Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37862 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37862 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Data Udienza: 23/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
COGNOME
– Presidente
–
Sent. n. sez.
1596/2025
NOME COGNOME
CC – 23/10/2025
NOME BELMONTE
R.G.N. 27126NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME COGNOME
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/05/2025 del Tribunale di Palermo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 maggio 2025 il Tribunale di Palermo ha accolto l’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa dal G.I.P. dello stesso Tribunale, con la quale era stata applicata, nei confronti di COGNOME NOME, la misura cautelare dell’obbligo di dimora e di presentazione alla P.G. in luogo di quella richiesta della custodia cautelare in carcere, in ordine al delitto di cui all’art. 74 d.p.r. 309/90, aggravato dalla natura armata, dal metodo mafioso e dall’agevolazione dell’attività di associazione mafioso (capo 4), e al delitto di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90 in relazione ad ingente quantitativo di droga leggera e pesante, 6.566 grammi di hashish e 6.740 grammi di cocaina (capo 28). Indi ha applicato al predetto la misura custodiale, sospendendone l’esecuzione fino alla definitività.
Con atto a firma del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME avverso il provvedimento del Tribunale, deducendo vizio di motivazione e violazione di legge.
Il ricorrente lamenta innanzitutto che il Tribunale ha erroneamente valorizzato ai fini della sua valutazione la sentenza del 22 Febbraio 2024, resa all’esito di giudizio abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, che ha affermato la sussistenza del reato di associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti, aggravato ai sensi dell’articolo 416-bis.1, cod. pen., ‘al fine di annettere al mandamento mafioso di Porta Nuova la gestione e il coordinamento di alcune piazze di spaccio site nel centro cittadino ove ricade anche il deposito de quo ‘.
Si evidenzia al riguardo che infatti trattasi di sentenza rispetto alla quale difetta la prova della sua irrevocabilità, con la conseguenza che essa avrebbe potuto essere utilizzata unicamente quale documento producibile a norma dell’art. 234 c.p.p., ma non ai fini della valutazione delle prove e della ricostruzione dei fatti oggetto di accertamento nel diverso procedimento penale.
Nel caso in esame il Tribunale è incorso in un duplice vizio: da un lato ha utilizzato ben oltre i limiti consentiti dall’art. 234 del codice di rito la sentenza citata, avendo attribuito alla statuizione in essa richiamata valore probatorio ( rectius gravemente indiziante) in relazione al presunto contributo qualificato che il COGNOME avrebbe offerto; dall’altro lato, ha posto a sostegno della decisione elementi relativi a vicende processuali rispetto alle quali il ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione difensiva trattandosi di emergenze processuali in alcun modo legate al predetto.
A ciò si aggiunga che il Tribunale non ha comunque offerto elementi di sorta per poter, anche in termini ipotetici, configurare un collegamento di qualsivoglia natura o identità tra il ricorrente e taluno dei soggetti menzionati nella sentenza in questione, posto che dagli atti non emerge alcun contatto tra essi e il COGNOME, nè risulta che il P.M. ne abbia dato contezza; evidente è dunque il vizio di violazione di legge e di illogicità nella motivazione.
Si contesta inoltre il provvedimento impugnato nella parte in cui, per superare il richiamo operato dal G.i.p. in relazione al modesto lasso temporale entro il quale si sarebbero svolti gli accadimenti in scrutinio – brevità temporale che giustificava il modesto grado di cautela ravvisato dal medesimo G.i.p. nel caso di specie – ha fatto leva sull’intensità delle interazioni intercorse tra il COGNOME e uno dei coindagati senza tener conto che, ad onta di un dispiegamento di energie investigative sviluppatosi in un significativo arco temporale, il relativo risultato rispetto all’indagato non è andato oltre quell’unico episodio contestato al capo 28. Se fosse stato davvero profondo il livello di interazione associativa, versandosi in tema di reati legati al traffico di stupefacenti certamente non si sarebbe rimasti di fronte ad un unico fatto
criminoso, perché la natura stessa delle fattispecie contestate richiede più interazioni tra i soggetti coinvolti. Tale profilo ha un’irrimediabile ricaduta sulla tenuta logica del ragionamento svolto dal Tribunale.
Deve poi rilevarsi che anche se il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274, comma 1, lettera c) del codice di rito, tuttavia è indubbio che in presenza di una distanza temporale dai fatti che sia oggettivamente apprezzabile – come nel caso di specie superiore ai due anni – l’obbligo di motivazione debba essere adempiuto in termini particolarmente rigorosi nell’indicare le ragioni sia dell’attualità del tipo di esigenza cautelare ritenuta sussistente, che della scelta della misura cautelare, perché tale distanza temporale di per sé costituisce un elemento di fatto tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, ancorché non per sé incompatibile. D’altronde oramai non è più obbligatoria la misura custodiale in carcere in relazione all’articolo 74 d.p.r. 309/90. Nel caso di specie non può dirsi operata tale valutazione da parte del Tribunale.
