Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3677 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3677 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Torino il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Piegaro il DATA_NASCITA, rappresentante di RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale legale avverso il decreto emesso dalla Corte di appello di Perugia il 14/12/2022
Visti gli atti, il decreto impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 14 dicembre 2022 la Corte di appello di Perugia, in parziale accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di NOME
COGNOME e dei terzi interessati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, ha revocato il sequestro e la disposta confisca degli immobili di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, come specificati nel provvedimento, e ha rigettato il ricorso nel resto.
Avverso il suddetto decreto ha proposto ricorsO per cassazione il difensore di NOME COGNOME nonché dei terzi interessati NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE ; deducendo i seguenti motivi:
2.2. violazione di legge per assenza di motivazione o motivazione solo apparente su una prova acquisita su specifica richiesta della difesa. Le risultanze della perizia, disposta dalla Corte di appello, sarebbero in linea con le deduzioni difensive, secondo cui gli acquisti degli immobili, come analiticamente indicati nel ricorso, si sarebbero verificati in un periodo estraneo a quello in cui si assume essersi verificata la pericolosità sociale della proposta e, come tale, non potrebbero essere attinti da confisca di prevenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento.
Siffatto principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto al D.Igs. n. 159/2011, è valido tuttora, in quanto l’art. 10, comma 3, di tale decreto, pure richiamato dall’art. 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello può essere presentato solo per violazione di legge.
Ciò esclude che nel giudizio di legittimità possano essere dedotti meri vizi della motivazione, che si traducano in forme di illogicità ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi, valutati dai giudici di merito. D contro, sono rilevanti solo quei vizi che concretizzino un’ipotesi di motivazione assente ovvero apparente, intesa quest’ultima come motivazione «del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito», trattandosi di vizio che sostanzia una «inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali» (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246 – 01).
Tanto premesso, deve rilevarsi che è infondata la doglianza, formulata nel primo motivo dei ricorsi, concernente l’omessa autonoma valutazione da parte della Corte di appello degli elementi probatori e indiziari, tratti dai procedimenti penali in corso nei confronti della proposta NOME COGNOME.
Il Collegio territoriale, infatti, ha diffusamente passato in rassegna i procedimenti penali instaurati nei confronti della proposta (cfr. pagine da 5 a 8 del decreto impugnato), senza limitarsi a dare atto delle imputazioni e delle fonti di prova, ma riportando, con adeguata valutazione, le condotte illecite poste in
essere dalla proposta, che ha valorizzato al fine del giudizio sulla pericolosità sociale della stessa.
Al riguardo giova ricordare come sia risalente, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione secondo cui, tra il procedimento di prevenzione e il processo penale, sussistono profonde differenze funzionali e strutturali, essendo il secondo collegato a un determinato fatto reato e il primo riferito a una valutazione di pericolosità; sicché, la reciproca autonomia dei due processi spiega gli interventi del legislatore per regolare i punti di possibile interferenza abbandonando originarie sovrapposizioni e, di seguito, regole atipiche di pregiudizialità per pervenire, da ultimo, alla configurazione di ambiti di totale autonomia, salva l’opportuna disposizione di coordinamento e di economia investigativa (cfr., Sez. 1, n. 5786 del 21/10/1999, COGNOME; Rv. 215117 01; conf., Sez. 1, n. 5522 del 03/11/1995, COGNOME, Rv. 203027 – 01).
In quest’ultima pronuncia si è sottolineato che il procedimento di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale, perché nel primo si giudicano condotte complessive, ma significative della pericolosità sociale; nel secondo si giudicano singoli fatti da rapportare a tipici modelli di antigiuridicità, sicché n procedimento di prevenzione il giudice è legittimato a servirsi di elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali, prescindendo dalla conclusione alla quale il giudice è pervenuto e facendosi carico di individuare le circostanze di fatto rilevanti, accertate in sede penale, e rivalutarle nell’ottica del giudizio prevenzione.
Attesa, quindi, l’autonomia tra i due procedimenti, il giudice può valutare i fatti accertati in sede penale, al fine di giungere ad un’affermazione di pericolosità del proposto, non solo in caso di intervenuta declaratoria di estinzione del reato o di pronuncia di non doversi procedere, ma anche a seguito di sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., ove risultino delineati con sufficiente chiarezza e nella loro oggettività quei fatti che pur ritenuti insufficienti – nel merito o per preclusioni processuali – per una condanna penale, ben possono essere posti alla base di un giudizio di pericolosità (cfr.: Sez. 6, n. 4668 dell’8/01/2013, COGNOME, Rv. 254417 – 01; Sez. 2, n. 33533 del 25/06/2021, COGNOME, Rv. 281862 – 01; Sez. 2, n. 4191 dell’11/01/2022, COGNOME, Rv. 282655 – 01; Sez. 2, n. 25042 del 28/04/2022, COGNOME, Rv. 283559 – 03; Sez. 2, n. 15704 del 25/01/2023, COGNOME, Rv. 284488 – 01).
