Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2146 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2146 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SORIANO CALABRO il 11/08/1994
avverso l’ordinanza del 17/07/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si riporta alla memoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso. udito il difensore, avv. COGNOME che deposita motivi nuovi, e insiste per l’accoglimento di tutti i motivi.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro del 4 giugno 2024, che applicava nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, Locale dell’Ariola, ‘Ndrina COGNOME, operante nel territorio di Acquaro, Arena, Dasà e nelle zone limitrofe, di estorsione aggravata in concorso, di turbativa d’asta aggravata in concorso, di detenzione e porto di in luogo pubblico
di armi da guerra e di numerose armi comuni da sparo, di traffico di sostanze stupefacenti in concorso, reati tutti aggravati dal metodo mafioso, ascritti ai capi A), E), H), I) R), S) e T), annullando la misura limitatamente ai capi El), Z) e Z1).
Contro l’anzidetta ordinanza, l’indagato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a dieci motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agl artt.273 cod. proc. pen. e 110 e 513 bis cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati ai capi H) e I), afferenti il concorso nella turbativa d’asta della vendita della abitazione del coindagato NOME COGNOME avvenuta tramite il reato di estorsione, deducendo il contrasto dell’assunto della ordinanza impugnata, che indica la presenza del ricorrente come funzionale alla preparazione del reato, con il dato delle intercettazioni, da cui emergerebbe la estraneità del ricorrente alla vicenda, la cui presenza sui luoghi, solo passiva come indicato nella richiesta di OCC, sarebbe occasionale, oltre alla estraneità alla fase ideativa, deducendo la assenza di un apporto rafforzativo del proposito criminoso, nonché assenza di motivazióne in merito alle mancata conoscenza degli accadimenti nonché in relazione alla partecipazione alla fase preparatoria ed alla asserita estraneità del COGNOME affermata dal COGNOME nella intercettazione.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all ritenuta aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. sotto il profilo del metodo mafioso, deducendo non essere sintomatici la commissione del fatto da più persone o in luogo pubblico, che l’ordinanza avrebbe ricavato inferenzialmente la sussistenza dell’aggravante attraverso l’apprezzamento isolato della generica “caratura criminale” dei partecipi, senza integrarlo con il complementare riscontro dell’effettivo assoggettamento omertoso dell’area territoriale in cui operava, non mettendo in risalto la mancata spendita della provenienza del gruppo, che il gruppo Maiolo è radicato in Calabria mentre il fatto avviene in provincia di Torino, che non sono stati evidenziati altri fatti di reato posti i essere in quel contesto territoriale da cui desumere la conoscenza/conoscibilità del gruppo criminale di ‘ndrangheta in Piemonte.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per omessa motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all richiesta di incompetenza territoriale in relazione ai capi H) e I) richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite sul punto, deducendo non sussistere l’aggravante del 416 bis 1 cod. pen. per i reati di cui ai capi H) e I) posti in essere per il raggiungimento di un interesse personalissimo del coindagato COGNOME, non connesso al programma associativo.
2.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta violazione della legge penale per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati ai capi R), S) e T) in materia di detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra e comuni da sparo, non contestando il contenuto delle captazioni, deduce la omessa motivazione circa la idoneità della mera presenza al fatto illecito, di un contegno passivo del ricorrente in tema di rafforzamento dell’altrui proposito criminoso.
2.5 II quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. sotto forma dell’agevolazione mafiosa in relazione ai reati contestati ai capi R), S) e T), la cui sussistenza sarebbe stata dedotta dalla frase pronunciata da NOME COGNOME di spostare le armi per eludere le investigazioni e dal generico riferimento a numerose azioni di fuoco del sodalizio criminoso, tuttavia, non contestate nel periodo di riferimento.
2.6 Il sesto motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di tentata estorsione aggravata in concorso, deducendo che il richiamo quale inquadramento del fatto ad altro reato del medesimo tipo già giudicato, commesso dal padre del ricorrente in altro contesto territoriale e relativo ad altra consorteria criminale non è sufficiente a provare il fatto storico di reato, nonché omessa motivazione in relazione alle deduzioni difensive della ragione della valenza intimidatoria dei messaggi criptici del ricorrente, soggetto assolutamente incensurato, lontano da dinamiche criminali, della valutazione astratta della vicenda fattuale, nonché omessa motivazione in merito alla richiesta di qualificazione del fatto nella fattispecie tentata per essere l’azione interrotta nella fase preparatoria mancando la prospettazione dell’ottenimento dell’ingiusto profitto, la richiesta di una somma di denaro,
limitandosi il ricorrente a prospettare alla parte offesa la necessità di prendere contatti con qualcuno, potendo al più integrare la condotta del COGNOME la desistenza rispetto al reato di estorsione essendosi fermato all’avvertimento.
2.7 Il settimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all ritenuta aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. sotto il profilo del metodo mafioso desunto dalla minaccia implicita, deducendo la mancanza di alcuna rappresentazione dell’intervento di criminalità organizzata, che l’azione veniva posta in essere individualmente da soggetto incensurato, la valutazione dell’aggravante ambientale, nonché omessa motivazione circa gli elementi da cui desumere il radicamento territoriale dell’associazione e circa la condotta oggettivamene intimidatoria idonea ad ingenerare nella vittima la percezione di legami dell’agente con la criminalità organizzata con conseguente esclusione dell’aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen.
