Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1478 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1478 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME AntonioCOGNOME nato a Gioia Tauro (RC) il 01/01/1951
avverso la ordinanza del 14/04/2023 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza con rinvio, limitatamente al reato di cui al capo 21) dell’incolpazione, e per l’inammissibilità
od il rigetto del ricorso nel resto;
uditi i difensori del ricorrente, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME per i reati di partecipazione con ruolo organizzativo ad un’associazione di tipo mafioso, segnatamente la cosca COGNOME della “‘ndrangheta” calabrese, nonché per vari episodi, consumati o tentati, di
estorsione pluriaggravata, anche dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare la predetta associazione (capi 1, 11, 13, 21, 33 e 34 dell’incolpazione provvisoria).
Egli ricorre avverso tale decisione con separati atti di entrambi i suoi difensori.
Il ricorso dell’avv. NOME COGNOME consta di sei motivi, con i quali si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione sui capi e punti di sèguito rispettivamente indicati.
2.1. Estorsione in danno di un commerciante di materiale termoidraulico, tale COGNOME, al quale, su incarico ricevuto da altri aderenti al sodalizio mafioso, COGNOME avrebbe fatto pressioni, affinché fornisse della merce a titolo gratuito a NOME COGNOME, moglie del capo-cosca NOME COGNOME (capo 11).
Obietta la difesa: che le conversazioni intercettate, sulle quali si fonda in via esclusiva l’accusa, sono intervenute tutte tra terzi, non avendo il ricorrente mai commentato la vicenda con gli ipotizzati correi; che, da quei dialoghi, non risultano dimostrate le ipotizzate minacce nei confronti del Trimboli, né che l’eventuale autore sia stato il ricorrente, il cui effettivo contributo viene in realtà messo i dubbio dagli stessi sodali; che, infine, non si concilia con l’ipotesi accusatoria il disappunto manifestato da costoro per il fatto che COGNOME ne avrebbe approfittato per farsi dare da Trimboli due caldaie per sé senza pagarle, operando cioè con quel modo d’agire mafioso che avrebbe tenuto anche nella presente vicenda.
2.2. Tale episodio delle caldaie costituisce oggetto del capo 13) dell’incolpazione.
Posto che il sodale COGNOME, in un suo dialogo intercettato con tale COGNOME, anch’egli appartenente alla cosca, gli suggerisce di prendere una caldaia da Trimboli, promettendo di pagarla in sèguito ma senza alcuna intenzione di farlo effettivamente, osserva la difesa che la contrarietà manifestata dallo stesso COGNOME per l’analogo contegno che avrebbe tenuto COGNOME può spiegarsi soltanto o con l’estraneità di quest’ultimo alla consorteria mafiosa o con l’assenza di qualsiasi sua condotta minacciosa e con la conseguente assunzione effettiva del relativo debito.
2.3. Tentativo di estorsione in danno di tali NOME ed NOME COGNOME titolari di una rivendita di detersivi, sollecitati a pagare la c.d. “messa a posto” verso la cosca (capo 21).
Non emergerebbe, dalle conversazioni intercettate e valorizzate dal Tribunale, il tipo di pretesa asseritamente avanzata dal ricorrente; egli avrebbe chiesto ad altro presunto correo di acquisire informazioni, soltanto perché preoccupato che terze persone potessero pensare che egli avesse riscosso somme da quegli imprenditori. Peraltro, la vicenda è rimasta senza sèguito.
2.4. Tentativo di estorsione relativo all’esazione con violenza e minacce, da parte di un commerciante pugliese, tale COGNOME, del saldo del prezzo di una partita di frutta, che questi aveva acquistato dai sodali mafiosi COGNOME e COGNOME (capo 33).
Deduce la difesa che la condotta andrebbe inquadrata nella diversa fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393, cod. pen.), avendo il Tribunale fondato il proprio giudizio esclusivamente sulla ritenuta sproporzione tra il diritto vantato e la condotta violenta posta in essere per tutelarlo, e così aderendo ad una lettura normativa ormai superata dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la quale individua il discrimine tra le due figure delittuose nella direzione finalistica della condotta dell’agente.
Si sostiene, dunque, che COGNOME abbia agito al fine esclusivo di ottenere il pagamento del legittimo credito dei fornitori, senza alcuna prospettiva di tornaconto personale.
