Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6090 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6090 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 20/02/1948 COGNOME NOME nata a NAPOLI il 17/03/1991
avverso il decreto del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che
ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto impugnato, emesso il 30 gennaio 2024, la Corte di appello di Napoli – Sezione Misure di prevenzione – ha confermato il provvedimento con il quale il Tribunale di Napoli, con provvedimento del 20 settembre 2022, aveva disposto la confisca dei beni nei confronti di COGNOME.
Avverso il decreto della Corte di appello, COGNOME NOME e COGNOME NOME (nella qualità di terza intestataria) hanno proposto ricorso per cassazione, con un unico atto, a mezzo del loro difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 4 legge n. 1423 del 1956, 2-bis e 2-ter legge n. 575 del 1965, 20 e 24 d.lgs. n. 159/2011, 47 Carta dei diritti fondamentale dell’UE, 6 Cedu, 24 e 111 Cost.
I ricorrenti sostengono che: l’ultima condotta criminosa ascrivibile a Cafiero Rocco risalirebbe all’ottobre 2003; il preposto, recentemente, sarebbe stato assolto dei reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, di riciclaggio e di intestazione fittizia.
Tanto premesso, i ricorrenti sostengono che l’applicazione della misura di prevenzione, a distanza di 20 anni dall’ultima condotta penalmente rilevante, risulterebbe del tutto ingiustificata e, in ogni caso, assunta in violazione dei principi in materia, desumibili dalla Costituzione e dalla CEDU.
Il procedimento, all’esito del quale è stata applicata la misura di prevenzione, infatti, risulterebbe caratterizzato da gravi violazioni delle norme sull’equo processo e sul diritto di difesa, atteso che a, sostegno del provvedimento di confisca, sarebbero stati posti elementi indiziari raccolti «unilateralmente» dall’autorità giudiziaria procedente, senza consentire né al preposto né ai terzi interessati di «integrare il contraddittorio».
Il successivo contraddittorio operato davanti al Tribunale di Napoli sarebbe stato meramente «effimero», in quanto integrato in modo non tempestivo, dopo che erano trascorsi svariati anni dal momento in cui erano stati assunti gli elementi posti a base della misura di prevenzione e senza, poi, concedere alla difesa il tempo necessario per poter compiere indagini difensive e raccogliere documenti utili a smentire l’ipotesi dell’autorità giudiziaria procedente.
Sotto altro profilo, i ricorrenti sostengono che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che le precedenti condanne riportate dal preposto fossero relative a reati rientranti tra quelli indicati dall’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011.
2.2. Con un secondo motivo, deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 4 legge n. 1423 del 1956, 2-bis e 2-ter legge n. 575 del 1965, 20 e 24 d.lgs. n. 159/2011, 28 e 649 cod. proc. pen., 50 Carta dei diritti fondamentale dell’UE, 4 Cedu, 24, 27 e 111 Cost.
Sostengono che l’applicazione della misura di prevenzione costituirebbe una duplicazione dei giudizi già compiuti dall’autorità giudiziaria sul proposto e sui beni ritenuti nella sua disponibilità. La precedente sentenza di condanna, infatti, verrebbe utilizzata nuovamente per l’applicazione della misura di prevenzione.
Sostiene, inoltre, che il preposto, essendo stato assolto, con sentenza del 2021, dai reati di associazione per delinquere, di riciclaggio e di intestazione fittizia, con conseguente restituzione dei beni in sequestro, non potrebbe essere sottoposto a un’ulteriore procedura ablativa.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Il motivo si presenta del tutto generico, atteso che i ricorrenti non deducono la violazione di alcuna specifica norma processuale e sostanzialmente finiscono per muovere delle generiche censure alla normativa processuale in materia, più che all’operato della Corte di appello. Del tutto generica è anche la censura relativa ai tempi ristretti lasciati al preposto per articolare le proprie difese, atteso che il ricorrente non adduce la violazione di alcuna norma relativa ai termini processuali e neppure indica quale sarebbe stato il tempo effettivamente a disposizione del preposto per preparare la difesa.
Quanto al tempo decorso dall’ultima condotta penalmente rilevante, va rilevato che la Corte di appello di Napoli, correttamente, dopo avere indicato i precedenti penali di COGNOME e avere rilevato che le condotte rilevanti erano cessate all’inizio degli anni 2000, ha precisato che la mancanza del carattere dell’attualità del requisito della pericolosità non precludeva l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, con riferimento ai beni che erano stati acquistati nel periodo in cui si era manifestata la pericolosità sociale del preposto e che erano di valore sproporzionato rispetto alle sue risorse economiche di origine lecita.
E proprio al parametro della sproporzione del valore dei beni acquistati rispetto al reddito e alle fonti di arricchimento lecite, riferito al periodo di tempo in cui si era manifestata la pericolosità sociale, la Corte territoriale ha ancorato la propria decisione. La motivazione del provvedimento impugnato, richiamando anche il decreto n. 219 del 2022, emesso dal Tribunale di Napoli, ha posto in rilievo che COGNOME Rocco, tra il 1982 e il 2003, aveva rivestito un ruolo apicale nell’ambito di un’associazione criminale dedita al contrabbando di tabacchi lavorati esteri e che, da tale attività, aveva ricavato ingenti risorse economiche, ragionevolmente reimpiegate nell’acquisto dei beni confiscati, attesa la sproporzione del valore dei
beni acquistati nel periodo in questione, rispetto al reddito e alle risorse di provenienza lecita, entrati nella sfera di disponibilità del preposto nel periodo in cui si era manifestata la pericolosità sociale.
Va, infine, rilevato che è generica e manifestamente infondata l’affermazione relativa al fatto che la Corte di appello avrebbe dato rilievo a condanne per reati che non risulterebbero previsti dall’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011.
La Corte di appello, infatti, ha dato rilievo alla sentenza che aveva riconosciuto all’imputato una posizione apicale nell’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando, reato ricompreso tra quelli a cui dà rilievo la norma in questione.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Quanto al primo profilo, va ribadito che «è inapplicabile il principio del divieto di “bis in idem” tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poichè il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale» (Sez. 6, n. 44608 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265056). E non è applicabile il principio del “ne bis in idem” alle misure di prevenzione, nemmeno in considerazione «di quanto affermato nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, COGNOME c. Italia, poiché le stesse non hanno natura anche solo sostanzialmente penale, pure alla luce della elaborazione della giurisprudenza della medesima Corte EDU, la quale ne sottolinea la funzione di provvedimenti diretti ad impedire la commissione di atti criminali e non a sanzionare la realizzazione di questi ultimi» (Sez. 2, n. 26235 del 04/06/2015, Friolo, Rv. 264387).
Quanto al secondo profilo, va rilevato che è del tutto improprio il richiamo alla sentenza del 2021, di proscioglimento dai reati di associazione per delinquere, di riciclaggio e di intestazione fittizia, atteso che essa era relativa a reati diversi d quelli posti a base del provvedimento impugnato e che, almeno per quanto rappresentato nel ricorso, avevano portato a una confisca ex art. 12-sexies decreto-legge n. 306 del 1992, che deve essere distinta dalla confisca di prevenzione.
Al rigetto dei ricorsi, consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese process Così deciso, 22 novembre 2024 Il Consigliere estensore Il Pres ente