2.8 L’ottavo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato contestato al capo A), afferente la partecipazione alla associazione a delinquere di . stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, deducendo il generico rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nella richiesta di misura cautelare in quanto il Tribunale non si confronterebbe con le censure sviluppate nei motivi di riesame in relazione alla radicale assenza di indici sintomatici in grado di dimostrare la sussistenza di un quadro indiziario sufficientemente idoneo a fondare l’incolpazione associativa di cui all’art.416 bis cod. pen., valorizzando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, di cui si elencano i nomi senza indicarne il propalato, i riscontri costituiti dalle intercettazioni e quanto a controllo del territorio si indicano la tentata estorsione di cui al capo E), l conversazione riportata a pag. 333-337 della richiesta di OCC da cui emerge che COGNOME sarebbe interessato al controllo del territorio nel periodo di detenzione dei fratelli COGNOME, la conversazione riportata a pag. 338-342 da cui emerge la volontà di mettere in ginocchio Acquaro, la vicenda dell’aggressione subita dal nipote di NOME COGNOME (NOME COGNOME) e l’azione violenta di vendetta portata ai danni dell’aggressore, la conversazione riportata nella richiesta di misura cautelare in cui NOME COGNOME riferisce di avere cinque o sei fedelissimi che darebbero la vita per lui, il tono di disprezzo utilizzato nei confronti delle Forze dell’Ordine, la solidarietà manifestata nei confronti dei detenuti, alcuni dei quali
battezzati durante lo stato di detenzione. Deduce la difesa che dagli atti non emerge alcun condizionamento della vita politica e sociale del paese di Acquaro, non essendo indicati reati – fine da cui potere desumere la sottoposizione della popolazione in stato di omertà, la assenza di gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art.513 bis cod. pen. Ancora, quanto al richiamo alla conversazione del 5.12.2018, la difesa deduce l’assenza di verifica in merito alla presenza di azioni di minaccia o violenza seguite dalla esternazione verbale “si devono mettere due cartucce la a terra e basta”, la individuazione del commerciante di polli, tale COGNOME e le dichiarazioni da questi rese in favore del COGNOME, la non corretta interpretazione del contenuto della captazione, la mancanza di alcun confronto con la memoria difensiva, di alcun riferimento all’indagine difensiva, alla mancanza di atti di che la precedente condanna dei fratelli COGNOME che attesta l’esistenza di una cosca non potrebbe essere posta a fondamento del principio di mantenimento in essere della stessa senza prima accertarne la sussistenza del sodalizio criminoso.
2.9 Il nono motivo di ricorso lamenta violazione di legge per illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art.41 bis cod. pen., deducendo la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza della partecipazione al reato associativo, indicando quale fonte dichiarativa il collaboratore NOME COGNOME confermata dalle intercettazioni nonché quali condotte partecipative, la trasferta a Cosenza per reperire abbigliamento per soggetti detenuti, l’aiuto al proprio padre per individuare un’abitazione in cui eseguire gli arresti domiciliari, l’aiuto al detenuto NOME COGNOME in occasione di un permesso premio. Deduce la difesa che il Tribunale avrebbe trascurato COGNOME è l’unico collaboratore che riferisce della partecipazione del Pisano all’associazione (fa parte del gruppo dei Maiolo) in termini generalissimi, senza collocazione nel tempo e nello spazio, senza indicazione delle condotte di partecipazione e confondendolo nel riconoscimento fotografico con il proprio padre, e quanto ai contatti con gli associati l’elemento da solo non può rivestire gravità indiziaria; che le dichiarazioni degli altri collaboratori (NOME COGNOME e NOME COGNOME) non riferiscono di COGNOME, rappresentando nella struttura organizzativa soggetti diversi che, all’occorrenza, avrebbero sostituito il COGNOME nel periodo di sua detenzione in carcere; omette di considerare che in un episodio di aggressione nei confronti di un soggetto di Fabrizia non si rileva alcuna condotta illecita del COGNOME; che in relazione all’episodio della reazione alla aggressione subita da NOME COGNOME, cugino di NOME COGNOME, il Tribunale non avrebbe spiegato il ruolo del COGNOME né il presunto interesse associativo che lo abbia guidato nell’asserita cooperazione all’altrui condotta delittuosa altrui. E
ancora si deduce omessa motivazione sulla intercettazione dell’8/09/2018 progr.69, da cui emerge che il COGNOME è rimasto in Ospedale sino alle 8,30 e di quella del 9/09/2018, progr.8354, in cui il COGNOME è descritto come colui che ha abbracciato COGNOME per fermare l’aggressione e riportare la calma, e dunque condotte di segno contrario alla ricostruzione accusatoria; che in relazione alla assistenza prestata al proprio padre, si omette di riferire che l’interessamento di NOME COGNOME è dipeso da un’emergenza in quanto il primo immobile individuato per formulare l’istanza non risultava più disponibile e per evitare la omessa sostituzione della cautela era necessario ottenere la disponibilità di diverso immobile. Quanto al reato di cui all’art.513 bis cod. pen., si deduce che il ricorrente ha effettivamente prestato attività lavorativa per conto del COGNOME, che conosceva da tempa circostanza che giustifica la frequentazione con NOME COGNOME conoscenza attualizzata dalla collaborazione professionale, e dalla esistenza di vicinanza amicale e frequentazione del Pisano con NOME COGNOME e altri coetanei nel paese di Acquaro di appena 800 anime.
Quanto al reato in materia di armi, si deduce che il COGNOME avrebbe svolto solo un ruolo di accompagnatore del COGNOME, le ulteriori condotte di solidarietà verso conoscenti detenuti e al proprio padre denotano un retaggio culturale proprio di piccole comunità ma non una messa a disposizione per la realizzazione di un programma associativo, lamentando la valorizzazione dei rapporti di fiducia del COGNOME con altri soggetti già considerati membri del sodalizio anche con posizioni di rilievo, costituendo questo l’unico elemento a carico del ricorrente offerto dalle indagini che non delineano alcuno specifico comportamento da ritenersi significativo della dedotta partecipazione al reato di cui al capo A), deducendo che la valutazione del materiale indiziario operata dal Tribunale non sarebbero compatibili con il ruolo di braccio destro di NOME COGNOME
2.10 Il decimo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli art.125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), e 274 e 275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari sulla valutazione del c.d. tempo silente, la contraddittorietà delle acquisizioni istruttorie sulla gravità indiziaria nonché contestando la sussistenza del pericolo di recidivanza per come ritenuto sussistente prima dal GIP, poi, dal Tribunale del riesame, tenuto conto dell’arco temporale intercorso rispetto ai fatti oggetto delle contestazioni (ultima condotta nel 2019), della mancata individuazione di alcuna condotta concreta che indichi un effettivo pericolo di reiterazione del reato.
