Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30351 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30351 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
nato a
omissis
avverso l’ordinanza del 20/03/2025 del Tribunale per i Minorenni di Catania udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale per i Minorenni di Catania ha rigettato l’istanza di riesame, con cui si chiedeva la revoca della misura cautelare del collocamento in comunità, e confermato la ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i Minorenni di Catania del 28/02/2025, nei confronti di NOME, in relazione ai delitti di violenze persecutorie,
accompagnate da violazioni di domicilio e danneggiamenti, commessi in Siracusa, “in epoca antecedente e prossima al 4/01/2024 e sino a tale data”.
Contro l’anzidetta ordinanza, l’indagato propone ricorso, affidato a due motivi, di seguito sintetizzati, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp, att. cod. proc pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e correlati vizi motivazionali in relazione all’art. 274, comma 1, lett, a) e c), cod. proc. pen.
Si duole della motivazione sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, della attualità e concretezza del pericolo di reiterazione delle condotte e della elevata probabilità di reiterazione, che si desumerebbero dalla mancanza di collaborazione, nonché della proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare applicata, della permanenza in struttura protetta, alla entità del fatto o all sanzione che si considera possa essere irrogata. Si deduce che le esigenze cautelari sarebbero cessate sia per il tempo trascorso, sia per la manifestazione di una consapevolezza in ordine alla gravità dei fatti commessi. Si deduce, inoltre, la sproporzione della misura applicata rispetto alle esigenze di contenimento delle spinte a condotte criminali reiterate, che, si afferma, potrebbero essere fronteggiate con una misura meno afflittiva, quale la permanenza domiciliare.
2.2 II secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizi motivazionali, in relazione agli artt. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen., e 163 bis, comma 2, cod. pen., in ordine al divieto di applicazione di misure cautelari, ove sia concedibile la sospensione condizionale della pena, con riferimento alla tipologia di misura applicata, da assimilarsi in tutto a misura detentiva, e di cui i Tribunale ha ritenuto la insussistenza dei presupposti applicativi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
2. Quanto alle esigenze cautelari e alla loro attualità, l’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – rilevante nel caso in esame, essendo la misura confermata in relazione al pericolo di reiterazione – stabilisce che le misure cautelari personali possono essere disposte in presenza di un pericolo concreto e attuale di commissione di reati della stessa specie di quello per cui si procede. Tale pericolo deve emergere dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, nonché
dalla personalità del l’indagato o dell’imputato, desunta da comportamenti, atti concreti o precedenti penali.
La norma, come modificata dalla legge n. 47 del 201 5, precisa inoltre che tale pericolo non può essere desunto esclusivamente dalla gravità del reato contestato.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La doglianza si incentra sull’asserita assenza di attualità del pericolo di reiterazione del reato di atti persecutori, in ragione del tempo trascorso dall’ultimo episodio (oltre un anno), dell’assenza di ulteriori violazioni, dell’efficacia deterrent dei controlli di polizia giudiziaria, dei sequestri di dispositivi, del rientro del min in famiglia e dell’allontanamento da ambienti devianti. Si contesta inoltre la valorizzazione, da parte del Tribunale, della reticenza del minore nel non indicare i concorrenti nel reato, nonché la mancata considerazione delle deduzioni difensive circa la capacità del contesto familiare di fronteggiare le esigenze di controllo, educazione e recupero sociale.
Il motivo non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, proponendo doglianze non consentite, dirette a sollecitare una rivalutazione del merito cautelare.
In proposito, va richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il requisito dell’attualità del pericolo non equiva all’imminenza di specifiche occasioni di recidiva, ma richiede una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, fondata su un’analisi accurata della fattispecie concreta, delle modalità della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gizzi, Rv. 282891; Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, Mati, Rv. 285217). Il pericolo di reiterazione non coincide con la ripetizione dello stesso fatto reato, ma riguarda la possibilità di commissione di reati della stessa specie (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403 – 02).
L’ordinanza impugnata non si limita a valorizzare la gravità e crudeltà della condotta, ma desume dalla reiterazione degli atti, dalla commissione in concorso e dal contesto di consumo di stupefacenti, una personalità incline alla commissione di reati della medesima specie, con una valutazione di alta probabilità di reiterazione.
