omesso di valutare le altre fonti di prova da cui è possibile desumere che il gruppo COGNOME costituisce una entità economica completamente al servizio del clan COGNOME, dal quale riceve “protezione” (si richiamano, ad esempio, le dichiarazioni da cui risulta che NOME COGNOME si era rivolto alla cosca COGNOME per recuperare la bara del padre). Si segnalano, in particolare, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME (che ha riferito della disponibilità della cosca COGNOME a risolvere le questioni poste da NOME COGNOME), NOME COGNOME (in merito alla vicinanza tra i NOME COGNOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME (che ha riferito che NOME COGNOME era il volto legale della cosca COGNOME), nonché le risultanze delle intercettazioni telefoniche che, a riscontro delle dichiarazioni rese, consentono di desumere i contatti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME.
E’, inoltre, apparente o mancante la motivazione sugli elementi indiziari relativi alle seguenti vicende (riferite dai collaboratori di giustizia), ad avviso de ricorrente sintomatiche dei rapporti di contiguità tra i proposti e la cosca COGNOME:
la gambizzazione di NOME COGNOME avvenuta, secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia Torcasio, COGNOME e COGNOME, su richiesta dello stesso NOME COGNOME; ii) la vicenda “Gentile” in merito alla intenzione di NOME
Scordannaglia di aprire un centro commerciale concorrente con quello di NOME COGNOME; iii) l’affidamento dei lavori di ampliamento del centro commerciale “I due mari” a una impresa della cosca COGNOME; iv) la vicenda FIAT; v) l’assunzione di soggetti vicini alla cosca COGNOME; vi) il ripristino della fornitura di prodotti d forno da parte del panificio “San Giovanni” di NOME COGNOME, contiguo alla cosca COGNOME ; vii) la fornitura di latticini da parte di altra azienda (RAGIONE_SOCIALE) vicina alla cosca COGNOME
Aggiunge, ancora, il ricorrente che sempre dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME emerge che il centro commerciale “Due Mari” era protetto dalla cosca COGNOME (si segnala, inoltre, che NOME COGNOME gestiva un bar all’interno di tale centro; che, più in generale, il gruppo imprenditoriale COGNOME era colluso con la cosca COGNOME–COGNOME sin da quando detto gruppo era guidato dal padre dei proposti).
Ad avviso del ricorrente, il decreto impugnato ha omesso di motivare sulla pericolosità della famiglia COGNOME sin dal 1985, non considerando che i collaboratori di giustizia hanno indicato il padre dei proposti quale intraneo nelle consorterie di ‘ndrangheta di Lannezia Terme.
2.2. Violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sproporzione reddituale e sulla richiesta del Sostituto Procuratore Generale di udienza di disporre una perizia. Si aggiunge, inoltre, che la Corte territoriale ha omesso di valutare gli accertamenti patrimoniali della Guardia di Finanza, richiamando, invece, le risultanze di una consulenza tecnica di parte. Ad avviso del ricorrente le risultanze di tali accertamenti, lette congiuntamente alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, rivelano che la famiglia COGNOME non disponeva di risorse economiche idonee ad acquisire l’impero economico che è attualmente nella sua disponibilità.
3. I difensori di NOME COGNOME hanno depositato una memoria in cui, in primo luogo, si è eccepita l’inammissibilità del ricorso, in quanto contenente una mera prospettazione di una alternativa lettura delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e delle intercettazioni (in cui COGNOME non è mai interlocutore) e privo del requisito dell’autosufficienza. Si rileva, inoltre, che il ricorso lamenta l’omessa motivazione su punti non devoluti con l’atto di appello (disponibilità da parte della cosca COGNOME di un bar all’interno del centro commerciale di Perri; la questione relativa all’iniziativa imprenditoriale di Scordamaglia, del tutto diversa, sostengono i proposti, dalla c.d. “vicenda Gentile”). Si aggiunge, ancora, che il ricorrente lamenta genericamente l’omessa valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dichiarazioni che, invece, sono state valutate dalla Corte territoriale e ciò anche in relazione alla vicenda del trafugamento della bara del padre dei Perri e alla gambizzazione di NOME COGNOME le cui dichiarazioni sono state, peraltro
smentite da quelle rese da COGNOME. Si insiste, inoltre, sulla sussistenza e adeguatezza della motivazione dei due provvedimenti di merito su tutti gli aspetti di criticità segnalati nel ricorso, motivazione fondata su attenta lettura delle risultanze dibattimentali acquisite nel corso del processo Andromeda.
Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva, tra l’altro, che il mancato accertamento della pericolosità sociale non consente di disporre misure ablatorie e ciò a prescindere dalla eventuale sussistenza della sproporzione patrimoniale.
3.1. Con successiva memoria di replica alla requisitoria del Procuratore Generale i difensori hanno insistito sulla completezza della motivazione e sulla inammissibilità o infondatezza del ricorso.
I difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentano due memorie dall’identico contenuto in cui si eccepisce l’inammissibilità del ricorso per un duplice ordine di ragioni: i) pur denunciando una violazione di legge in relazione alla mancanza o apparenza della motivazione, sollecita una lettura alternativa degli elementi indiziari compiutamente valutati dai Giudici di merito; li) omette di considerare sia il “giudicato endoprocessuale” formatosi in relazione alla definitività del rigetto della richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale – rigetto fondato sulla mancanza di pericolosità sociale dei proposti sia la definitività del provvedimento impugnato nella parte in cui ha annullato il sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Giova premettere che nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 159/2011, richiamato, per le impugnazioni dei provvedimenti di confisca, dal successivo art. 27, comma 2.
Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’ 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. 159/2011), il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione, ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la motivazione può considerarsi inesistente o meramente apparente solo quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa; cioè quella motivazione nella quale il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263100).
2. Sulla base di tale ristretto perimetro della cognizione riservata al giudice di legittimità in tema di impugnazioni di provvedimenti relativi all’applicazione delle misure di prevenzione, ritiene il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto, lungi dall’evidenziare una ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, si risolve nella sollecitazione di una non consentita rilettura delle emergenze procedinnentali, provando a togliere forza persuasiva alla motivazione del decreto impugnato che appare completa, congrua ed idonea ad illustrare le ragioni della decisione.
Contrariamente a quanto sembra prospettare il ricorrente, il decreto impugnato, pur condividendo le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale con la sentenza di assoluzione di NOME COGNOME non si è limitato ad un suo acritico recepimento né alla valutazione delle dichiarazioni del solo collaboratore COGNOME ma ha analizzato, escludendone l’attendibilità, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia in quanto generiche, de relato e prive di riscontri.
La maggior parte delle vicende segnalate dal ricorrente sono state adeguatamente valutate e reputate inidonee a rivelare l’asserita contiguità di NOME COGNOME al sodalizio mafioso, ponendosi, in particolare, l’accento sulle seguenti circostanze: i) COGNOME non era mai l’interlocutore delle conversazioni intercettate; ii) solo due società, tra le migliaia che avevano rapporti con il gruppo imprenditoriale, sono risultate “vicine” alla cosca; iii) la possibile alternativa lettura delle assunzioni dei quattro soggetti ritenuti “vicini” alla cosca; iv) l’assenza di interlocuzioni dirette con NOME COGNOME e la non decisività delle conversazioni intercettate a dimostrare l’appartenenza di COGNOME al sodalizio mafioso.
Siffatte conclusioni, oltre che fondate su adeguato percorso argomentativo, appaiono coerenti con la nozione di “appartenenza” ad associazione mafiosa, come definita dalle Sezioni Unite, comprensiva della condotta che, sebbene non riconducibile alla “partecipazione”, si sostanzia in un’azione, anche isolata, che sia, comunque, funzionale agli scopi associativi, con esclusione delle situazioni di mera contiguità o di vicinanza al gruppo criminale (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017 , dep. 2018, Gattuso Rv. 271512).
Dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso, il 12 novembre 2024.