Il difensore del ricorrente ha depositato motivi aggiunti, in riferimento ai capi H), I), e alla ritenuta aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen., in merito alla dedotta eccezione di incompetenza del Tribunale di Catanzaro per essere i fatti commessi a Torino, deducendo la inapplicabilità dell’art.12 cod. proc. pen, in relazione alle fattispecie di cui agli artt.416 bis e 513 bis cod. pen. per l mancanza di un legame finalistico tra i due reati, cui si riporta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
I motivi di ri corso che lamentano la assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati ai capi A), H), I, E), R), S e T) sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
2.1 Va in primo luogo, premesso che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o assenza delle esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ossia della adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il ricorso è invece inammissibile quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti o che tendano a proporne una ricostruzione alternativa, ovvero che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito o di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del riesame, essendo il giudizio, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Il giudizio è, dunque, circoscritto alla sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del
17/06/2019 COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01; Sez. un., n.110 del 22.03.2000, COGNOME, Rv.215828-01). Sarà, dunque, in questi termini che opererà la valutazione di questa Corte.
In particolare, il motivo è reiterativo, rimarcandosi l’inidoneità degli argomenti esposti per contrastare la valenza delle dichiarazioni collimanti di numerosi dei collaboratori di giustizia, le intercettazioni, ambientali e telematiche, unitamente agli esiti delle attività di P.G., ai precedenti provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato, costituendo indizi di commissione di reati-fine e di una partecipazione, che si caratterizza per lo stabile inserimento del ricorrente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, di per sé idoneo, considerate le specifiche caratteristiche della consorteria nella specie, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021). Il Tribunale ha invero correttamente attribuito a tali elementi la capacità di delineare il quadro alla stregua del quale interpretare le risultanze più specificamente poste a fondamento della gravità indiziaria con riguardo al periodo oggetto di verifica, possedendo i requisiti della a) gravità ossia della persuasività b) della precisione – cioè della idoneità ad escludere altre alternative ragionevoli, non confrontandosi il ricorso con la motivazione del provvedimento impugnato circa la riconducibilità delle conversazioni ad eventuale condotta lecita, che pur sarebbe stato facile reperire, ad esempio dando credibili spiegazioni del significato delle conversazioni-, e c) della concordanza – il loro essere cioè collimanti e non escludersi a vicenda -, principi probatori – questi – di cui il giudice della cautela ha fatto búon governo.
E’ peraltro ius receptum il dato secondo cui, in materia di messaggeria o conversazioni captate, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 44938 del 05/10/2021), ragion per la quale appaiono irricevibili le doglianze miranti a offrire letture alternative delle conversazioni acquisite in atti e costituent elemento decisivo della gravità indiziaria.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Catanzaro, con argomentazioni puntuali è prive di vizi di manifesta illogicità e/o contraddittorietà e di apparenza di motivazione, in relazione ai reati contestati richiama integralmente la richiesta e l’ordinanza applicativa della misura cautelare quanto alla ricostruzione storica
dei fatti e alle emergenze investigative, ritenendo comprovato il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.
Quanto alla contestazione di cui al capo A), il Tribunale richiama l’ordinanza genetica in punto di disamina degli elementi di prova in ordine alla esistenza della consorteria e della sua piena operatività nell’attualità anche grazie al contributo fornito da NOME COGNOME per la partecipazione, quale azionista di massima fiducia dei vertici della ‘ndrina COGNOME, al reato associativo di stampo mafioso, Locale dell’Ariola, consorteria finalizzata alla commissione di svariati reati tra cui omicidi, estorsioni, usura, traffico di armi e di sostanze stupefacenti, operante nel territorio di Acquaro, Arena, Dasà e zone limitrofe e avente ramificazioni in Abruzzo, Piemonte e Svizzera, pienamente inserito nelle dinamiche associative, riconoscendo le gerarchie e le regole interne del sodalizio contribuendo altresì alla realizzazione degli obiettivi da perseguire e delle azioni delittuose da compiere, all’associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante su tutto il territorio Calabrese sin dagli anni ’80 e in altre parti del territorio nazionale ed estero, organizzata sulla base delle regole formali e dei livelli gerarchici e funzionali (doti, cariche) propri del c.d. “CRIMINE dei Polsi”, suddivise in ‘ndrine cellule criminali di base, che insistono su un territorio generalmente corrispondente ad un Comune o parte di esso (frazione/ contrada) e che rispondono criminalmente del loro operato ad una Locale /Società di ‘ndrangheta presso cui sono “attivate”, rimanendo collegate al c.d. “, RAGIONE_SOCIALE“, da cui sono riconosciuti, direttamente o indirettamente attraverso organismi intermedi, associazione che nel complesso, accertato nella sua esistenza in plurimi procedimenti penali (“RAGIONE_SOCIALE“, “Conflitto”, “Crimine”).