Il Tribunale ha inoltre superato l’obiezione del tempo trascorso, evidenziando elementi concreti e univoci di pericolo attuale, tra cui l’azione persecutoria posta in essere da un gruppo di minori allo sbando, l’individuazione dell’abitazione della vittima come luogo di ritrovo e di consumo di sostanze stupefacenti, nonché la mancata identificazione di tutti i componenti del gruppo, con il rischio di contatti e intenti vendicativi.
2.2. É stato rilevato che l’indagato non ha preso le distanze dal contesto criminale e che la presenza di concorrenti ignoti, con cui potrebbe riunirsi, rende attuale il rischio di reiterazione.
L’ammissione degli addebiti, priva di elementi di revisione critica e collaborazione, non consente una valutazione rassicurante sulla consapevolezza del disvalore delle condotte.
Il Tribunale ha ritenuto, quindi, che permanga il rischio concreto di una rinnovata azione del gruppo, che si starebbe riorganizzando, come dimostrato dalle misure ritorsive poste in essere contro la persona offesa e dalla ricostituzione di una chat tra i soggetti monitorati, dopo il sequestro dei cellulari.
2.3. Il periodo di apparente inattività non assume valenza positiva, essendo troppo breve per ritenere dissuaso il minore, a fronte di una lunga reiterazione delle condotte e dell’assenza di segnali di consapevolezza o revisione critica, come evidenziato dalle relazioni dei servizi sociali.
Il Tribunale, dunque, ha correttamente ritenuto che l’assenza di revisione critica, unita alla presenza di un gruppo in gran parte non identificato, rende attuale e concreto il pericolo, come dimostrato dalla ricostituzione della chat tra i soggetti coinvolti.
2.4. La prognosi è stata fondata sulla protratta attività criminosa, sul ruolo attivo dell’indagato nel gruppo, sulla presenza di videoriprese delle sevizie e sull’assenza di remore morali.
Tali elementi giustificano la valutazione prognostica, che non richiede l’imminenza di specifiche occasioni, ma un’analisi della fattispecie concreta (Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, Rv. 282769 – 01; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Rv. 282891 – 01).
2.5. L’ordinanza è immune da vizi anche sotto il profilo dell’adeguatezza della misura.
Il principio di proporzionalità impone che la misura sia commisurata alle esigenze cautelari, con verifica costante della sua idoneità (Sez. 2, n. 10383 del 18/02/2022, Rv. 282758 – 01).
Il Tribunale ha tenuto conto delle relazioni dei servizi sociali e della comunità, dei comportamenti antisociali del minore, del contesto relazionale ancora attivo e della mancanza di segnali di revisione critica. Ha ritenuto, quindi, inadeguate misure meno afflittive, come la permanenza domiciliare, in considerazione della persistenza del gruppo e della sua riorganizzazione tramite nuovi dispositivi.
La misura applicata è stata ritenuta proporzionata alla gravità delle condotte e adeguata a fronteggiare il concreto rischio di recidiva, con motivazione coerente e conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Premesso che la ricostruzione del quadro indiziarlo, anche in considerazione della personalità del soggetto, riconduce le condotte criminose contestate a ipotesi per le quali non risulta che il Tribunale abbia formulato una prognosi favorevole circa la concedibilità della sospensione condizionale della pena, occorre ricordare che, in seno alla giurisprudenza di legittimità, si registra un persistente contrasto interpretativo in ordine all’applicabilità del primo periodo dell’art. 275, comma 2bis cod. proc. pen. alle misure cautelari della permanenza in casa e del collocamento in comunità, previste dagli artt. 21 e 22 del D.P.R. 448/1988.
