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Misure di prevenzione: inammissibile il ricorso generico

La Corte di Cassazione ha confermato l’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali, inclusa la confisca di beni, nei confronti di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso per reati ambientali aggravati dal metodo mafioso. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili per genericità, poiché non contestavano specificamente le motivazioni della corte d’appello, e per difetto di interesse nel caso dei terzi intestatari dei beni.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure di prevenzione e ricorso in Cassazione: il principio di specificità

L’applicazione di misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali, rappresenta uno strumento cruciale nel contrasto alla criminalità organizzata e a forme di illegalità sistematica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 35389/2024, ribadisce principi fondamentali riguardo l’onere di specificità dei ricorsi e i limiti delle contestazioni sollevabili dai terzi interessati. Il caso analizzato riguarda un imprenditore accusato di gravi reati ambientali, aggravati dal metodo mafioso, a cui sono state applicate la sorveglianza speciale e la confisca di un ingente patrimonio.

I fatti del caso: dalle accuse di reati ambientali alla confisca

Il Tribunale di Firenze aveva applicato a un imprenditore la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, oltre alla confisca di denaro, beni mobili, immobili e quote societarie. La decisione si fondava su un giudizio di duplice pericolosità: “qualificata”, per i gravi indizi relativi a reati come il traffico organizzato di rifiuti e l’estorsione aggravata dal metodo mafioso, e “generica”, per aver vissuto per quasi un decennio con i proventi di tali attività illecite. La Corte di appello di Firenze aveva confermato integralmente questo provvedimento.

Contro la decisione di secondo grado, l’imprenditore e diversi suoi familiari, in qualità di terzi interessati titolari dei beni confiscati, hanno proposto ricorso per cassazione.

I motivi del ricorso contro le misure di prevenzione

La difesa ha articolato il ricorso su diversi punti, sostenendo principalmente:

* Insussistenza dei presupposti: Si lamentava che la Corte d’appello avesse basato la propria decisione su un mero richiamo alle imputazioni penali, senza un’autonoma valutazione della pericolosità sociale.
* Errato calcolo dei profitti illeciti: Veniva contestata la quantificazione di ingenti somme, ritenute dalla difesa un semplice “risparmio di spesa” e non un profitto diretto, oppure calcolate in via puramente ipotetica.
* Mancanza di correlazione temporale: Si eccepiva che le società confiscate erano state costituite molto prima del periodo in cui si sarebbe manifestata la pericolosità sociale dell’imprenditore.
* Questione di legittimità costituzionale: Si chiedeva di sollevare una questione di incostituzionalità per l’equiparazione, ai fini delle misure di prevenzione, tra l’indiziato di un reato comune e quello di un reato di matrice associativa mafiosa.

La decisione della Corte di Cassazione sulle misure di prevenzione

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi. La decisione si fonda su argomentazioni precise che distinguono la posizione del soggetto “proposto” da quella dei “terzi interessati” e chiariscono i requisiti di ammissibilità di un ricorso in sede di legittimità.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha esaminato separatamente le posizioni dei ricorrenti, giungendo a conclusioni nette.

L’inammissibilità del ricorso dei terzi interessati

I giudici hanno ribadito un principio consolidato: i terzi i cui beni sono stati confiscati possono contestare in giudizio esclusivamente la loro effettiva titolarità e proprietà, dimostrando la loro estraneità ai fatti illeciti. Non sono invece legittimati a contestare i presupposti della misura applicata al soggetto principale, come la sua pericolosità sociale o la sproporzione tra i beni e il reddito dichiarato. Tali censure sono di pertinenza esclusiva del proposto.

La genericità del ricorso principale

Il ricorso dell’imprenditore è stato giudicato inammissibile per “genericità”. La Cassazione ha rilevato come la difesa si sia limitata a riproporre in modo confuso e indeterminato le stesse questioni già sollevate in appello, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni contenute nel decreto impugnato. Un ricorso per cassazione non può essere una semplice ripetizione dei motivi di appello, ma deve contenere critiche mirate e puntuali alla decisione di secondo grado.

La corretta valutazione della pericolosità e dei profitti illeciti

La Corte ha smentito la tesi difensiva secondo cui i giudici di merito si sarebbero limitati a richiamare le imputazioni. Al contrario, la Corte d’appello aveva puntualmente analizzato le condotte contestate, come la gestione illecita di ingenti quantità di rifiuti speciali, mescolati e riutilizzati illegalmente, e i collegamenti con note cosche criminali. Inoltre, la Cassazione ha confermato la correttezza del calcolo dei profitti, chiarendo che anche il “risparmio di spesa” (ad esempio, i costi evitati per il corretto smaltimento dei rifiuti) costituisce un profitto indiretto confiscabile. Anche l’altra somma contestata non era ipotetica, ma basata su un calcolo preciso indicato nel capo di imputazione (euro per tonnellata di rifiuti smaltiti illecitamente).

Le conclusioni

La sentenza rafforza alcuni pilastri del sistema delle misure di prevenzione. In primo luogo, sottolinea l’importanza del requisito di specificità del ricorso per cassazione: non basta dissentire dalla decisione, ma è necessario criticarla con argomenti pertinenti e non ripetitivi. In secondo luogo, definisce chiaramente il perimetro di intervento dei terzi interessati, limitato alla prova della titolarità e della buona fede. Infine, conferma che la valutazione della pericolosità può fondarsi su un quadro indiziario grave, preciso e concordante, anche in assenza di una sentenza penale definitiva, e che il profitto confiscabile include sia i guadagni diretti sia i vantaggi indiretti, come i risparmi sui costi.

Un terzo a cui vengono confiscati i beni può contestare la pericolosità sociale del soggetto principale?
No. Secondo la sentenza, il terzo interessato può rivendicare esclusivamente l’effettiva titolarità e proprietà dei beni sottoposti a vincolo, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione, come la condizione di pericolosità del proposto.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per “genericità”?
Un ricorso è considerato generico, e quindi inammissibile, quando si limita a riproporre le stesse questioni già sollevate in appello in modo confuso e indeterminato, senza censurare in maniera specifica e puntuale le argomentazioni della decisione impugnata.

Il “risparmio di spesa” derivante da un’attività illecita può essere considerato profitto e quindi confiscato?
Sì. La sentenza chiarisce che il profitto illecito confiscabile non è solo l’utile diretto, ma anche l’utile indiretto, che include il risparmio conseguito evitando i costi che si sarebbero dovuti sostenere operando nella legalità (ad esempio, i costi per il corretto smaltimento di rifiuti).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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