Quanto alla partecipazione del ricorrente, quantomeno a far data dal 2018, l’ordinanza impugnata è immune da vizi di illogicità e apparenza di motivazione, richiamando il ruolo di uomo di fiducia del capo del clan, NOME COGNOME, con il quale ha rapporti diretti, dialoga in ordine alle attività criminali poste in essere dalla cosca, è incluso dal COGNOME all’interno della sua cerchia più ristretta di sodali (insieme a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME), che assolvono ai compiti più disparati nell’interesse della consorteria cui appartengono, risultando incaricati (anche nel periodo di detenzione del Maiolo): di mantenere ben saldo il controllo del territorio e il prestigio criminale del gruppo attraverso il sistematico ricorso alla metodologia mafiosa nella gestione delle attività economiche, di pianificare ed eseguire atti intimidatori, di veicolare informazioni e ambasciate sia tra i partecipi del sodalizio che all’esterno, di custodire e occultare le armi dell’associazione, partecipando, a seguito dell’aggressione di NOME COGNOME cugino di NOME COGNOME, alla spedizione
punitiva armata organizzata dal COGNOME, unitamente ad altri sodali (NOME COGNOME, NOME COGNOME) ai danni di NOME COGNOME di cui riferiscono anche i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno confermato la ferocia e l’estrema pericolosità dei COGNOME, definiti “azionisti” che non se la sarebbero tenuta, cristallizzandone l’evoluzione e le ripercussioni sui rapporti tra le consorterie mafiose coinvolte, nonché di coadiuvare il COGNOME nello svolgimento di attività imprenditoriali, risultate schermo di attività illecite, prodigandosi og qualvolta fosse stato necessario, al fine di rafforzare il potere della ‘ndrina, mettendosi a disposizione del Maiolo nei suoi propositi illeciti.
Quanto alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME il motivo non si confronta con la decisione del Tribunale, richiamando solo in parte le dichiarazioni del collaboratore che lo riconosce in foto e lo indica come “del gruppo COGNOME” e come “uomo vicino ai fratelli COGNOME“, prodigandosi ogni qualvolta fosse stato necessario, al fine di rafforzare il potere della ‘ndrina, mettendosi a disposizione nel coadiuvare il COGNOME nei suoi propositi illeciti che si spiega nella logica ‘ndranghetista, non menzionando le numerose intercettazioni che ne riscontrano il dichiarato, delineando gli stretti rapporti intessuti non solo con il capo NOME COGNOME bensì con gli altri più fidati sodali, partecipando attivamente nelle dinamiche relative alla ricostituzione degli equilibri tra i diversi assetti criminali.
Quanto alle condotte specifiche di messa a disposizione unitamente agli altri sodali, corretto è il richi a mo alla vicenda relativa alla spedizione punitiva nei confronti degli aggressori di NOME COGNOME ricostruendo, il Tribunale, con motivazione diffusa, immune da vizi di illogicità e censure, con la quale il ricorrente non si confronta, le ragioni del pestaggio organizzato dal COGNOME cui aderiscono i sodali più vicini quali COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e tale COGNOME, l’intera dinamica della condotta criminosa particolarmente violenta, della interruzione della aggressione per la vicinanza della vittima ad altra ‘ndrina operante nel territorio, dell’epilogo della vicenda con incontri tra soggetti appartenenti a quattro distinte articolazioni di ‘ndrangheta, operanti sul territorio calabrese e nazionale, per la definitiva risoluzione della questione, richiamando le intercettazioni ambientali al riguardo intercorse tra NOME COGNOME e NOME COGNOME che rimaneva presso l’Ospedale in compagnia del COGNOME, mostrando di condividere la condotta dei sodali, nonché il procedimento penale c.d. Rinascita Scott dove è stata compiutamente ricostruita e contestata la violenta aggressione perpetrata ai danni di NOME COGNOME che ha dato luogo al successivo pestaggio da parte del gruppo dei Maiolo.
Parimenti è immune da vizi e censure la motivazione nel richiamare quali indici dello stabile inserimento del Pisano nel sodalizio criminoso de quo le
intercettazioni, con le quali il ricorrente non si confronta, che lo vedono come diretto interlocutore, che attengono al riparto di competenze e lo stretto legame tra i sodali della ‘ndrina e nelle quali il COGNOME manifesta con semplicità le modalità mediante le quali intimidire ed estorcere denaro a tutte le attività economiche di Acquaro, mettendo “in ginocchio” ogni negozio, e ancora quelle intercorse tra Pisano e Maiolo volte ad intimidire un venditore di pollame (collocare due cartucce a terra), o ancora l’intercettazione ambientale in cui COGNOME indica espressamente i sodali (5/6) facenti parte della sua cerchia più ristretta, indicando anche il COGNOME che lo seguono ovunque e con cui commettono attività illecite, richiamando quali riscontri numerose intercettazioni, tra cui l’ambientale intercorsa tra NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME componenti del sodalizio, e ancora quelle relative al controllo del territorio operato dai sodali quale indice della affectio societatis aventi ad oggetto le segnalazioni relative alla presenza delle Forze dell’Ordine (“cani”) sul territorio, mettendo in evidenza la preoccupazione degli indagati e in particolare del Pisano di attivare un’immediata rete informativa, nonché nel coadiuvare il Maiolo nella vendita “porta a porta” dei prodotti alimentari nonché mediante la intestazione fittizia di attività economiche e beni riconducibili al capo, condotte che il Tribunale ha correttamente ritenuto costituire il metodo condiviso da tutti i componenti del gruppo per il perseguimento di scopi illeciti con la consapevolezza di assumere un ruolo specifico nella ‘ndrina di riferimento.
Parimenti immune da vizi e censure e, sul punto, il motivo non si confronta con la decisione del Tribunale, che richiama, quale condotta concreta di messa a disposizione del sodalizio, l’assistenza economica ai soggetti detenuti ed ai loro congiunti anche da parte del COGNOME, mediante il reperimento di capi di abbigliamento per i sodali detenuti, nonché del padre, NOME COGNOME e del detenuto NOME COGNOME occupandosi di accompagnare la madre di quest’ultimo a Lanciano in occasione di un permesso di tre giorni del detenuto ed accompagnarlo a bordo della autovettura dal medesimo condotta, ritenuto sintomo della sussistenza di un consolidato e perdurante legame.