A tal fine, replicando alle valutazioni del Tribunale, il ricorso adduce: a) che è errato ritenere che COGNOME abbia interessato tale NOME COGNOME, esponente di rango della criminalità mafiosa della zona di residenza del debitore, per rafforzare la minaccia verso quest’ultimo, essendo stato costui interpellato, invece, solo perché gli acquirenti ne avevano speso il nome per accreditarsi al momento della trattativa; b) che tra COGNOME e tale NOMECOGNOME anch’egli indicato nell’ordinanza come un criminale del luogo, interessato dal primo per la soluzione della vicenda, vi era un rapporto di amicizia ultraventennale; c) che nessuna costrizione COGNOME ha operato sull’intermediario NOME COGNOME affinché si accollasse il debito del COGNOME (come poi in effetti è avvenuto), emergendo, piuttosto, dai dialoghi intercettati, che sia stato lo stesso COGNOME a sentirsi esposto in prima persona; d) che COGNOME si è disinteressato del prosieguo della vicenda prima che essa si concludesse; e) che gli altri indagati COGNOME e Messineo non hanno riconosciuto alcuna rilevanza al suo intervento; f) che i creditori, alla fine, non hanno ottenuto l’integrale pagamento della fornitura, sicché l’intermediazione del ricorrente sarebbe stata addirittura sfavorevole; g) che egli non avrebbe comunque tenuto condotte violente o minacciose verso i debitori, essendosi limitato a muovere loro “rimproveri” ed a formulare ripetuti inviti a trovare un accordo, addirittura proponendo una dilazione di pagamento.
2.5. Tentativo di estorsione consistito nella partecipazione, unitamente ad altri sodali della cosca e ad un referente criminale siciliano, all’attività d’intermediazione in favore e su incarico di tale NOME COGNOME affinché NOME COGNOME promissario acquirente di un capannone sito in Sicilia, a costei pervenuto in proprietà per via ereditaria, desse esecuzione al preliminare di vendita, stipulando il contratto definitivo e versando l’intero prezzo (capo 34).
Secondo l’accusa, COGNOME avrebbe seguìto passo dopo passo la vicenda, dalla ricezione dell’incarico ad opera della COGNOME fino all’accordo finale con COGNOME, poi non concluso per complicanze burocratiche, ma che prevedeva la corresponsione di 100.000 euro quale compenso per l’intermediazione.
Obietta la difesa: che la COGNOME era titolare di una pretesa giuridica astrattamente tutelabile; che ella ha conferito l’incarico a Zito solo in quanto questi aveva affiancato il proprio defunto marito già anni prima, al momento della stipulazione del preliminare; che l’ausilio del soggetto siciliano, tale COGNOME, si era reso necessario non per mettere pressione ad Arestia, ma solo per contattare i parenti della COGNOME, comproprietari del capannone, con i quali la stessa non era in buoni rapporti; che COGNOME, in momenti significativi della trattativa, ha tenuto in disparte il predetto COGNOME ed i propri compagni di cosca COGNOME e COGNOME; che, infine, non v’è traccia della pattuizione del compenso per la mediazione, del quale non si è mai fatto menzione nei colloqui tra lui e quei suoi ipotizzati sodali.
2.6. Partecipazione all’associazione mafiosa (capo 1).
L’ordinanza valorizzerebbe il rapporto fiduciario tra COGNOME ed il capo-clan COGNOME, tuttavia risalente a prima della detenzione di quest’ultimo, e quindi a circa trent’anni addietro: nel periodo interessato dalle indagini, infatti, COGNOME era ancora detenuto.
Inoltre, il Tribunale dà rilievo a vicende per le quali nessuna contestazione viene elevata al ricorrente; mentre il ruolo centrale a lui attribuito nel settore delle estorsioni è smentito dal fatto che gliene vengano addebitate soltanto cinque sulle trentuno oggetto d’indagine.
Infine, l’ordinanza trascura l’assenza di qualsiasi coinvolgimento dello COGNOME nei reati in materia di armi e stupefacenti.
Il ricorso dell’avv. NOME COGNOME presenta sette motivi, lamentando anch’egli violazioni di legge e vizi di motivazione sui relativi capi e punti della decisione.
3.1. Il primo motivo riguarda il giudizio di gravità indiziaria per il reato associativo, deducendosi anche in questo caso come il Tribunale abbia erroneamente inteso riferiti all’attualità i rapporti intrattenuti dal ricorrente co COGNOME che invece era ancora detenuto e col quale, dopo la scarcerazione, COGNOME non soltanto non ha avuto incontri, ma anzi – nel corso di alcuni suoi dialoghi intercettati – ha affermato di non aver la necessità di farlo e di non aver nulla da dirgli, altresì negando la propria collaborazione ad un esponente di altra cosca che gli aveva chiesto di procurargli un incontro con costui.
3.2. Il secondo motivo si duole della ritenuta esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e della conseguente applicazione della custodia in carcere nonostante si tratti di persona ultrasettantenne.
Il Tribunale ha concluso in tal senso, valorizzando una precedente condanna definitiva del ricorrente per partecipazione ad associazione mafiosa ed il ruolo “apicale” ch’egli avrebbe ricoperto all’interno della consorteria.
