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Misure cautelari per droga: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per reati legati al narcotraffico e all’associazione a delinquere. La sentenza conferma che, in presenza di gravi indizi per reati di tale natura, opera una presunzione sulla necessità delle misure cautelari più afflittive, superabile solo con prove concrete fornite dalla difesa, ritenute in questo caso insufficienti.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Cautelari: La Cassazione sulla Custodia in Carcere per Droga

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6004 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui presupposti per l’applicazione delle misure cautelari, in particolare della custodia in carcere, nell’ambito di indagini per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La decisione offre importanti chiarimenti sui criteri di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e sulla presunzione di adeguatezza della misura carceraria per questa tipologia di reati.

I Fatti del Caso: Il Ricorso contro la Custodia in Carcere

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un indagato avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura della custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Le accuse erano estremamente gravi: partecipazione a un’associazione criminale dedita al narcotraffico (art. 74 D.P.R. 309/1990) e plurimi episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/1990).

La difesa dell’indagato contestava la decisione su tre fronti principali:
1. Insussistenza dei gravi indizi per il reato associativo, sostenendo che gli elementi raccolti (come un debito con il capo del sodalizio) dimostrassero un’operatività autonoma e non un’organica partecipazione all’associazione.
2. Errata qualificazione dei reati di spaccio, che a suo dire avrebbero dovuto essere inquadrati nell’ipotesi di lieve entità (art. 73, comma 5), data la modesta portata del mercato di riferimento.
3. Carenza delle esigenze cautelari, ritenendo la custodia in carcere una misura sproporzionata e non attuale, a fronte di elementi quali un rapporto lavorativo e un percorso terapeutico in corso.

L’Analisi sulle Misure Cautelari e la Partecipazione Associativa

La Suprema Corte ha esaminato punto per punto le doglianze della difesa, rigettandole integralmente e fornendo una chiara lettura dei principi che governano l’applicazione delle misure cautelari.

La Valutazione dei Gravi Indizi di Colpevolezza

In primo luogo, la Corte ha ribadito che, in fase cautelare, per “gravi indizi di colpevolezza” non si intende una prova piena e incontrovertibile della responsabilità, ma una “qualificata probabilità” di colpevolezza. Questa valutazione prognostica si basa sugli elementi disponibili allo stato degli atti, che devono essere idonei a prevedere una futura affermazione di responsabilità. Non è richiesta la precisione e la concordanza necessarie per una sentenza di condanna, ma la sola gravità degli indizi.

La Presunzione Legale per i Reati Gravi

Un aspetto cruciale della decisione riguarda l’applicazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per reati di particolare allarme sociale, come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la legge introduce una duplice presunzione relativa: si presume sia la sussistenza di esigenze cautelari, sia l’adeguatezza della custodia in carcere come unica misura idonea. Spetta quindi all’indagato fornire elementi concreti in grado di vincere tale presunzione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Basandosi su questi principi, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Primo Motivo: La Prova della Partecipazione al Sodalizio

Il primo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. Il Tribunale del Riesame aveva correttamente valorizzato una serie di elementi fattuali che, nel loro complesso, dimostravano la consapevole partecipazione del ricorrente all’associazione. Tra questi: l’acquisto sistematico e prolungato di droga dal promotore del gruppo, l’utilizzo di modalità di comunicazione elusive e standardizzate, la stabilità del canale di approvvigionamento, la rilevanza delle quantità trattate e l’accumulo di un cospicuo debito. Questi fattori, secondo la Corte, non indicavano un’azione autonoma, ma al contrario l’esistenza di un rapporto fiduciario stabile, tipico dell’ affectio societatis.

Secondo e Terzo Motivo: Riqualificazione del Reato ed Esigenze Cautelari

Il secondo motivo è stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse. La richiesta di riqualificare gli episodi di spaccio come “fatto di lieve entità” non avrebbe avuto alcun impatto sulla misura applicata, poiché il titolo cautelare si fondava anche sul più grave reato associativo, che da solo giustificava ampiamente la custodia.

Anche il terzo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha confermato che la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non era stata superata. Gli elementi addotti dalla difesa (un’attività lavorativa non più attuale e un percorso terapeutico compatibile con il regime carcerario) non erano sufficienti a dimostrare l’assenza di pericolosità sociale. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato la gravità delle condotte e l’efficienza dell’organizzazione criminale come elementi che confermavano la necessità della misura più restrittiva.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. In tema di misure cautelari, il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti, ma deve limitarsi a un controllo sulla logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato. In questo caso, il percorso argomentativo del Tribunale del Riesame è stato ritenuto congruo, articolato e giuridicamente corretto. La Corte ha sottolineato come la stabile disponibilità all’acquisto di sostanze stupefacenti da un sodalizio, con la consapevolezza che tale rapporto ne garantisce l’operatività, integra pienamente la condotta di partecipazione all’associazione stessa. Inoltre, è stato ribadito che la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p. attenua l’obbligo di motivazione del giudice, a meno che la difesa non fornisca elementi specifici e concreti in grado di smentirla.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La sentenza ribadisce la severità dell’ordinamento nel contrasto ai reati associativi legati al narcotraffico. Dal punto di vista pratico, essa conferma che per gli indagati per reati di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990, la strada per ottenere misure cautelari alternative al carcere è in salita. La difesa ha l’onere di fornire una “prova contraria” robusta e specifica, capace di demolire la presunzione legale di pericolosità e adeguatezza della detenzione. Elementi generici o non attuali, come un lavoro pregresso o percorsi terapeutici non incompatibili con la detenzione, non sono sufficienti a superare la valutazione del giudice, che si basa sulla gravità del quadro indiziario complessivo.

Quali elementi provano la partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio in fase cautelare?
Secondo la sentenza, elementi come l’acquisto sistematico e continuativo di droga da un’unica fonte all’interno del sodalizio, comunicazioni elusive, frequenza e quantità rilevanti delle forniture e l’esistenza di un debito significativo costituiscono gravi indizi della consapevole partecipazione all’associazione.

Perché la richiesta di derubricare il reato a fatto di lieve entità è stata respinta?
La richiesta è stata dichiarata inammissibile perché il ricorrente non aveva un interesse concreto a tale riqualificazione. Poiché era accusato anche del più grave reato di associazione a delinquere, che da solo giustificava la misura cautelare della custodia in carcere, la derubricazione degli singoli episodi di spaccio non avrebbe modificato la sua posizione.

Quando è giustificata la custodia in carcere per gravi reati di droga?
Per reati come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la legge prevede una presunzione relativa sia della sussistenza delle esigenze cautelari sia dell’adeguatezza della custodia in carcere. Tale misura è quindi giustificata a meno che la difesa non fornisca prove concrete e specifiche in grado di dimostrare l’assenza di pericolosità e l’idoneità di misure meno afflittive.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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