Parimenti immune da vizi è la decisione del Tribunale del Riesame laddove trae indizi della partecipazione al reato associativo dai reati fine, precisamente dalla condotta tenuta in relazione ai reati-fine di turbativa d’asta, di cui al capo H), finalizzata ad impedire in maniera minacciosa la partecipazione di eventuali acquirenti all’asta giudiziaria della vendita dell’abitazione di NOME COGNOME, di tentata estorsione (capo E)), e di cui ai capi R), S) e T) di detenzione e porto in luogo pubblico di armi da sparo, comuni e da guerra, richiamando quanto alla disponibilità delle armi da parte del sodalizio, le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME nonché dalla intercettazione intercorsa tra COGNOME, NOME
COGNOME e il COGNOME, che attualizzano la partecipazione al sodalizio mafioso oggetto della contestazione.
Quanto alle contestazioni di cui ai capi Z) e Z1), il Tribunale con motivazione immune da censure, richiamando la giurisprudenza di questa Corte in tema della valenza dimostrativa delle conversazioni telefoniche e/o ambientali, tanto più se i soggetti intercettati non sanno di esserlo le loro dichiarazioni saranno garantite dal massimo della genuinità ed attendibilità nonché della corrispondenza della dichiarazione all’effettivo bagaglio di conoscenze dei loro autori, ha ritenuto diverse conversazioni indici di gravità indiziaria del reato associativo, per essersi il ricorrente adoperato fattivamente, occupandosi del trasporto dei prodotti enogastronomici, ma non idonee a ritenere comprovata la riconducibilità all’indagato dello specifico contributo contestatogli, in relazione ad attività imprenditoriali relative alla compravendita dello stoccafisso e del baccalà e di uva, in cui l’attività illecita del sodalizio criminoso incide, mediante il ricorso forme di minaccia silente, sulla libera autodeterminazione degli operatori economici e sul corretto funzionamento del mercato attraverso l’imposizione a fornitori, esercenti, rivenditori e consumatori finali, dell’obbligo di acquistare prodotti (prosecchi, stoccafisso, uva al mosto) dagli indagati e ai prezzi da essi stabiliti. Con motivazione immune da vizi e censure, il Tribunale ha ritenuto che il contenuto delle conversazioni intercettate dà contezza di un contesto ambientale criminale in cui risultano presenti atti intimidatori al fine di ottenere ingiusti profitti per conto della cosca, rappresentando un ulteriore elemento per valorizzare la pregressa intraneità del ricorrente, la consapevolezza di questi e l’esigenza del COGNOME di servirsi del COGNOME per il prosieguo dei contatti esterni.
Quanto alla contestazione di cui al capo H), il Tribunale con motivazione immune da vizi di illogicità o di carenza di motivazione, individua la gravità indiziaria nelle intercettazioni e nei servizi di o.p.c. all’uopo predisposti innestandosi le condotte criminose sulla vicenda relativa all’asta giudiziaria della vendita dell’abitazione di NOME COGNOME, cugino del sodale NOME COGNOME che aveva subito un giudizio di esecuzione immobiliare, emergendo dalle conversazioni intercorse tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, cui partecipava anche il ricorrente, nipote del COGNOME, e braccio destro di NOME COGNOME nel corso di un incontro presso il ristorante INDIRIZZO, l’intenzione dei correi di presenziare all’asta giudiziaria che sarebbe avvenuta qualche ora dopo, accordandosi per rimanere di fronte all’ingresso per intimidire i potenziali acquirenti per indurli a recedere da eventuali’ intenti partecipativi e di aggiudicazione dell’immobile, per poi spostarsi tutti nel luogo in cui sarebbe avvenuta l’asta, individuando la condotta concorsuale partecipativa del Pisano non solo nella fase preparatoria (incontro presso il ristorante) bensì anche in
quella esecutiva della condotta di accerchiamento dei partecipanti all’asta (giungendo sul posto tutti a bordo di una autovettura) con chiaro intento intimidatorio, prestando attenzione ad eventuali interessati all’asta giudiziaria, circondando tutto il gruppo l’acquirente che intimorito prima negava di avere interesse all’acquisto, poi precisava di non essere riuscito a visionare l’immobile, e supportando la minaccia esplicita posta in essere dal COGNOME che intimava all’acquirente di non partecipare e che anche se lo avesse acquistato sarebbe stato un pessimo affare perché loro glielo avrebbero distrutto, determinando con la propria condotta, attiva e non meramente passiva, il pericolo concreto di lesione del bene giuridico, condividendo l’intento comune del gruppo non scalfito dalla conversazione richiamata, non confrontandosi il motivo con l’ordinanza impugnata.
Sul punto la difesa reitera censure già disattese dal Tribunale, prospettando una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati con motivazione immune da vizi dal Tribunale.
La difesa sul punto ripropone censure già svolte davanti al Tribunale del Riesame e da questo respinte con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da censure e vizi di logicità, sollecitando la Corte a sostituirsi ai giudici della cautela in ragione di una lettura alternativa del quadro probatorio, operazione che, come già detto, è del tutto preclusa in sede di legittimità.
L’indagato uomo di fiducia del capo del clan, NOME COGNOME, nonché nipote del sodale NOME COGNOME, partecipa al pranzo in cui i sodali discutono delle modalità dell’asta, predisponendo le modalità di azione, nella fase preparatoria della turbativa d’asta, proprio in considerazione del suo ruolo all’interno del sodalizio criminoso e del rapporto diretto con il capo per cui viene inviato in Piemonte per apportare il suo contributo ai sodali al fine di impedire la vendita all’asta dell’immobile di un sodale.
Quanto alla contestazione di cui al capo E), relativa alla tentata estorsione mei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, la decisione impugnata è parimenti immune da vizi e censure, richiamando la denuncia dei due imprenditori che mediante la società RAGIONE_SOCIALE, nel febbraio 2018, stavano effettuando lavori pubblici nella piazza del INDIRIZZO di Vibo Valentia, le sommarie informazioni di NOME COGNOME che riferisce di due tentativi di estorsione da parte del COGNOME, riportando la richiesta estorsiva degli “amici di Vibo”, sul riconoscimento fotografico, non confrontandosi il motivo con l’ordinanza impugnata.