Il ricorso, proposto successivamente al 30.6.2024, è stato trattato – ai sensi dell’art. 611 come modificato dal d.lgs. del 10.10.2022 n. 150 e successive integrazioni, e dell’art. 127 del codice di rito – su richiesta, con l’intervento delle parti, rectius del Pubblico Ministero che ha rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, presentando tratti di inammissibilità.
1.1.Esso risulta, invero, generico nella parte in cui lamenta l’utilizzo di sentenza, non passata in giudicato, emessa all’esito di giudizio abbreviato, in data 22 febbraio 2024, nell’ambito di procedimento penale al quale è rimasto estraneo il COGNOME. Prospetta, il ricorrente, che il Tribunale sarebbe incorso in un duplice vizio, perché da un lato, avrebbe utilizzato ben oltre i limiti consentiti dall’art. 234 del codice di rito la sentenza citata, avendo attribuito alla statuizione in essa richiamata valore probatorio ( rectius gravemente indiziante) in relazione al presunto contributo qualificato che il COGNOME avrebbe offerto, e, dall’altro lato, avrebbe posto a sostegno della decisione elementi relativi a vicende processuali rispetto alle quali il ricorrente non ha avuto alcuna possibilità di interlocuzione difensiva, trattandosi di emergenze processuali in alcun modo legate al predetto.
Tuttavia, nel dolersi di tale utilizzo improprio da parte del Collegio cautelare, il ricorrente non indica in che termini esso abbia inciso, in maniera decisiva, sulla valutazione della posizione del COGNOME, limitandosi a riportare, a titolo esemplificativo, un passaggio dell’ordinanza impugnata che avrebbe inteso valorizzare la sentenza in argomento, nella parte in cui aveva dichiarato, tra gli altri, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, responsabili del reato di associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., al fine di ‘annettere al mandamento mafioso di Porta Nuova la gestione del coordinamento di alcune piazze di spaccio site nel centro cittadino, ove ricade anche il deposito de quo’ .
Indi si assume che su tali basi, nell’ordinanza impugnata, si sarebbe tratto ‘che lo spessore indiziario contestato al ricorrente ben poteva essere inquadrato, sotto il profilo del contributo associativo asseritamente offerto dallo stesso, nell’ambito di un contesto organizzato e ricadente sotto il diretto controllo del sodalizio mafioso, di guisa che anche l’ipotesi accusatoria risultava rafforzata attraverso la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.’ (così testualmente in ricorso).
Attraverso tale prospettazione il ricorso assume che la sentenza citata sarebbe stata usata oltre i limiti di cui all’art. 234 cod. proc. pen., non come mero documento attestante la intervenuta condanna delle persone suindicate in ordine al reato associativo aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1. c.p.
Dal dovuto confronto col provvedimento impugnato, a cui si è in definitiva sottratto il ricorso, emerge, invece, che riguardo al contributo associativo qualificato ascritto al ricorrente, si fa innanzitutto riferimento alle risultanze del presente procedimento, come rappresentate dal Pubblico Ministero impugnante e recepite dal Tribunale (che peraltro, in assenza di contestazione difensiva quanto alla gravità indiziaria, ha rimandato per la compiuta ricostruzione dei fatti al provvedimento del G.i.p.).
Risultanze che hanno lasciato trapelare i rapporti che il COGNOME aveva intessuto direttamente coi vertici dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti nel mandamento di Porta Nuova, oggetto di contestazione nel presente procedimento, curando, per conto di costoro, la custodia di un ingente quantitativo di stupefacente, sia leggera che pesante (pari ad oltre sei chili per ciascuna tipologia), oggetto della contestazione elevata al capo 28, sostanze di cui i vertici associativi, COGNOME e COGNOME, correi coindagati per la medesima associazione ascritta al COGNOME, avevano imposto l’acquisto ai responsabili delle singole piazze di spaccio al prezzo non negoziabile imposto dal mandamento mafioso.
Dunque, il contributo dell’indagato – argomenta il Tribunale – si inserisce in un livello elevato dell’associazione da cui sono dirette tutte le condotte di spaccio sul territorio sia nelle piazze di spaccio che a domicilio.
