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Misure cautelari spaccio: Cassazione conferma carcere

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una donna contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per partecipazione a un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Il caso riguarda un’organizzazione criminale a base familiare. La Corte ha confermato la validità delle misure cautelari per spaccio, ritenendo l’indagata pienamente inserita nel sodalizio e sottolineando come il legame familiare rafforzasse, anziché diminuire, la pericolosità e la stabilità del gruppo. È stata inoltre confermata l’attualità delle esigenze cautelari, data la prosecuzione dell’attività illecita anche dopo l’arresto di altri membri.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure cautelari spaccio: la Cassazione conferma il carcere per l’associazione familiare

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso complesso relativo all’applicazione di misure cautelari per spaccio di stupefacenti nell’ambito di un’associazione criminale a conduzione familiare. La decisione conferma la linea dura della giurisprudenza nel valutare la pericolosità di tali sodalizi, anche quando uno dei membri tenta di minimizzare il proprio ruolo. Questo provvedimento offre spunti cruciali sulla valutazione della gravità indiziaria e sulla giustificazione della custodia in carcere.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un’indagine su un’organizzazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, operante in un quartiere di Roma. La particolarità del gruppo era la sua struttura prettamente familiare, gestita da una coppia di coniugi con il coinvolgimento attivo della loro figlia.

L’attività di spaccio era ben organizzata: si svolgeva presso l’abitazione familiare e si avvaleva di una rete di corrieri, sistemi di videosorveglianza, utenze telefoniche dedicate e un linguaggio criptico per le comunicazioni. A seguito delle indagini, basate su intercettazioni, pedinamenti e sequestri, il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere per la figlia della coppia, ritenuta un membro operativo dell’associazione.

La difesa della donna ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame, sostenendo che il suo contributo fosse stato meramente saltuario e occasionale, quasi un ausilio alle iniziative del padre, e che non sussistessero i presupposti per configurare un’associazione criminale stabile. Il Tribunale ha tuttavia rigettato la richiesta, confermando la gravità del quadro indiziario. Contro questa decisione, la difesa ha quindi proposto ricorso per Cassazione.

L’analisi della Corte e le misure cautelari spaccio

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo in tutti i suoi punti. L’analisi dei giudici si è concentrata su tre aspetti fondamentali:

1. La natura dell’associazione e il ruolo della ricorrente: La Corte ha ritenuto che il Tribunale del Riesame avesse correttamente valutato le prove, delineando un quadro in cui il ruolo della donna era tutt’altro che marginale. Era coinvolta attivamente nella preparazione dello stupefacente, nella vigilanza della piazza di spaccio, nel mantenimento dei contatti con i fornitori e, soprattutto, si era attivata per trovare canali di approvvigionamento alternativi dopo l’arresto del padre. Questo dimostrava un inserimento stabile e consapevole nel sodalizio criminale.
2. Il vincolo familiare come fattore aggravante: Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: i vincoli familiari, in contesti criminali, non escludono l’esistenza di un’associazione, ma anzi possono rafforzarla. La solidarietà familiare garantisce una maggiore stabilità, un forte interscambio di ruoli e una maggiore affidabilità tra i membri, rendendo l’organizzazione più coesa e pericolosa.
3. La giustificazione della custodia in carcere: La difesa aveva contestato la sussistenza di esigenze cautelari concrete e attuali. La Corte ha respinto anche questa doglianza, sottolineando come la pericolosità sociale della ricorrente fosse ancora attuale. Tale attualità era desumibile non solo dalla gravità dei reati contestati, ma anche da episodi successivi, come il rinvenimento di altra sostanza stupefacente durante perquisizioni avvenute mesi dopo i fatti principali, a dimostrazione che l’attività di spaccio non si era interrotta.

La valutazione delle esigenze cautelari

Un punto cruciale della sentenza riguarda la valutazione delle misure cautelari per spaccio. La Corte ha chiarito che il pericolo di recidiva non deve essere valutato solo in relazione all’operatività passata dell’associazione, ma anche alla possibile commissione di nuovi reati che esprimono la stessa ‘professionalità’ criminale. Il fatto che la ricorrente avesse continuato a operare nel medesimo contesto illecito anche dopo l’arresto del genitore e fosse stata trovata in possesso di droga in occasioni successive, ha reso evidente l’alta probabilità di reiterazione del reato, giustificando così la misura più afflittiva della custodia in carcere.

Le motivazioni della decisione

Le motivazioni della Cassazione si fondano sulla coerenza e logicità del ragionamento del giudice del riesame. La Corte non riesamina i fatti, ma controlla la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. In questo caso, il Tribunale aveva adeguatamente spiegato perché il contributo della ricorrente fosse vitale per l’associazione, perché i vincoli familiari rafforzassero il sodalizio e perché il pericolo di reiterazione del reato fosse concreto e attuale.

È stato evidenziato come le censure della difesa fossero ‘meramente avversative’, cioè si limitassero a proporre una lettura alternativa dei fatti senza individuare specifiche violazioni di legge o vizi logici nella decisione impugnata. La valutazione del giudice di merito, basata su un vasto panorama di intercettazioni e riscontri investigativi, è stata ritenuta immune da critiche sotto il profilo della legittimità.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di associazioni a delinquere finalizzate allo spaccio e di applicazione delle misure cautelari. In primo luogo, il carattere familiare di un’organizzazione criminale non è un elemento attenuante, ma può costituire un fattore che ne accresce la stabilità e la pericolosità. In secondo luogo, per giustificare la custodia in carcere, la valutazione del pericolo di recidiva deve essere ancorata a elementi concreti e attuali, che possono includere anche condotte successive ai fatti contestati, dimostrando la persistenza dell’inserimento dell’indagato in circuiti criminali.

Perché è stata confermata la custodia in carcere nonostante la giovane età e l’incensuratezza della ricorrente?
La custodia in carcere è stata confermata perché la Corte ha ritenuto prevalente l’elevato e attuale pericolo di reiterazione del reato. Tale pericolo era dimostrato dal suo ruolo operativo e non occasionale all’interno dell’associazione, dalla continuazione dell’attività illecita anche dopo l’arresto del padre e dal rinvenimento di stupefacenti in perquisizioni successive, elementi che indicavano un inserimento stabile in un contesto criminale.

In che modo il legame familiare ha influenzato la decisione della Corte?
Il legame familiare è stato considerato un fattore che rafforzava la struttura criminale, anziché indebolirla. Secondo la Corte, i vincoli di parentela in un’organizzazione dedita allo spaccio garantiscono maggiore stabilità, coesione e interscambiabilità dei ruoli tra i membri, aumentando di fatto la capacità operativa e la pericolosità del sodalizio.

Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione in materia di misure cautelari?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione delle norme di legge e l’assenza di vizi logici ‘manifesti’ nella motivazione del provvedimento impugnato. Se la motivazione è coerente e adeguatamente argomentata, come in questo caso, la Corte non può annullarla solo perché è possibile una diversa interpretazione dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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