Al riguardo deve ricordarsi che questa Corte (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, Rv. 261632) ha già osservato che per estorsione ambientale si intende quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti
notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima. Deve poi aggiungersi che il sintagma “estorsione ambientale” è utilizzato, in modo ellittico, per intendere una richiesta minatoria effettuata, con le modalità di cui si è detto, in determinati territori Ciò, però, non significa che ci si trovi al cospetto di un reato diverso da quello di estorsione. Trattasi, invece, pur sempre di un delitto di estorsione, sia pure connotato da gravità, in quanto le minacce provengono da gruppi organizzati, che, in quanto tali, destano particolare allarme sociale. In questa prospettiva è evidente allora che nella contestazione non è necessario il richiamo espresso alla qualifica di estorsione ambientale, dovendo invece essere indicati i requisiti oggettivi e soggettivi del delitto di estorsione, come declinati nel caso concreto (Sez. 2, Sentenza n. 18566 del 10/04/2020, Rv. 279474 – 02).
Né è necessario, perché possa parlarsi di estorsione ambientale, che la vittima debba conoscere l’estorsore ed il clan di appartenenza del medesimo: ciò che rileva – come già ritenuto da questa Corte (Sez. 2, n. 22976 del 13/04/2017, Rv. 270175) – sono le modalità in sé della richiesta estorsiva, che, pur formalmente priva di contenuto minatorio, ben può manifestare un’energica carica intimidatoria, come tale percepita dalla vittima stessa, alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta è formulata all’influsso di consorterie mafiose. E, nel caso in esame, le modalità della condotta, realizzata attraverso un chiara richiesta estorsiva, in due circostanze, incentrata sulla mancata autorizzazione del sodalizio per l’esecuzione dei lavori di pulizia delle strade nella frazione di Piani di Acquaro, invitando la persona offesa a rivolgersi agli amici di Vibo prospettando altrimenti un danno, volta al costringimento della vittima a fare qualcosa con ingiusto profitto e altrui danno.
In tema di estorsione cd. “ambientale”, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all’influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l’estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistere la circostanza aggravante nella richiesta ad un commerciante di denaro a fronte di protezione,
dopo che il negozio era stato danneggiato varie volte, in un quartiere ad alta densità mafiosa) (Sez. 2, Sentenza n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115 – 01).
Quanto alle contestazioni di cui ai capi R), S) e T), aventi ad oggetto la detenzione di numerose armi da guerra e comuni da sparo, la decisione impugnata è parimenti immune da vizi e censure, richiamando la intercettazione di cui è interlocutore diretto il ricorrente insieme ai coindagati, il capo NOME COGNOME e il sodale NOME COGNOME (interamente riportata nella ordinanza impugnata) che ha dimostrato, per la terminologia usata tra cui anche i nomi di fabbrica, munizionamento, componenti e funzionamento specifico, i rumori metallici tipici del caricamento e della manutenzione di armi, la riconducibilità anche al ricorrente della disponibilità di armi da fuoco, tra cui anche da guerra, all’interno del terreno in possesso del COGNOME nonché della condotta partecipativa (circostanza richiamata anche dal collaboratore NOME COGNOME) per l’approvvigionamento di numerose armi e munizioni (anche da guerra) che previa rimozione degli imballaggi venivano controllate, smontate e pulite al fine di essere poi chiuse in alcuni tubi in plastica ed occultate nel luogo di manutenzione delle armi al fine di agevolare gli interessi della consorteria criminosa.
Il motivo è generico e non si confronta con la decisione del Tribunale che riferisce anche l’esito della perquisizione presso il terreno del Fusca che consentiva il rinvenimento di un fucile cal.12 con matricola abrasa che riscontra la intercettazione laddove COGNOME asserisce di volerne lasciare soltanto una e di avere, per le altre armi, i tubi già pronti per l’occultamento delle stesse in altro luogo, nonché in relazione al continuo riferimento nella intercettazione al “noi”, inteso quale indice non solo della comune appartenenza del ricorrente al sistema di riferimento bensì della preesistenza di un rapporto di adesione stabile, in termini oggettivi al fenomeno associativo anche per le espressioni e alle indicazioni date ai sodali dal ricorrente, condivise dal COGNOME, in ordine alla sistemazione delle armi, facendo gli interlocutori riferimento a pregresse e future azioni nella condivisione di un progetto criminoso per espandere e rafforzare il potere del sodalizio.
La difesa sul punto ripropone censure già svolte davanti al Tribunale del Riesame e da questo respinte con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da censure e vizi di logicità, sollecitando la Corte a sostituirsi ai giudici della cautela in ragione di una improponibile lettura alternativa del quadro probatorio, operazione che, come già detto, è del tutto preclusa in sede di legittimità.
Non è, del resto, in dubbio che il ricorrente debba essere considerato molto addentro alle dinamiche mafiose, tenuto conto anche dello stretto rapporto con il
capo del clan, NOME COGNOME del ruolo di rilevanza, di persona di fiducia del capo, in ragione delle disposizioni a lui impartite dal COGNOME anche afferenti alle strategie utili per il controllo del territorio di pertinenza cui il ricorrente aderis senza preventive intese, eseguendo gli ordini imposti, valutando la qualità del suo apporto come stabile e continuativa messa a disposizione del clan, nella piena consapevole adesione ad esso, in un’ottica funzionale alla realizzazione del programma criminoso e di controllo del territorio e di pervasivo condizionamento dell’economia locale di cui risulta avere piena visione, elementi che escludono una mera contiguità compiacente o disponibilità nei riguardi del singolo componente del sodalizio, né, a fronte di una completa messa a disposizione del sodalizio, costituendo elemento idoneo ad escludere la gravità del quadro indiziario la mancanza di precedenti indagini a carico del ricorrente. In forza di queste considerazioni il motivo si presenta come inammissibile.