Ma – obietta il ricorso – la precedente condanna risale al 1999; dalla sua scarcerazione, avvenuta nel lontano 2002, COGNOME non è stato mai condannato, processato o indagato; dai fatti per cui è oggi indagato sono trascorsi più di due anni; di trentuno episodi estorsivi oggetto d’indagini, solo cinque lo vedrebbero in ipotesi coinvolto; è estraneo ai delitti in materia di armi e stupefacenti; il ruolo “apicale” non trova riscontro nemmeno nell’ipotesi d’accusa, che lo qualifica come “luogotenente” dei capi; che, comunque, tali eccezionali esigenze cautelari non possono desumersi automaticamente dal ruolo ricoperto dal soggetto all’interno del sodalizio.
3.3. Il terzo motivo di ricorso rimprovera al Tribunale di aver concluso per la compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime penitenziario, senza disporre la necessaria indagine tecnica richiestagli e limitandosi a valutare la documentazione difensiva prodottagli, giudicandola insufficiente.
3.4. I motivi dal quarto al settimo riguardano i singoli reati-scopo oggetto d’addebito (capi 11, 13, 21, 33 e 34) e ricalcano, finanche nel testo, le corrispondenti doglianze proposte dal co-difensore, come dianzi esposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi d’impugnazione può essere ammesso.
Quelli relativi al giudizio di gravità indiziaria per i vari reato oggetto d’addebito presentano un limite comune: quello, cioè, di proporre nient’altro che un’alternativa ricostruzione dei fatti, spigolando in modo disorganico tra le risultanze probatorie, attribuendo un significato diverso ad alcune di quelle valorizzate dal Tribunale o indicandone delle altre, senza però spiegare perché il percorso argomentativo dell’ordinanza debba ritenersi manifestamente illogico.
Giova ricordare, allora, ancora una volta, che il compito della Corte di cassazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, ma di stabilire questi ultimi abbiano esaminato gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una ‘corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica
nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428, ribadita, in termini analoghi, anche da Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Ne consegue che non sono censurabili in sede di legittimità, se non entro gli appena esposti limiti, la valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (tra moltissime altre: Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623).
Questo significa che, con particolare riferimento alla materia delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (così, tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
È sufficiente perciò rilevare, in questa sede, che la motivazione dell’ordinanza, in relazione alla gravità indiziaria per tutti gli addebiti mossi al ricorrente, risul logicamente lineare, priva di evidenti fraintendimenti dei dati probatori di riferimento ed esauriente, non risultando in essa trascurato alcun elemento di prova di valenza potenzialmente decisiva in senso contrario.
3. Quanto alla doglianza in tema di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, al netto di alcune formule di stile, l’ordinanza valorizza circostanze senza dubbio concludenti: il ruolo di rango del ricorrente all’interno della cosca, il suo coinvolgimento in plurime iniziative estorsive, la sua partecipazione a vicende significative della vita associativa (vds. pagg. 28-31), il suo intervento nei conflitt interni al sodalizio, la gestione di denaro destinato a quest’ultimo, il suo stretto rapporto con il capo-clan COGNOME la sua capacità d’interlocuzione con appartenenti ad altre – ndrine” ed anche ad altre formazioni criminali mafiose operanti al di fuori della Calabria.
Si tratta di circostanze altamente sintomatiche dell’attualità dell’inserimento del ricorrente nei ranghi più elevati della compagine mafiosa nonché del suo ruolo pienamente operativo nelle attività criminali della stessa, perciò ragionevolmente ritenute dal Tribunale sintomatiche di un pericolo particolarmente elevato di commissione di ulteriori gravi delitti e, quindi, di esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza (vds., in proposito, Sez. 6, n. 19848 del 28/03/2023, COGNOME, Rv. 284737, secondo cui sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ai sensi dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., nel caso di soggetto ultrasettantenne di cui sia riconosciuto il ruolo apicale e di rappresentanza in seno all’articolazione territoriale di un’associazione mafiosa).
Con riferimento, infine, alle condizioni di salute ed al mancato esperimento, da parte del Tribunale del riesame, dell’indagine medica richiestagli dalla difesa, si deve rammentare che l’art. 299, comma 4-quater, cod. proc. pen., in tema di accertamenti medici sulle condizioni di salute dell’indagato detenuto, attiene esclusivamente alla procedura della revoca o sostituzione della misura cautelare e non è estensibile in via analogica al procedimento di riesame: tale preclusione non deriva dai limiti devolutivi dell’impugnazione, che non operano in materia di riesame, quanto piuttosto dal fatto che l’ordinamento ha previsto uno specifico mezzo per far valere le situazioni sopravvenute che impongano la revoca o modifica della misura per incompatibilità con il regime detentivo (in questi termini, tra altre, Sez. 2, n. 13624 del 18/02/2021, Sconti, Rv. 281032; Sez. 2, n. 16370 del 03/04/2014, COGNOME, Rv. 259430).
Nessun rimprovero, dunque, può muoversi al Tribunale del riesame, altresì considerandosi i ristrettissimi termini perentori che ne scandiscono il procedimento.
All’inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023.