Specificamente il Tribunale ha recepito l’impostazione del Pubblico ministero secondo cui l’indagato aveva intrattenuto contatti diretti con i pusher e raccolto il denaro destinato al sodalizio consegnandolo al coindagato COGNOME e curando con costui la contabilità associativa. Ha ritenuto, in particolare, il Tribunale, sufficiente specificare nella presente sede cautelare che ‘l’evidenza addirittura probatoria del sequestro nell’abitazione di INDIRIZZO, frequentata dal prevenuto, come da servizi di osservazione, dei rilevanti quantitativi di sostanze stupefacenti sub capo 28, valutata unitamente alla rete di rapporti monitorati a seguito dei servizi di osservazione e delle captazioni tra COGNOME NOME e i coindagati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (cfr. pagg. 195 e sgg. dell’ordinanza impugnata), consente di riferire al suddetto la gravità indiziaria (oltre che in ordine all’addebito sub capo 28) in ordine al suo ruolo di stretto collaboratore dei suddetti nell’attività di custodia e distribuzione delle sostanze, il cui deposito era stato allestito all’interno dell’abitazione citata nella disponibilità del coindagato COGNOME. Ivi l’indagato – annota il Tribunale – si recava pressoché quotidianamente, su indicazione di COGNOME NOME. La circostanza poi che siffatti incroci di relazioni e di accessi dell’indagato nel citato immobile, fino a ridosso del sequestro del 28 Aprile 2023, rispondesse ad un’unica struttura associativa e ad una rete di relazioni criminali permeate da affectio societatis , si ricava con assoluta evidenza dalla circostanza che proprio l’indagato e COGNOME NOME il giorno del sequestro informavano immediatamente il coindagato COGNOME NOME dell’intervento dei Carabinieri nell’appartamento di INDIRIZZO, di guisa che quest’ultimo convocava subito una riunione nei pressi della sua abitazione ove convenivano oltre ai predetti anche COGNOME NOME e COGNOME NOME. Infine, una volta rimasti da soli a commentare l’accaduto, i coindagati COGNOME e COGNOME, nel rammaricarsi del danno subito, ne escludevano esplicitamente la valenza cosiddetta personale’ (così testualmente nel provvedimento impugnato). Dato questo che conferma, secondo la congrua conclusione del Tribunale, come ‘la condotta sub capo 28) costituisca l’epifenomeno dell’attività associativa sub capo 4), cui efficacemente prendeva parte anche COGNOME NOME.
Appare evidente che la ricostruzione del Tribunale non assevera affatto la riferibilità al ricorrente di una sola condotta di traffico di stupefacenti – quella di cui al capo 28 – quanto piuttosto la realizzazione di un contributo assiduamente prestato dallo stesso in favore dell’associazione e dei suoi stessi vertici, per essere stato egli monitorato mentre eseguiva compiti in diretta interrelazione solidaristica con i
coindagati COGNOME, COGNOME e soprattutto COGNOME e COGNOME, questi ultimi compresi a loro volta tra i più stretti collaboratori del sodale mafioso COGNOME, raggiunto da ordinanza custodiale in data 07/10/2024, cui seguiva quella del 14/02/2025 a carico del COGNOME, in quanto ritenuti entrambi associati mafiosi preposti, tra le altre incombenze, al coordinamento del circuito d’imposizione e distribuzione degli stupefacenti per conto del mandamento di Porta Nuova.
Ancora le emergenze – prosegue il Tribunale – ritagliano con riguardo al prevenuto anche un ruolo di distribuzione della sostanza agli operatori delle singole piazze, come riscontrato dall’osservazione in data 9 giugno 2023 della consegna a COGNOME NOME dello stupefacente che poco prima questi aveva chiesto al coindagato COGNOME.
Il riferimento alla sentenza non passata in giudicato – al pari di quello ai provvedimenti cautelari emessi nei confronti di coindagati – costituisce un modo per attestare un dato di fatto, consistente, in un caso, nell’intervenuta condanna, sia pure non definitiva, di determinati soggetti in ordine a reato associativo legato al traffico di stupefacenti, aggravato ai sensi dell’articolo 416-bis.1, cod. pen., e, nell’altro caso, nell’intervenuto arresto di determinati soggetti per reato di tipo associativo mafioso, rispetto ai quali il contenuto dei rispettivi provvedimenti consente comunque di prendere cognizione di quanto in esse scritto ai fini dei rilievi del caso (nel caso di specie assenti).
Fermo restando che, versandosi nell’ambito della gravità indiziaria, non è escluso che determinate circostanze affermate in provvedimenti non definitivi possano assumere un qualche rilievo valutativo, ove siano indicate nell’ambito del contesto ricostruttivo complessivo che si fonda anche su altri elementi.
