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Misure cautelari: no al carcere se il giudice motiva

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un Pubblico Ministero contro un’ordinanza che applicava il divieto di dimora, anziché il carcere, a due indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Corte ha stabilito che la presunzione legale di adeguatezza della custodia in carcere è relativa e può essere superata da una motivazione specifica del giudice che, valutando il caso concreto (assenza di pericolo di fuga e ridotto pericolo di reiterazione), ritenga sufficienti delle misure cautelari meno afflittive.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Cautelari: Il Carcere non è Automatico per Immigrazione Clandestina

L’applicazione delle misure cautelari rappresenta uno dei momenti più delicati del procedimento penale, bilanciando le esigenze di sicurezza della collettività con il diritto alla libertà personale dell’indagato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 11070 del 2024, offre chiarimenti fondamentali sulla presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sottolineando il ruolo cruciale della motivazione del giudice.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un’indagine per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravata a carico di due persone. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.), pur riconoscendo la gravità degli indizi, aveva applicato una misura cautelare non detentiva: il divieto di dimora nella regione Friuli-Venezia Giulia. Il Tribunale del riesame confermava questa decisione, escludendo il pericolo di fuga sulla base di elementi concreti (stabile residenza in Europa, documenti regolari, assenza di precedenti) e ritenendo il pericolo di reiterazione del reato contenibile con la misura del divieto di dimora, data la modesta caratura criminale degli indagati e il loro ruolo secondario nella vicenda.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e le Misure Cautelari Contestate

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste ha impugnato l’ordinanza dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due motivi principali.

La Violazione sul Pericolo di Fuga

Il PM sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente valutato il pericolo di fuga. Secondo il ricorrente, la particolare posizione geografica di Trieste, al confine con Stati dell’Unione Europea senza valichi presidiati, imporrebbe una valutazione del rischio di fuga più severa rispetto al resto d’Italia. Questa peculiarità territoriale renderebbe facile per i rei allontanarsi dopo aver commesso un crimine.

La Presunzione di Adeguatezza del Carcere

Il secondo motivo si concentrava sulla presunta violazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Il PM argomentava che per il reato contestato (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato) la legge prevede una presunzione (relativa) sia dell’esistenza delle esigenze cautelari sia dell’adeguatezza della sola custodia in carcere. A suo avviso, il Tribunale non avrebbe fornito elementi sufficienti per “vincere” tale presunzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti precisazioni su entrambi i punti sollevati.

In primo luogo, il motivo relativo al pericolo di fuga è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha osservato che le argomentazioni del PM erano generiche e di fatto, basate sulla peculiarità del territorio triestino piuttosto che su elementi concreti legati alla condotta degli indagati. Il ricorso, inoltre, si limitava a riprodurre passaggi di altre sentenze senza confrontarsi specificamente con l’ampia e dettagliata motivazione del Tribunale, che aveva escluso il pericolo di fuga con argomenti puntuali. Un ricorso per cassazione non può limitarsi a contrapporre una diversa valutazione dei fatti, ma deve evidenziare un vizio di legittimità.

Sul secondo punto, la Corte ha ritenuto il motivo infondato. Ha confermato che per il reato in questione esiste una presunzione legale di adeguatezza della custodia in carcere. Tuttavia, ha ribadito che tale presunzione è “relativa”, non assoluta. Ciò significa che può essere superata se il giudice acquisisce e motiva su “elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva fatto esattamente questo: aveva “copiosamente motivato” l’insussistenza del pericolo di fuga e aveva addotto “precise circostanze di fatto” per giustificare la ridotta intensità del pericolo di reiterazione e, di conseguenza, l’adeguatezza di una misura non custodiale. Questo plausibile ragionamento, non contrastato dal ricorrente con argomenti specifici, ha superato il vaglio di legittimità della Corte.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine del sistema delle misure cautelari: le presunzioni legali, anche quelle che indicano il carcere come misura adeguata, non possono mai trasformarsi in automatismi. Il giudice ha sempre il dovere di valutare le specificità del caso concreto e di personalizzare la misura in base alla personalità dell’indagato e alle reali esigenze da tutelare. Una motivazione robusta, ancorata ai fatti e logica, è lo strumento per superare le presunzioni e garantire che la restrizione della libertà personale sia sempre l’extrema ratio, applicata solo quando strettamente necessaria.

Perché il motivo di ricorso sul pericolo di fuga è stato respinto?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché era un’argomentazione generica basata sulle caratteristiche del territorio e non una critica specifica alla motivazione del giudice, che invece si fondava su elementi concreti relativi agli indagati.

La custodia in carcere è obbligatoria per chi è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina?
No. La legge prevede una presunzione di adeguatezza del carcere, ma è una presunzione “relativa”. Il giudice può applicare misure meno severe, come il divieto di dimora, se motiva specificamente le ragioni per cui ritiene che tali misure siano sufficienti a soddisfare le esigenze cautelari nel caso concreto.

Cosa ha permesso al Tribunale di superare la presunzione di carcerazione?
Il Tribunale ha fornito una motivazione dettagliata e specifica, dimostrando l’assenza del pericolo di fuga e la ridotta intensità del pericolo di reiterazione, basandosi sulla modesta caratura criminale degli indagati e sul loro ruolo secondario nella vicenda. Questa analisi concreta ha reso la misura del divieto di dimora proporzionata e adeguata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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