2.4 I motivi di ricorso che attengono alla illogicità della motivazione in relazione alle aggravanti di cui all’art.416 bis 1 cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso per i capi E), H), I) e dell’agevolazione per i reati di cui ai capi, R), S) e T), sotto il profilo soggettivo, sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
In primo luogo, va detto che il Collegio intende ribadire l’orientamento giurisprudenziale, affermato già in più occasioni dalla Corte in casi del tutto analoghi (così, Sez.2, n.19245 del 30/03/2017, COGNOME, Rv.269938-01; conf. Sez.2, n.34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv.284950-01), secondo cui: “Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), è sufficiente – in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività.
Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, in tema di estorsione cd. “ambientale”, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7, dl. 13 maggio 1991, n. 152, conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416-bis.1 cod. pen.), la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all’influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l’estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sussistere . la circostanza aggravante nella richiesta
ad un commerciante di denaro a fronte di protezione, dopo che il negozio era stato danneggiato varie volte, in un quartiere ad alta densità mafiosa) (Sez. 2, Sentenza n. 21707 del 17/04/2019, Rv. 276115 – 01).
Ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416 – bis. 1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante nella minaccia rivolta all’avente titolo a rinunciare all’assegnazione di un’abitazione popolare, attuata prospettando che essa serviva alla figlia di un esponente apicale di un sodalizio mafioso) (Sez. 2, Sentenza n. 39424 del 09/09/2019 Rv. 277222 – 01).
Il Tribunale ha evidenziato che, dagli atti di indagine (intercettazioni e servizi di o.c.p.), emerge con chiarezza che la tentata estorsione mediante le due richieste estorsive profferite dal ricorrente nei confronti delle persone offese era stata portata avanti con i tradizionali metodi intimidatori mafiosi e percepita come tale dalla parte offesa querelante in un contesto territoriale in cui la presenza della ‘ndrangheta per il controllo delle attività economiche è noto alla collettività.
Analoghe considerazioni valgono per l’ipotesi della turbativa d’asta mediante frasi di carattere intimidatorio profferite da NOME COGNOME nel corso della conversazione intercorsa con NOME COGNOME e NOME COGNOME, era stata portata avanti con i tradizionali metodi intimidatori mafiosi, evincibili dalle eclatanti modalità dell’azione (avere agito in gruppo, in luogo pubblico, perpetrando minacce esplicite, nella certezza che nessuno li avrebbe denunciati potendo contare sulla propria caratura criminale, ben nota sul territorio, in un contesto territoriale in cui la presenza della ‘ndrangheta per il controllo delle attività economiche è noto alla collettività). In particolare, la gravità indiziari viene fondata anche nella condotta del ricorrente che partecipa sia alla riunione avente ad oggetto la programmazione dell’azione intimidatrice sia alla fase esecutiva, appostamento programmato al fine di allontanare gli offerenti, accerchiamento della vittima con profferimento da parte di uno dei correi COGNOME) di minacce esplicite di distruzione dell’immobile per indurla a desistere dalla partecipazione all’asta.
Anche in questo caso le motivazioni non appaiono censurabili sotto alcun profilo, sia con riferimento alla valutazione del contenuto della conversazione intercettata in relazione alla chiara ed inequivoca volontà manifestata dal gruppo di sodali tra cui il ricorrente, di approntare delle rappresaglie nei confronti di
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coloro che si fossero mostrati interessati alla casa del sodale, esplicitando che la eventuale ritorsione sarebbe stata perpetrata dal gruppo mafioso sia con riferimento alla valutazione della condotta in concreto posta in essere dal gruppo il giorno dell’asta nei confronti di terzi, consistita prima nell’appostamento di fronte all’ingresso per attendere i partecipanti interessati all’asta con chiaro intento intimidatorio, poi nell’accerchiamento da parte di tutto il gruppo nei confronti del probabile acquirente e, quindi di terzi interessati laddove il correo COGNOME, rivolgendosi all’acquirente, lo intimoriva con la minaccia esplicita che chi avesse acquistato l’immobile avrebbe fatto un pessimo affare perché loro l’avrebbero distrutto, come concordato nella riunione del giorno precedente.
Sul punto la difesa reitera censure già disattese dal Tribunale, prospettando una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati con motivazione immune da vizi dal Tribunale. Quanto, invece, all’altro aspetto dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., ossia la finalità agevolatrice dell’associazione mafiosa, ritenuto in relazione ai reati di cui ai capi R), S) e T), va richiamato il principio affermato in massima dalle Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01) secondo cui: “La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe”. Sul punto il Collegio del Riesame ha offerto una motivazione congrua e comunque non viziata per contraddittorietà o manifesta illogicità, rilevando specificatamente, in risposta all’eccezione già proposta dalla difesa, ha richiamando le strette cointeressenze tra gli associati, la comune appartenenza all’associazione di stampo mafioso di cui al capo A), in considerazione delle numerose azioni di fuoco perseguite dai sodali e la circostanza che le armi fossero detenute per espandere e rafforzare il potere del sodalizio ritenendo, per la posizione rivestita dal ricorrente, che la condotta detentiva sia stata funzionale per accrescere il sodalizio di appartenenza, richiamando, sul punto, la disposizione impartita dal capo del clan COGNOME, e condivisa da COGNOME, di spostare le armi per evitare controlli di polizia e possibili sequestri, ravvisando nell’azione il perseguimento di un interesse collettivo per l’intero gruppo criminale di una detenzione comune delle armi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.10 Il decimo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge e illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’att.275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, è infondato.