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che nessuna violazione di legge ha compiuto la Corte territoriale nel caso in esame, avendo valorizzato elementi probatori e indiziari tratti dai procedimenti penali e dato atto
delle ragioni per cui essi, dimostrativi di un modus operandi della proposta, erano da ritenere sintomatici della sua attuale pericolosità.
3.1. Deve poi rilevarsi che la Corte di appello ha motivato adeguatamente anche in ordine ai presupposti del profitto dei reati e della correlazione temporale.
Quanto al profitto, la menzionata Corte ha rilevato che le condotte illecite, evidenziate dai procedimenti penali, analiticamente indicati, risultavano indicative del conseguimento da parte di NOME COGNOME di elevati profitti indebiti, quantificabili nel complesso, sulla scorta delle imputazioni, nell’ordine d un milione di euro nel periodo dal 2009 al 2016 – 2017.
A fronte di ciò la proposta aveva indicato, nelle dichiarazioni dei redditi presentate nello stesso periodo, entrate ufficiali notevolmente inferiori, che non giustificavano le acquisizioni patrimoniali a lei direttamente o indirettamente riconducibili, il cui valore ammontava complessivamente a circa C 700.000,00, che risultavano effettuate in scansioni temporali compatibili con la realizzazione delle condotte delittuose individuate come verosimili fonti di arricchimento illecito.
La Corte di appello ha poi precisato che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, non rispondeva al vero che le condotte criminose, oggetto di indagini e dei procedimenti penali nei confronti di NOME COGNOME, si fossero limitate agli anni 2012 – 2014, essendosi sviluppate, invece, in un arco temporale molto più ampio, ossia dal 2009 al 2012 e fino al 2015 – 2016, per giungere al gennaio 2017.
Nell’ordinanza impugnata si afferma che il modus operandi della proposta consisteva nell’acquisto di immobili, che pagava in contanti ma per la maggior parte sottoscrivendo il relativo mutuo, di cui pagava alcune rate per qualche anno e poi smetteva di pagare, cosicché la banca iniziava una procedura esecutiva immobiliare e il bene, a distanza di anni, veniva acquistato nell’ambito della procedura esecutiva da un soggetto riferibile alla proposta, pagando una somma molto inferiore con denaro di provenienza ignota. I pagamenti, a mezzo dei quali gli immobili erano stati riacquistati, alla luce della ricostruzione operat dal Tribunale, si inserivano nel perimetro temporale oggetto delle condotte criminose o se ne distaccavano per un lasso di tempo di pochi mesi, inserendosi nell’ambito di una condotta consolidata, che ha avuto ad oggetto numerosi immobili e che si è protratta per un lungo lasso di tempo, coprendo l’intero periodo oggetto delle condotte sintomatiche della pericolosità’ dal 2009 al 2017, oggetto delle contestazioni.
Al cospetto di tali argomentazioni deve rilevarsi che le doglianzeyformulate dai ricorrenti, non sono consentite/in quanto con le stesse, lungi dall’evidenziare
un’ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, essi hanno proposto una rilettura delle emergenze procedimentali provando a togliere forza persuasiva all’ordito argomentativo contenuto nel decreto impugnato, caratterizzato, invece, da una motivazione completa e congrua, di certo idonea ad illustrare le ragioni della decisione.
Il secondo motivo dei ricorsi non è consentito.
In esso si lamenta che la Corte di appello non avrebbe considerato che le risultanze della perizia, disposta dall’anzidetta Corte, sarebbero in linea con le deduzioni difensive relative alla mancanza di correlazione temporale tra gli acquisti dei beni, oggetto di confisca, e le condotte illecite.
In tal modo i ricorrenti hanno censurato la valutazione che il Collegio di appello ha effettuato in ordine al requisito della correlazione temporale, così deducendo non violazioni di legge ma vizi della motivazione, estranei, però, al sindacato ammissibile da parte di questa Corte.
Il rigetto dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., l condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M1.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/11/2023