In ogni caso, trattasi di mere annotazioni, da parte del Tribunale, su aspetti non integranti il nucleo fondante della gravità indiziaria qualificata, che, come si evince dalla sintesi sopra riportata, si fonda su ben altri elementi indiziari.
D’altronde, per espressa previsione normativa, di cui all’art.275, comma 1-bis cod. proc. pen., in caso di sentenza di condanna, non definitiva, il perimetro cognitivo-valutativo è limitato alla verifica della sussistenza delle sole esigenze cautelari, proprio perché ai fini cautelari assume rilievo la gravità indiziaria e non necessita la prova della responsabilità penale che solo una sentenza definitiva può attestare.
Si tratta piuttosto di valutare la valenza degli elementi desumibili dalla sentenza di condanna, nel senso di verificare in che misura essi possono avere un qualche rilievo ai fini della diversa valutazione da effettuare in sede cautelare (laddove il fatto che il difensore sia rimasto estraneo al procedimento in cui è stata emessa la sentenza di condanna, a rigore, di per sé, non rileva, trattandosi di circostanza che per espressa previsione normativa assume specifico rilievo rispetto alla diversa
ipotesi dell’utilizzo, ex art. 238 c.p.p., nell’ambito di un procedimento penale, dei verbali di prove assunte in altro procedimento penale).
1.2. Infondata è poi la doglianza che contesta l’applicazione della custodia in carcere a fronte del fatto che, come posto in evidenza dal G.i.p., modesto fosse il lasso temporale entro il quale si sarebbero svolti gli accadimenti in scrutinio – brevità temporale che giustificherebbe il modesto grado di cautela ravvisato dal medesimo G.i.p. nel caso di specie.
Ebbene, come lo stesso ricorso ammette, il Tribunale ha fatto leva sull’intensità delle interazioni intercorse tra il COGNOME e gli altri coindagati, in particolare con COGNOME e COGNOME. E tale argomento, a differenza di quanto assume la difesa, non appare suscettibile di essere sminuito alla luce di quello difensivo, rimasto peraltro affidato alla generica e parziale prospettiva della difesa, secondo cui ‘ad onta di un dispiegamento di energie investigative sviluppatosi in un significativo arco temporale, il relativo risultato rispetto all’indagato non è andato oltre quell’unico episodio contestato al capo 28’.
Quanto, infine, al tempo trascorso dai fatti, deve poi rilevarsi che il Tribunale non si è affatto trincerato dietro la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., avendo vagliato in concreto gli elementi che, nel caso di specie, militano per la sussistenza del pericolo di recidiva specifica. Ha, in particolare, il Tribunale, posto in evidenza, da un lato, la personalità del COGNOME, come evincibile anche dai precedenti reiterati e specifici risultanti a suo carico (pregiudicato per varie ipotesi di detenzione di stupefacente e per rapina), e come il ruolo dello stesso si sia dispiegato in contesto caratterizzato dalla presenza imperante di RAGIONE_SOCIALE, le cui regole governavano anche il traffico di stupefacenti e lo smistamento alle varie piazze di spaccio (smistamento monitorato almeno in un’occasione con riguardo al COGNOME), ed esplicato nel collaborare nella gestione di un insospettabile deposito di ingenti riserve di stupefacente, con modalità che rimandano ad una ‘strutturata consuetudine con relazioni criminali nel territorio, di elevato spessore, tale da neutralizzare il richiamo del G.i.p. al modesto lasso temporale di monitoraggio della condotta, come dato incompatibile con un elevato grado della cautela. Invero prosegue il Tribunale – siffatta brevità di rilevazione è ampiamente compensata dal profondo livello delle interazioni associative, intercorse quotidianamente, soprattutto col coindagato COGNOME‘ (così testualmente, a pag. 7 del provvedimento impugnato); risultato al centro delle dinamiche di alimentazione e di gestione dei depositi di spaccio nel territorio del mandamento, installati negli appartamenti riferibili al ricorrente (INDIRIZZO) e allo stesso COGNOME (nella vicina INDIRIZZO).
D’altra parte, il Tribunale non ha mancato di evidenziare che il contributo associativo si è protratto quanto meno sino ad aprile 2023, allorquando interveniva il sequestro dell’ingente quantitativo di droga di cui al capo 28, con la conseguenza
che neppure può ritenersi determinante ai fini che occupano il profilo del tempo trascorso, pure addotto dalla difesa, a fronte degli elementi concreti elencati dal Tribunale e dell’assenza di dati di positiva valutazione in favore dell’indagato.
2.Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
Seguono gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen. Così deciso il 23/10/2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME