Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 38552 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 38552 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 28/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato in Marocco il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/07/2025 del Tribunale di Firenze
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’8 luglio 2025 il Tribunale di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero, ha annullato il provvedimento emesso il 18 febbraio 2025 dal Giudice per le indagini preliminari di Livorno e ha applicato ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, e 80, comma 2, d.P.R. n. 309/90.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto vizi della motivazione, per essere stato ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie sulla base di criteri generici e automatici, riferiti al tipo di reato, alla sua gravità all’entità della condanna irrogata in sede di rito abbreviato. L’imputato, tenuto conto del tempo trascorso in carcere e della correttezza del comportamento, potrebbe accedere alle misure alternative alla detenzione. La motivazione sarebbe poi contraddittoria laddove, per un verso, ha giustificato il diniego di altre misure meno afflittive “per l’assenza di legami del Bennaour sul territorio nazionale”, e, per altro verso, ha applicato la misura degli arresti domiciliari, indicando un domicilio in Italia e così smentendo il difetto di legami dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Deve ribadirsi che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. – 01).
Correlativamente, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame, a questa Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni del decisum e abbia adottato una motivazione congrua rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche va rilevato che l’ordinanza impugnata sfugge a ogni rilievo censorio.
Il Tribunale ha evidenziato la necessità dell’applicazione di una misura cautelare in ragione sia dell’entità della condanna irrogata in sede di rito
abbreviato sia della gravità del reato, risultando dalla sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Livorno che l’imputato è inserito in una rete di trafficanti di stupefacenti, le cui dimensioni esulano dal confine nazionale, come comprovato, da un lato, dall’ingente quantitativo di cocaina (circa Kg 20) detenuto al momento dell’arresto, dall’altro, dalle insidiose modalità di occultamento (all’interno di un apposito doppiofondo con meccanismo elettrocomandato).
Il menzionato Tribunale ha escluso l’applicabilità di misure meno afflittive degli arresti domiciliari, tenuto conto dell’assenza di legami dell’imputato sul territorio nazionale.
A fronte di tali argomentazioni, con cui il Collegio della cautela ha adeguatamente dato conto delle ragioni dell’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, il ricorrente si è limitato a svilire la valenza deg elementi acquisiti, facendo generico riferimento al tempo trascorso dal fatto, senza però confrontarsi con il dato, di per sé decisivo, della presenza di uno iato temporale tra il fatto e la misura disposta non certo consistente o significativo (si tratta di circa un anno) e senza considerare che la valutazione del fattore temporale non può essere disgiunta, in ogni caso, anche dalla disamina della gravità dei fatti.
Va ricordato, infatti, che, in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, dep. 2021, Barletta, Rv. 280566).
In tale ottica va rilevato che il Tribunale ha adeguatamente motivato la necessità di intervenire con la misura custodiale degli arresti domiciliari, idonea a rispondere alle ravvisate esigenze di cautela.
Va aggiunto che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la scelta della misura degli arresti domiciliari non contrasta con la decisione del Tribunale di non applicare misure meno afflittive, stante l’assenza di legami dell’imputato sul territorio nazionale. L’esistenza di legami, infatti, è circostanza più ampia e diversa rispetto all’esistenza di una abitazione di un cugino, disposto a dare ospitabilità.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
La Cancelleria è onerata degli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 28 ottobre 2025.