Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28642 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28642 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAN BENEDETTO DEL TRONTO il 24/11/1994 avverso l’ordinanza del 08/04/2025 del Tribunale di Ancona Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichirarsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.E’ impugnata, con ricorso per cassazione, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Ancona, ex art. 309 c.p.p., con cui è stata rigettata la richiesta di riesame, avanzata nell’interesse di COGNOME Francesco in relazione all’ordinanza del G.i.p. del 20.3.2025. con cui al predetto è stata imposta la misura cautelare in carcere in ordine ai reati di lesione personale e di rissa aggravata.
2.11 ricorso, proposto dal Sorge tramite il difensore di fiducia, è articolato in un unico motivo con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 del codice di rito, segnatamente in ordine al giudizio di inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domìciliari. Dopo essersi premesso che con l’istanza di riesame non si erano contestati i gravi indizi di
colpevolezza, si rappresenta di essersi, piuttosto, evidenziato come la posizione del ricorrente non potesse essere equiparata a quella dei coindagati, già solo per le modalità di realizzazione della condotta criminosa. Indi, si reputa necessario riportare, anche ai fini del presente giudizio, la ricostruzione del fatt evidenziando come il ricorrente non fosse stato affatto presente sul posto al momento dei fatti, avendo egli trascorso la serata in un diverso locale e nel momento in cui si consumava la lite era già rientrato presso la sua abitazione. Egli era, infatti, intervenuto in un secondo momento, a seguito della richiesta di aiuto rivoltagli telefonicamente dall’ amico COGNOME e, una volta giunto sul posto, si era limitato ad intervenire allorquando soggetti del gruppo contrapposto avevano ferito, oltre che il suo amico con un coltello, anche COGNOME colpendolo con una corda da rodeo alla testa.
Né il Tribunale ha considerato la possibilità di applicazione del braccialetto elettronico che comunque scongiurerebbe la possibilità di un allontanamento dalla casa di abitazione.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni e dell’art. 127 c.p.p. – in assenza di richiesta di trattazione oral senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile, in quanto versato del tutto in fatto e teso, in buona sostanza, ad una diversa lettura del merito della vicenda, che punta, da un lato, a ridimensionare il ruolo del ricorrente, e, dall’altro, a trarre addirit elementi positivi di valutazione dal suo intervento, indicato dalla difesa, in parte come risolutore (secondo l’impostazione difensiva il Sorge avrebbe scongiurato un ben peggiore epilogo della vicenda e per tale ragione avrebbe dimostrato di non essere particolarmente pericoloso e meritevole quindi degli arresti domiciliari).
Leggendo il provvedimento impugnato si ha modo di verificare che i fatti sono stati, invece, già oggetto di puntuale disamina. Dal provvedimento impugnato emerge piuttosto come il Sorge sia accorso sul posto munito di una catena e non certo per sedare gli animi o quanto meno tentare di risolvere diversamente la questione insorta tra le parti, che avrebbe meritato ben diverse
opzioni risolutorie (non esclusa quella della sollecitazione dell’intervento delle forze dell’ordine).
Il Tribunale, con motivazione completa, congrua ed adeguata, ha illustrato il contributo dell’indagato nella vicenda in termini diversi rispetto a quelli ripropost con il ricorso in scrutinio dal difensore. Tale COGNOME, che aveva avuto una lite all’interno di una discoteca, aveva chiamato l’indagato, che in quel momento era altrove, il quale si era presentato all’uscita della discoteca con una catena per biciclette occultata sotto la felpa. L’indagato aveva dato manforte al COGNOME che secondo quanto si riporta nel provvedimento impugnato era a sua volta “palesemente mosso dall’intento di aggredire” ed era avanzato, insieme al COGNOME, in direzione di uno dei soggetti del gruppo contrapposto. È stato precisato che il Sorge era proprio di fianco al COGNOME ed aveva inseguito i rivali anche quando costoro erano oramai in fase dì ritirata, dopo aver – come lo stesso ricorso rappresenta – fronteggiato temporaneamente la situazione.
Si tratta di condotte che hanno giustificato la misura di massimo rigore applicata, e la circostanza della estraneità del Sorge alla lite iniziale è sta piuttosto, giustamente, ritenuta dal Tribunale non un elemento a suo favore, quanto piuttosto indicativa del fatto che egli, nonostante appunto non fosse coinvolto direttamente nella vicenda, non abbia esitato ad intervenire armato e con violenza, invece di trovare una soluzione diversa – compatibile proprio con la sua posizione di terzo esterno alla contesa, che gli avrebbe, tra l’altro, consentito di suggerire all’amico, che aveva avuto il tempo dì telefonargli e di attenderlo, di allontanarsi da quel posto ponendo in tal modo fine alla questione).
Il Tribunale ha posto in evidenza che il ricorrente ha, invece, deliberatamente deciso di uscire di casa per unirsi al gruppo e dare manforte ai compagni in luogo di optare per delle soluzioni più ortodosse che pure avrebbe potuto adottare. Tale circostanza valorizzata unitamente ad altre dal Tribunale ai fini della individuazione della misura proporzionata ed adeguata al caso di specie, secondo la difesa deporrebbe invece per la idoneità della misura degli arresti domiciliari, perché da essa dovrebbe desumersi che, ove il Sorge sia sottoposto agli arresti domiciliari, non deciderebbe più, come fatto da libero, di abbandonare il domicilio coatto per porre in essere altri delitti, dal momento in tal caso violerebbe la legge e non vi sono elementi per affermare che egli giungerebbe ad evadere per delinquere, tenuto conto della sua incensuratezza.
Tale deduzione rimane, tuttavia, affidata alla mera benevola impostazione difensiva, trascurando che è, di contro, emerso come il ricorrente non abbia esitato, pur potendo optare per altro, a violare la legge ponendo in essere le
violente condotte a lui ascritte e sia quindi soggetto fortemente pericoloso nonostante la sua formale incensuratezza.
E’ su tali basi che il Tribunale ha, in definitiva, escluso che una siffat pericolosità potesse essere arginata con la misura degli arresti domiciliari, sia pure presidiata con braccialetto elettronico.
Deve, quindi, rilevarsi la inammissibilità del ricorso, che, attraverso i viz denunciati, che non si sono peraltro adeguatamente confrontati con il congruo e convincente ragionamento svolto nel provvedimento impugnato, ha di fatto sollecitato una rilettura degli elementi già esaminati dal Tribunale, in contrasto con il consolidato orientamento interpretativo – divenuto ormai “diritto vivente” secondo cui è preclusa alla Corte di Cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova, e ciò ovviamente anche quando la diversa lettura sia finalizzata a modificare il giudizio sulla pericolosità.
In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è, invero, ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, COGNOME, Rv, 266939; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178).
2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali
e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/6/2025.