Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4848 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4848  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/07/2023 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG PAOLA RAGIONE_SOCIALE
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
udito il difensore
AVV_NOTAIO insiste nell’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
NOME COGNOME, col ministero del difensore di fiducia, ha promosso ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria in funzione di giudice del riesame del 20 luglio 2023, che ha rigettato l’appello ex art. 310 cod. proc. pen. da formalizzato contro l’ordinanza della Corte d’appello di Reggio Calabria di applicazion congiunta a suo carico, a norma dell’art. 307 comma 1 cod. proc. pen., delle misure cautelari dell’obbligo di presentazione giornaliera alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di dimor divieto di allontanarsi dall’abitazione nelle ore notturne.
Tale ultimo provvedimento, adottato su richiesta del Procuratore Generale, è stato emesso contestualmente a quello di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare a seguito di sentenza di annullamento con rinvio pronunciata dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, in accoglimento del ricorso proposto dall’imputato contro una prima sentenza di condanna di secondo grado, confermativa di quella del primo giudice, in ordine ai delitti di agli artt. 416 bis cod. pen. – per aver partecipato all’associazione mafiosa della local ‘ndrangheta di Portigliola – e 3, lett. b) e c) e 4 della L. n. 146/2006.
1.E’ stato dedotto un unico motivo di ricorso, poggiato sui vizi di cui all’art. 606 comma 1 b) ed e) cod. proc. pen., perché il Tribunale del riesame avrebbe omesso di confrontarsi con le ragioni del gravame a riguardo dell’insussistenza delle esigenze cautelari, la cui verific concreto è pretesa dall’art. 307 cod. proc. pen. e non può essere surrogata dal mero richiamo alle esigenze cautelari illustrate dal provvedimento originario, tanto più nel caso in esame, quale è intervenuta, nel giudizio di merito, la sentenza di annullamento della Corte RAGIONE_SOCIALEzione con rinvio al giudice di appello proprio a riguardo della registrata insufficienza de elementi di prova della partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso; ed analoga carenza motivazionale sarebbe riscontrabile con riferimento alla scelta di applicare cumulativamente le misure coercitive.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1.In tema di applicazione di altre misure cautelari nei confronti dell’indagato scarcerato decorrenza dei termini, l’inciso contenuto nell’art. 307, comma 1, cod. proc. pen., ch consente l’adozione di misure sostitutive “solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare”, va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l’ipotesi della permanenza, in tutto o in parte, delle originarie esigenze cautelari, quanto quella della sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o anche in epoca successiva (Cass. sez.3, n. 16053 del 26/02/2019, COGNOME, Rv. 275398;
sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014, Riva, Rv. 259975; sez.6, n. 20897 del 10/04/2002, COGNOME, Rv. 222034).
L’art. 307 comma 1 c.p.p., prima delle modifiche apportate con il D. L. n. 341 del 2000 convertito nelle Legge n. 4 del 2001, faceva riferimento alla “permanenza” delle ragion giustificative della custodia cautelare, ma la diversa formulazione, sostituendo il concetto “permanenza” con quello più ampio di “sussistenza”, deve essere interpretata in ottica estensiva, ovvero riferita alla cristallizzazione di una situazione di fatto che in ogn imponga, al pari di quella iniziale, una tutela cautelare, sia pure ex lege suscettibile di essere garantita, stante la scadenza del termine della custodia, con misure attenuate, e tanto nel caso della persistenza, all’atto della scarcerazione, delle esigenze originarie, quanto nel caso in siano sopraggiunte esigenze ulteriori, intervenute coevemente o successivamente (sez.3, n. 42359 del 11/07/2013, P., Rv. 256853).
Il provvedimento impugnato, con argomentazioni congrue, rispettose dei consolidati canoni interpretativi della giurisprudenza ed immuni da consentite critiche in sede di giudizi RAGIONE_SOCIALEzione (cfr., per il principio generale espresso sui limiti del controllo di legittim provvedimenti de libertate, Sez. 6, sent. n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME ed altro, Rv. 201840), ha richiamato, in primo luogo, la ricorrenza delle esigenze cautelari sottes all’emanazione dell’ordinanza custodiale genetica in virtù del principio di “doppia presunzione” di cui una, “assoluta”, in relazione al parametro dell’adeguatezza dell’adozione della misur infrannuraria per i soggetti gravemente indiziati del delitto di cui all’art. 416 bis cod. pe non può essere di per sè intaccato dalla sentenza di annullamento con rinvio pronunziata dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione nel giudizio principale (nel caso di specie per vizio di motivazione), ai sen del disposto combinato degli artt. 624 bis,626 e 303 comma 2 cod. proc. pen. (cfr. sez. 2, n 13953 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279146, secondo cui “all’annullamento da parte della RAGIONE_SOCIALEzione della sentenza di appello non consegue automaticamente la cessazione della misura cautelare in atto, dovendosi interpretare l’art. 624-bis cod. proc. pen. nel senso c detta cessazione va ordinata dalla Corte solo nei confronti delle misure cautelari emesse nel corso del giudizio di appello e nell’ipotesi che l’annullamento della sentenza di appello ven disposto senza rinvio”); e affrontato, in secondo luogo, il profilo più direttamente riguardante l’oggetto dell’impugnazione, puntualizzando che il regime coercitivo personale attualmente imposto al prevenuto è il prodotto della rilevata scadenza dei termini massimi di custodi cautelare di cui all’art. 307 commi 1 e 1 bis cod. proc. pen. ed esprime, pertanto, il risu della valutazione di persistenza del quadro delle esigenze cautelari. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Il motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.
2.Quanto, poi, al preteso vulnus del tessuto della motivazione con precipuo riferimento all’applicazione congiunta delle misure cautelari di cui agli artt. 282 e 283 cod. proc. p devono essere parimenti apprezzate l’assoluta genericità del rilievo difensivo e, comunque, la sua manifesta infondatezza, vuoi perché il dato testuale dell’art. 307 comma 1 bis cod. proc.
pen. prevede che, in caso di adozione dei provvedimenti impositivi di misure cautelar concomitanti alla scarcerazione per decorrenza dei termini “qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell’art. 407 comma 2 lett. a) -tra cui figura quello dell’art. 416 bis cod. pen. il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli artt. 281,282 e 283 anche cumulativamente”; vuoi perché – a proposito dell’irrogazione cumulativa “delle misure indicate dagli artt. 28 283 nella forma aggravata di cui al comma IV c.p.p.”, contestata con il motivo di ricorso non è indifferente ricordare, in linea di principio generale, che con la L. n. 47 del 2015 è introdotto l’istituto dell’applicazione “congiunta” delle misure cautelari personali persi momento dell’emissione del provvedimento genetico – con la modifica dell’art. 275 comma 3 primo alinea cod. proc. pen. – e la ratio dell’innovazione normativa è quella di evitare, proprio in un’ottica di proporzione e graduazione ed in una prospettiva di favor rei, l’applicazione di una misura restrittiva più afflittiva quando il giudice ritenga che le esigenze cautelari pos essere soddisfatte da più misure meno cogenti e di minor impatto per la libertà personale dell’imputato o dell’indagato;
vuoi infine perché l’ordinanza oggetto di censura, nel rimarcare l’intervenuta condanna de ricorrente, in primo grado, per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa l’insussistenza di segnali di allontanamento dal contesto criminale, ha dato conto, co proposizioni razionali ed esaustive, coerenti con l’intenzione del legislatore, dell’ido dell’opzione cautelare adottata dalla Corte d’appello e tradotta nella comunque più blanda limitazione della libertà personale dell’imputato.
3.Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità del ri conseguono la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di euro 3000 a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso in Roma, # 12/01/2024