Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23973 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23973 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOMECOGNOME nato il 19/01/1965 a Sinopoli (RC)
NOME nata il 19/03/1995 a Cinquefrondi (RC)
avverso il decreto del 08/10/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato in epigrafe la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato il provvedimento di applicazione, nei confronti di NOME COGNOME della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o dimora abituale per la durata di
anni quattro, con versamento della cauzione di euro 4.000,00, nonché della confisca della polizza Poste Vita S.p.a. e del deposito a risparmio intestati a NOME COGNOME figlia del proposto e terza interessata.
I difensori di NOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso per cassazione avverso detto decreto e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo con due articolati motivi:
2.1. la violazione degli artt. 1 e 4 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sia per quanto riguarda l’inquadramento di NOME COGNOME nella categoria dei soggetti socialmente pericolosi, sia per la ritenuta attualità della pericolosità sociale, declinata in base a una decisione non irrevocabile. Il giudice della prevenzione non avrebbe autonomamente valutato gli elementi emersi nel corso del procedimento penale, né avrebbe adeguatamente argomentato circa il giudizio prognostico relativo alla probabile futura commissione di reati;
2.2. la violazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 159 del 2011 con riferimento alla confisca dei beni subita dalla terza interessata NOME COGNOME figlia del proposto. La Corte d’appello ha rigettato l’assunto difensivo, secondo cui le somme confiscate erano nella reale disponibilità della ricorrente, alla stregua di mere congetture, senza chiarire in base a quali elementi abbia dedotto la illecita immissione di capitali nei conti della stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va premesso che in materia di misure di prevenzione, personali o patrimoniali, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4, commi 10 e 11, I. n. 1423 del 1956, richiamato dall’art. 3 -ter, comma 2, I. n. 575 del 1965, confluito nell’art. 10 d.lgs. n. 159 del 2011, richiamato dall’art. 27 del medesimo decreto per la misura patrimoniale. A siffatta circoscrizione del perimetro cognitivo proprio dei procedimenti di prevenzione, riconosciuta come coerente con i precetti costituzionali (Corte cost., n. 106 del 2015), si sommano i limiti intrinseci del giudizio di legittimità, che, com’è noto, non può occuparsi della revisione del giudizio di merito, né della valutazione dei fatti, ma deve attenersi alla verifica della correttezza giuridica e logica delle statuizioni del provvedimento impugnato.
Alla luce di tale premessa, il primo motivo di ricorso si rivela articolato in termini meramente fattuali e di merito, non consentiti in sede di legittimità.
Invero, il decreto impugnato contiene una congrua delucidazione del percorso che ha giustificato l’applicazione della misura di prevenzione. La Corte d’appello ha, infatti, proceduto ad una valutazione autonoma delle risultanze de procedimento c.d. “Iris” (n. 437/2014 R.g.n.r. D.D.A. Reggio Calabria), nel quale si contestavano al proposto il coinvolgimento nella cosca di ‘ndrangheta degli COGNOME, nonché varie condotte di estorsione e truffa per l’ottenimento d erogazioni pubbliche, tutte connotate da aggravante mafiosa, oltre a fatti d corruzione elettorale. Sono stati sottolineati gli elementi emergenti da ordinanze cautelari, così come sono state puntualmente descritte le scansioni temporali con cui la difesa ha chiesto e ottenuto dalla Corte di attendere l’es del processo penale, terminato con la condanna di NOME COGNOME alla pena di quindici anni di reclusione. Anche il profilo della attualità della pericolo sociale è stato oggetto di attenta considerazione, là dove la Corte, con riguard alla detenzione patita dal proposto, ha ritenuto che “è quanto mai improbabile che .. possa aver significativamente inciso sulla sua pericolosità sociale qualificata”, sottolineando che tale periodo ha fatto seguito ad altro, sofferto in epoca precedente, che non aveva avuto esiti positivi in termini d risocializzazione.
La Corte ha rimarcato che il decorso del tempo e la portata rieducativa in concreto della detenzione espiata non possono avere una valenza astratta o teorica, ma avrebbero dovuto essere accompagnati da segni concreti ed espliciti, significativi del distacco dall’opzione criminosa, nella specie individuabili, tali da contrastare la già manifestata recidiva. A ciò si aggiunge descrizione del percorso criminale del proposto, inserito da decenni in un contesto familiare e sociale “intriso da una pluridecennale militanza O ‘ndranghetistica” risultando egli stesso affiliato alla mur di appartenenza nonché “inserito nelle relative attività di tipo mafioso quantomeno dalla fine del secolo scorso, come emerge dalla prima condanna a suo carico del 2001”.
In definitiva, non sembra che il ricorrente si misuri realmente con l puntuali argomentazioni che entrambi í giudici della prevenzione hanno esplicitato a sostegno della prospettazione dell’accusa. E, com’è noto, no risponde allo schema dell’impugnazione di legittimità, né è consentito alla Corte di cassazione di spingersi a controllare la rispondenza del diffuso, puntuale logico apparato argomentativo del provvedimento impugnato alle risultanze processuali, sovrapponendo la propria valutazione al motivato apprezzamento degli elementi fattuali compiuto dal giudice del merito: soprattutto laddove i ricorso per cassazione, come nella specifica materia delle misure di prevenzione, sia, come già ricordato, proponibile solo per violazione di legge.
3. Neppure il secondo motivo di ricorso, concernente la confisca operata sui beni della terza interessata NOME COGNOME si sottrae alla valutazione
inammissibilità. La Corte ha preso in esame le deduzioni difensive, secondo cui le somme sequestrate apparterrebbero alla sola NOME COGNOME che le aveva
ricevute come doni di nozze e ha ritenuto che si trattasse di affermazioni alcun modo dimostrate. I Giudici della prevenzione, pur ritenendo plausibile (ma
non certo) che, dopo il matrimonio, NOME COGNOME si fosse allontanata dal nucleo familiare del padre, hanno rimarcato che non è stata prodotta alcuna
indicazione specifica relativa a un nuovo indirizzo di residenza o alla circostan del trasferimento della donna e del marito in una nuova abitazione, dimostrando
così la fragilità delle allegazioni difensive. La Corte ha, in ogni modo, valutato deduzione difensiva secondo cui le somme costituirebbero regalie conseguite
dalla donna in occasione del matrimonio, sottolineando però che, anche in tale caso, sarebbe stato necessario un principio di prova, pur generico, sull
possibilità che si trattasse veramente di donativi ricevuti dai nubendi. Vicever nulla è stato allegato al di là della mera enunciazione, neppure relativamente
nominativi degli ipotetici elargitori, di tal che la Corte ha conseguentemente logicamente desunto l’insussistenza della tesi difensiva.
Trattasi, a ben vedere, anche in questo caso, di apprezzamenti fattuali che siccome congruamente giustificati con coerente apparato argomentativo e corretti in linea di diritto, non sono sindacabili in sede di controllo di legit del provvedimento impugnato.
I ricorsi, condividendosi il puntuale ragionamento della requisitoria del P.G., vanno quindi dichiarati inammissibili e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ciascuno, della somma, ritenuta equa, di tremila euro alla Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 14/05/2025