Secondo un primo orientamento, la disposizione in esame sarebbe estensibile anche alle misure cautelari minorili, con la conseguenza che, in presenza di una prognosi favorevole circa la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non potrebbero essere applicate al minore né la custodia cautelare in carcere, né le misure della permanenza in casa e del collocamento in comunità. Tale interpretazione valorizza il fatto che anche queste misure comportano una rilevante limitazione della libertà personale e, dunque, dovrebbero essere assoggettate ai medesimi limiti garantistici previsti per le misure custodiall ordinarie (in tal senso si sono espresse, tra le altre, Sez. 3, n. 3722 del 1996, Rv. 204162 – 01, Sez. 2, n. 35330 del 2007, Rv. 237852 – 01; Sez. 2, n. 48738 del 2012, Rv. 253845 – 01; Sez. 4, n. 34900 del 2017, Rv. 270754 – 01; si veda anche la più recente Sez. 1, n. 42449 del 2021, non massimata, che ha affermato esplicitamente l’applicabilità dell’art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. anche alle misure cautelari minorili, sottolineando la coerenza tra la finalità risocializzante del processo minorile e quella della sospensione condizionale della pena.
Di segno opposto è l’orientamento prevalente che limita l’applicabilita dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen. alla sola custodia cautelare in carcere, escludendone l’estensione alle misure minorili (a sostegno di tale tesi si sono espresse, tra le altre, Sez. 4, n. 2389 del 2000, Rv. 215875 – 01; Sez. 4, n. 11993 del 2007, Rv. 236285 – 01; Sez. 4, n. 50077 del 2017, Rv. 271277 -01; Sez. 2, n. 43899 del 2021, Rv. 282507 – 01).
Tale impostazione si fonda su una pluralità di argomentazioni:
(a) la lettera della legge, che esclude espressamente la parificazione della misura del collocamento in comunità e della permanenza in casa alla custodia in carcere, se non ai fini della durata massima della custodia;
(b) la gradazione di severità prevista dal codice minorile, che, in caso di violazione GLYPH delle GLYPH prescrizioni GLYPH imposte, GLYPH prevede GLYPH un GLYPH progressivo aggravamento secondo l’ordine: permanenza in casa, collocamento in comunità, custodia cautelare (art. 21, comma 5 e art. 22, comma 4 D.P.R. 448/1988);
(c) l’assenza di norme di coordinamento tra la novella dell’art. 275 cod, proc. penj e il codice minorile, che impone di ritenere ancora operativa la disciplina speciale;
(d) la finalità educativa e rieducativa delle misure minorili, orientate al consolidamento dei percorsi di studio, lavoro e relazioni familiari, in coerenza con i principi sanciti dall’art. 13 del D.P.R. 448/1988.
A parere di questo collegio, deve preferirsi l’orientamento restrittivo (condiviso anche da una parte della dottrina), in quanto maggiormente coerente con la lettera della norma, la struttura sistematica del processo penale minori le e la ratio garantista della disposizione.
Il primo periodo dell’art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen., soprattutto a seguito della riforma del 2014, fa espresso riferimento alle sole misure della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari, senza menzionare le misure cautelari minorili,
Inoltre, le misure della permanenza in casa e del collocamento in comunità, pur perseguendo esigenze cautelari, sono finalizzate principalmente alla promozione di attività educative, scolastiche o lavorative, come previsto dall’art. 21, comma 2, D.P.R. 448/1988, richiamato dall’art. 22, comma 3. Esse non presentano, pertanto, una natura strettamente custodiale.
Va infine considerato che, per gli imputati minorenni, la sospensione condizionale della pena può essere concessa fino a tre anni di reclusione (art. 163, comma 2, cod, pen.), e non solo fino a due anni come per i maggiorenni. L’estensione del divieto cautelare alle misure minorili comporterebbe, dunque, una preclusione automatica di tali misure per una fascia più ampia di condanne, con effetti distorsivi rispetto alla ratio della norma.
Alla luce delle argomentazioni esposte, si ritiene di dover confermare l’orientamento secondo cui l’art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. non trova applicazione rispetto alle misure cautelari della permanenza in casa e del collocamento in comunità previste dal D.P.R. 448/1988.
Sulla base delle considerazioni che precedono H ricorso deve essere rigettato.
A norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Rigetta H ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quan imposto dalla legge.
Cosi deciso in Roma il 27/05/2025.