Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35136 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 35136  Anno 2025
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME, nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/06/2025 del TRIBUNALE RIESAME di CATANZARO
visti gli atti, letto il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria dell’AVV_NOTAIO
FIORINA NOME COGNOME;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del Sostituto PG. NOME COGNOME.
Ricorso trattato con rito cartolare ai sensi degli artt. 610, comma 5, e 611, comma 1bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro del 24/06/2025, con cui è stata rigettata la richiesta di riesame avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che ha applicato al ricorrente la misura degli arresti domiciliari, in ordine al delitto di concorso in estorsione.
La difesa affida il ricorso a tre motivi:
2.1. Violazione dell’art. 291 cod. proc. pen., in relazione all’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Si denuncia la violazione del diritto di difesa conseguente alla mancata trasmissione, in sede di domanda cautelare, del verbale di o.c.p. richiamato a riscontro del materiale intercettivo sull’individuazione dell’indagato e sulla mancata coincidenza temporale degli eventi. Sul punto l’ordinanza era contraddittoria in quanto da un lato escludeva che l’atto di p.g. rilevi ai fini del fondamento della gravità indiziaria e, dall’altro, invece, ne menzionava l’esito dando contezza che tra i soggetti che erano stati visti allontanarsi dal luogo in cui si sarebbe verificato il pestaggio della p.o. vi era anche il ricorrente, unitamente a COGNOME e COGNOME, “giacché soggetti noti in quanto pregiudicati”. La difesa, nel ribadire l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare (già svolta in sede di interrogatorio di garanzia) evidenzia, al contempo, che il ricorrente non è pregiudicato e noto alle forze dell’ordine, annoverando un solo precedente in relazione alla violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 30971990, risalente all’anno 2015.
2.2. Inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., e vizio di motivazione.
La censura attiene alla ritenuta valenza autoaccusatoria che il Tribunale del riesame aveva attribuito alle intercettazioni ambientali del coindagato COGNOME NOME, invece, volte ad escludere qualsiasi suo coinvolgimento nei fatti; inoltre, si contesta che il contenuto del propalato – che offre spunti e versioni a seconda degli interlocutori – abbia portata indiziante contro il ricorrente. Infine, si evidenzia la distonia tra l’affermazione del Tribunale secondo cui le conversazioni sarebbero attendibili perché gli interlocutori non hanno sospetto di essere intercettati e il contenuto delle stesse in cui si dà contezza del contrario.
2.3. Inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il motivo riguarda la valutazione delle esigenze cautelari, essendosi il Tribunale limitato a richiamare integralmente la motivazione del AVV_NOTAIO, senza operare alcuna autonoma valutazione; inoltre, il richiamo all’unico precedente in materia di violazione della legge stupefacenti – datato 2015 – mal si conciliava
con l’attualità del pericolo. Infine, si lamenta che l’ordinanza impugnata nulla argomenti sulla proporzionalità e adeguatezza della misura avuto riguardo al tempus commissi delicti, collocato nel maggio 2023 e all’assenza di altre condotte successivamente contestate.
 Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con requisitoria del 24 settembre 2025, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria del 29 settembre 2025, la difesa dell’indagato ha replicato alla requisitoria del P.G. e insistito per l’accoglimento del ricorso, soffermandosi, in particolare, sui primi due motivi e sulle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è inammissibile.
Manifestamente infondata è anzitutto la censura con la quale si pretende di far derivare l’inefficacia della misura non dalla (omessa o incompleta) trasmissione degli atti dal gip al tribunale, ma dall’incompleta trasmissione, al AVV_NOTAIO, da parte del pubblico ministero di tutti gli atti di indagine richiamati nella richiesta di applicazione della misura, condizionando, tra l’altro, l’efficacia della misura disposta dal Gip ad un’attività esclusa dal suo dominio. La perdita di efficacia del provvedimento custodiale, infatti, consegue solo al mancato invio al tribunale distrettuale di tutti gli atti a suo tempo trasmessi al giudice per le indagini preliminari con la richiesta della misura; l’eventuale omissione del pubblico ministero nell’inoltro di atti investigativi, assunti prima della richiesta della misura (atti che, pertanto, il giudice per le indagini preliminari non ha potuto valutare) e il corrispondente mancato esame degli stessi da parte del tribunale del riesame, non determina la perdita di efficacia dell’ordinanza cautelare, ma solo l’inutilizzabilità di quelli che li presuppongono (Sez. U, n. 21 del 20/11/1996, dep. 1997, adora, Rv. 206955). Pertanto, l’inefficacia della ordinanza cautelare ex art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen. non si verifica se non risulta che l’atto asseritamente non inviato era stato trasmesso unitamente alla richiesta della misura al Gip (Sez. 1, n. 29036 del 06/02/2018, Scordio, Rv. 273296 – 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/03/2017, Cusmano, Rv. 269885 – 01; Sez. 1, n. 4567 del 22/01/2009, COGNOME, Rv. 242818 – 01. Da ultimo, Sez. 2, n. 11593 dell’11/03/2025, COGNOME, non mass.).
Né si può sindacare (se non, appunto, in termini di idoneità di tali atti a dar conto della sussistenza dei profili costitutivi della misura, la gravità indiziaria e le esigenze cautelari) la selezione che il pubblico ministero opera degli atti da produrre a sostegno della richiesta di applicazione di una misura cautelare. Una facoltà che, contrariamente a quanto sembra prospettare la difesa, ben può
condurre il pubblico ministero, nell’esercizio della sua funzione di direzione delle attività d’indagine e di titolare del potere d’impulso, a trasmettere al giudice delle indagini preliminari, in luogo della fonte di prova diretta (in concreto, per quel che rileva, le sommarie informazioni acquisite), altri atti (le informative redatte dalla polizia giudiziaria che ha partecipato alle indagini) nei quali tali fonti sono riportate, per le parti rilevanti (Sez. 6, n. 39923 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241874; Sez. 1, n. 5670 del 30/10/1996, dep. 1997, NOME, Rv. 206766; Rv. 271682).
Ne consegue che correttamente l’informativa può essere posta a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura allorché contenga l’esposizione delle indagini svolte, richiamando compiutamente gli atti compiuti (Sez. 4, n. 53168 del 05/10/2017, COGNOME, Rv. 271682 – 01: «In tema di misure cautelari, il pubblico ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione, del giudice per le indagini preliminari prima e del tribunale del riesame dopo, determinati atti tassativamente indicati, ma può utilizzare quelli più rilevanti o riassuntivi, con la conseguenza che il verbale di fermo, quando contenga la esposizione delle indagini svolte – anche se riassuntivamente menzionate – correttamente può essere posto a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura». (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del giudice della cautela che aveva fondato l’identificazione dell’indagato sulle risultanze dell’attività di osservazione e controllo svolta dalla polizia giudiziaria trasfuse nella comunicazione di notizia di reato e nel verbale di fermo, in assenza delle annotazioni di servizio e dei verbali relativi alle attività di osservazione ed appostamento); Sez. 5, n. 20739 del 28/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 20241 del 15/01/2024, COGNOME, non mass.).
In sintesi, quindi, sul presupposto pacifico che il Tribunale del riesame ha ricevuto tutti gli atti originariamente trasmessi dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari, la censura sollevata, alla luce di quanto osservato, deve ritenersi manifestamente infondata.
Valenza di merito, infine, ha il rilievo attinente alla portata probatoria del riconoscimento operato dalla p.g.: dalla lettura dell’informativa risulta che l’indagato risultava conosciuto agli operanti in ragione del precedente annoverato per droga e le intercettazioni avvalorano la sua presenza sul luogo del pestaggio e la sua partecipazione all’azione estorsiva.
Manifestamente infondata è la censura con cui si contesta la portata indiziaria del contenuto delle intercettazioni ambientali che vedono parte uno dei coindagati.
Al riguardo, va ribadito che il contenuto di intercettazioni telefoniche captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’indagato, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità di riscontro
ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714). Nel caso in esame, la partecipazione del ricorrente al pestaggio e alla condotta estorsiva ai danni del COGNOME NOME, si ricava dal contenuto delle intercettazioni che sia il Gip che il Tribunale del riesame hanno passato puntualmente in rassegna e che assumono chiaro contenuto individualizzante risultando l’indagato financo indicato per nome e cognome quale autore dell’aggressione subita dalla p.o. (v. pag. 40 dell’ordinanza cautelare), elemento che si congiunge appieno con l’esito del servizio di osservazione che proprio in quel frangente la p.g. aveva predisposto presso il locale del COGNOME ove la p.o. era stata attirata con un pretesto affinché gli altri correi potessero passare all’azione. L’assunto difensivo – secondo cui non si sarebbe al cospetto di una chiamata in correità da parte del coindagato, in quanto questi non avrebbe ammesso il suo coinvolgimento nell’episodio estorsivo allorché ne viene accusato dalla madre della p.o. – non assume alcuna valenza decisiva ai fini della portata probatoria a carico del dato intercettivo, in quanto la negazione risulta contraddetta non solo dall’accusa formulata dalla madre della p.o. che, come detto, trova riscontro nell’esito del servizio di osservazione svolto dalla p.g., ma anche nelle successive e reiterate interlocuzioni che lo stesso coindagato ha con altri soggetti, pure riportate nell’ordinanza genetica, che convergono, invece, nel senso prospettato dall’accusa.
Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo inerente alle esigenze cautelari.
In tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (ex multis, Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, Mati, Rv. 285217 – 01; Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stramegna, Rv. 267785 – 01).
Nel caso in esame, per come si ricava anche dall’informativa allegata al verbale dell’udienza del 29 maggio 2025 dinanzi al Tribunale del riesame, il fatto estorsivo non pare un episodio isolato ma viene ricondotto dalla p.g. ai traffici criminosi del territorio e, in particolare, alle dinamiche afferenti alla logica spartizione dei proventi derivanti dalla compravendita della sostanza stupefacente e alla violazione di una delle regole non scritte vigenti all’interno del “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti di chi pratica il c.d. sottobanco. Ecco, dunque, che non
affatto privo di “continenza” si rivela il precedente annoverato dal ricorrente in materia di stupefacenti, pure richiamato dall’ordinanza impugnata. A ciò, si aggiunga, che le stesse intercettazioni danno conto di un’azione ben congeniata (il pestaggio conseguì ad una “imboscata” previamente predisposta) e di come il pestaggio fosse stato così cruento, con la conseguenza che nessun vizio di legittimità sconta la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove ne ricava un giudizio negativo del ricorrente, definito “una personalità recidivante e proclive a delinquere”.
Generiche, poi, sono le doglianze in ordine alla proporzionalità della misura applicata, peraltro individuata già dal pubblico ministero in quella gradata degli arresti domiciliari.
Da quanto osservato – e nulla aggiungendo la memoria difensiva a quanto in precedenza evidenziato – discende l’inammissibilità del ricorso. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, li 10 ottobre 2025.