In primo luogo, va ribadita in tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Quanto alla rilevanza del cosiddetto “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso temporale tra l’emissione della misura ed i fatti contestati, l’ultimo risalente al 2019, il Collegio osserva che la giurisprudenza maggioritaria esclude che tale elemento possa da solo rappresentare prova della rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, soprattutto nei casi di associazioni mafiose tradizionali come la ‘ndrangheta in cui, in base alle massime di esperienza di cui si dispone, risulta oltremodo difficile recidere volontariamente e definitivamente il vincolo associativo senza “contraccolpi”. La Corte, perciò, in più occasioni ha affermato che: “In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari” (così Sez.2, GLYPH n.7837 GLYPH del GLYPH 12/02/2021, GLYPH Rv.280889-01; GLYPH conf. GLYPH Sez. GLYPH V, GLYPH n.16434 GLYPH del 21/02/2024, GLYPH Rv. 286267-01; GLYPH Sez.2, n.6592 del 25/01/2022, Rv.282766-02; Sez.2, GLYPH n.38848 del GLYPH 14/07/2021, Rv. GLYPH 282131-01; GLYPH Sez.5, n.35848 GLYPH del 11/06/2018, Rv. 273631-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Infatti, il diverso orientamento che assume che, in caso di tempo c.d. silente, il giudice avrebbe un onere di motivazione sulla perdurante attualità delle esigenze cautelari anche ove non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273; Sez. 6, n. 6 16867 del 20/03/2018, Rv. 272919), poiché il fattore tempo, se è rilevante l’arco temporale, assurge a elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell’indagato, destinato ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272; Sez. 6, n. 2112 del 2024) o altra situazione idonea a denotare un recesso dello stesso dall’associazione, si fonda su inestricabili contraddizioni. Sotto un primo profilo, l’assunto, che talvolta si rinviene nei richiamati precedenti, per il quale quella affermata costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato
normativo (v., da ultimo, Sez. 6 n. 2112 del 2024), è distonico rispetto ai principi costantemente affermati dalla Corte Costituzionale nel senso di ritenere che le peculiari caratteristiche del vincolo associativo mafioso impediscano di assumere che misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere siano idonee a neutralizzare il periculum libertatis. Di qui, a fronte del chiaro tenore letterale della disposizione, l’individuazione di una sorta di “eccezione” alla presunzione nell’ipotesi di cd. tempo silente finisce con il creare una sorta di norma nuova, non ricompresa nell’ambito dei possibili significanti sul piano letterale della disposizione oggetto di interpretazione (cfr., pur con riferimento all’interpretazione autentica, Corte Cost. sent. n. 4 del 2024, n. 61 del 2022, n. 133 del 2020). A tale risultato, in un sistema nel quale è accentrato nella Corte Costituzionale il sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi e gli atti aventi forza di legge, non si può pervenire, laddove la Consulta abbia più volte avallato un’interpretazione rigorosa di una disposizione normativa mediante un’esegesi che assume di essere costituzionalmente orientata ma solo, in ipotesi, chiedendo alla stessa Corte Costituzionale una pronuncia additiva sull’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., con riferimento alla ricomprensione sotto l’egida della norma di situazioni nelle quali sia trascorso un lungo lasso temporale c.d. silente.
In altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha fornito sul punto una motivazione congrua e specifica, evidenziando che dagli atti investigativi era emerso una partecipazione di lungo corso tuttora stabile, che il ricorrente avesse rapporti molto stretti non solo con i vertici del sodalizio mafioso, NOME COGNOME considerato il capo dell’omonima cosca, ma anche con altri sodali di particolare fiducia del capo quali NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Il Tribunale ha, altresì, fondato il giudizio prognostico sul contesto criminale di consumazione dei fatti, sulla gravità intrinseca degli stessi e sulle allarmanti modalità esecutive e finalità, tipicamente mafiose, sull’ampia rete di rapporti personali ed economici con vertici e sodali dell’associazione, la dedizione ad espandere le trattative illecite oltre il confine, la intensità del dolo di adesione criminosa, per cui, a fronte di tali evidenze processuali, il rilievo della distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura custodiale non può essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., giacché è certa o comunque altamente probabile, considerata la caratura criminale estrinsecata dal COGNOME, l’assenza di
elementi idonei a provare l’effettivo ed irreversibile allontanamento dall’ambiente criminale in cui sono maturate le vicende illecite e dai fattori causali dei suoi illeciti comportamenti, la riproposizione di situazioni od occasioni analoghe a quelle che hanno dato causa al delitto per cui si procede in costanza delle quali è molto prevedibile che l’indagato, non sottoposto a vincolo coercitivo, finisca per reiterarne il compimento.
Appare infine corretta la motivazione del Tribunale in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari tenuto conto che si versa in un’ipotesi di mafia storica, radicata da molti anni sul territorio, che ha innestato chiare e consolidate modalità mafiose nel perseguimento dei fini sottesi al programma criminoso, in assenza di altre circostanze che · possano indurre a ritenere che NOME COGNOME abbia effettivamente reciso i forti e consolidati legami, di natura familiare, con il contesto mafioso, emergendo invece una partecipazione attiva ad alcune dinamiche del sodalizio per la conservazione della consorteria, al cui interno svolge un ruolo di primo piano.
Parimenti, sotto il profilo dell’adeguatezza del regime cautelare disposto, l’ordinanza è immune da censure adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede evidenziando un concreto ed attuale pericolo di recidiva, e di inidoneità, tenuto conto della spregiudicatezza e della assoluta inaffidabilità dell’indagato, di altre forme di coercizione, quali gli arresti domiciliari anche con braccialetto elettronico, che non consentono di monitorare le altre prescrizioni che di consueto accedono alla misura la cui violazione potrebbe favorire il riattivarsi dell’attività criminosa ovvero dei contatti con il mercato illegale delle armi nonché mediante la messa a disposizione dei luoghi di custodia.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 26/11/2024.