Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20610 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20610 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CASTELVETRANO il 24/11/1981
avverso l’ordinanza del 27/03/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che si Ł riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27/03/2024, il Tribunale per il riesame delle misure cautelari di Milano, in riforma dell’ordinanza emesse dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano emessa in data 26/09/2023, ha applicato a carico di NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati a lui contestati ai capi 1) (art. 416-bis cod. pen.) e 18) (artt. 628, 629, comma 3 nn. 1 e 3, e 416-bis.1 cod. pen.) della contestazione a suo carico.
Il Tribunale ha ritenuto sussistenti i gravi indizi a carico di NOME COGNOME in relazione alla sua adesione e militanza in un sodalizio criminale strutturato e operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare tra le provincie di Milano e di Varese, costituita da appartenenti a tre diverse organizzazioni di stampo mafioso (cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra), nell’ambito della quale i vertici di ciascuna consorteria operano allo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo.
In particolare, NOME COGNOME faceva parte dell’articolazione di cosa nostra della provincia di Trapani, collegata al mandamento di Castelvetrano e operante in Lombardia, unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Nell’ambito delle attività di interesse di questo sodalizio NOME COGNOME insieme a NOME COGNOME, NOME COGNOME e a NOME COGNOME, fratello di NOME, aveva portato l’estorsione in danno di NOME COGNOME COGNOME, commessa in provincia di Milano tra il dicembre 2020 e il gennaio 2021 e contestata al capo 18).
NOME COGNOME avrebbe impartito direttive e coordinato le attività finanziarie dell’associazione mafiosa, gestendo i proventi degli affari di interesse del sodalizio con la creazione di una rete di società fittiziamente intestate a terzi, la reiterazione di falsi crediti di imposta, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per il riciclaggio e il reimpiego dei profitti illeciti. Avrebbe acquisito direttamente e indirettamente il controllo delle attività economiche attraverso NOME COGNOME e NOME COGNOME soci e amministratori della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e avrebbe partecipato a due summit strategici per risolvere controversie interne all’associazione il 23/9/2020 e il 31/3/2021.
Gli elementi a suo carico erano costituiti dalle conversazioni intercettate e trascritte agli atti che il Tribunale riteneva attendibili e utilizzabili e dalle quali si traeva con certezza l’identificazione di NOME COGNOME e del fratello NOME, anche alla luce delle verifiche combinate con le riprese video e i servizi di osservazione, pedinamento e controllo.
il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolando i seguenti motivi.
2.1 Con il primo, proposto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., ha denunciato violazione di legge penale e vizio di motivazione per errata applicazione ed interpretazione dell’art. 127, comma 2, cod. proc. pen. con conseguente lesione del diritto di difesa in danno all’indagato, nonchØ nullità, ex art. 178, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dell’ordinanza emessa dal Tribunale per il riesame di Milano.
2.1.1 La difesa del ricorrente aveva depositato note il 26/03/2024 in controdeduzione alle note depositate dal pubblico ministero in data 21/03/2024 e in vista dell’udienza del 27/03/2024.
All’udienza poi il pubblico ministero aveva depositato ulteriore memoria che la difesa aveva potuto esaminare solo l’08/04/2024 e aveva poi depositato ulteriori note in data 11/04/2024.
Il Tribunale, che si era riservato sulla loro ammissibilità, le aveva poi con l’ordinanza ritenute inammissibili perchØ la produzione era avvenuta fuori dai termini fissati dall’art. 127 cod. proc. pen.
Secondo la difesa, tale statuizione va censurata perchØ contraria ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo ai procedimenti conseguenti all’appello proposto dal pubblico ministero contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di misura cautelare personale; in tali giudizi Ł considerata legittima la produzione di elementi probatori nuovi nei confini del devolutum e, su quelli provenienti dal pubblico ministero, all’indagato deve essere concesse all’indagato di controdedurre.
La difesa aveva depositato le proprie note dopo che aveva potuto esaminare la ponderosa produzione del pubblico ministero e il Tribunale non la aveva ammessa richiamando il superamento dei termini di cui all’art. 127 cod. proc. pen., senza tenere conto dell’impossibilità della difesa di procedere diversamente e dell’assenza nel procedimento di termini perentori.
Aveva così prodotto un irreversibile pregiudizio al diritto di intervento e assistenza difensiva dal quale derivava la nullità del provvedimento ex art. 178, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
2.1.2 Nell’ambito del primo motivo il ricorrente contesta la manifesta illogicità e insufficienza della motivazione, che renderebbe il provvedimento inidoneo a giustificare la sussistenza dei requisiti di attualità e concretezza delle esigenze cautelari previsti dall’art. 274, comma 1, lett. a) e c), cod. proc. pen.
L’ordinanza si limiterebbe a richiamare genericamente condotte pregresse senza fornire concreti elementi che colleghino il ricorrente agli episodi contestati e non si confronterebbe con il percorso argomentativo del giudice per le indagini preliminari e con quello della difesa.
L’estorsione era ritenuta dimostrata sulla base di dichiarazioni non sottoposte ad adeguata verifica.
L’azione costrittiva attribuita a NOME COGNOME si sarebbe estrinsecata non nella minaccia di fare ricorso all’autorità giudiziaria per ottenere somme non dovute ma al concreto ottenimento attraverso la mediazione del giudice civile di un decreto ingiuntivo, un precetto e dei successivi atti del procedimento di pignoramento. Tutti i crediti da lui vantati risultavano certificati e presenti nel cassetto fiscale.
Inoltre la persona offesa dell’estorsione NOME COGNOME aveva intestato la RAGIONE_SOCIALE a tale NOME COGNOME per non ottemperare al pagamento delle rate concordate e aveva ordinato a NOME COGNOME di malmenare il legale di fiducia dei NOME COGNOME. Il comportamento di COGNOME, che peraltro non aveva mai denunciato la presunta estorsione subita, non era stata compiutamente valutata dal Tribunale.
Agli atti inoltre non si poteva rinvenire alcun documento che unisse le società dei Pace con gli Abilone.
Il ricorrente inoltre deduce che la società RAGIONE_SOCIALE non Ł mai stata capitalizzata con il credito della Phoenix; l’intero credito della Phoenix era stato invece sequestrato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Asti e non poteva essere piø strumento per la reiterazione del reato.
Ancora si lamenta del fatto che il Tribunale abbia utilizzato delle conversazioni intercettate nelle quali emergerebbe che i fratelli COGNOME hanno partecipato ad alcune riunioni di interesse dell’organizzazione. La difesa aveva invece dimostrato tramite due esperti che le intercettazioni non erano a loro ricondubili e che non vi era certezza sull’autenticità del file di registrazioni. Tali elementi erano allegati nelle note che il Tribunale ha illegittimamente dichiarato inammissibili.
In ogni caso il Tribunale sarebbe incorso in contraddizione perchØ ha concluso che nelle intercettazioni non vengono registrate le voci di COGNOME in questo così andando di contrario avviso a quanto sostenuto dal pubblico ministero, ma esse sono utilizzabili a loro carico perchØ vi si parla di loro e di ciò che avevano fatto.
2.1.2 Mancherebbero anche gli elementi indiziari relativi alla partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa.
La difesa ripercorre le argomentazioni che avevano condotto il giudice per le indagini preliminari ad escludere che fosse ravvisabile un’unitaria associazione mafiosa e sostiene che la motivazione del Tribunale non contiene specifica indicazione delle ragioni che lo hanno indotto a discostarsi dal giudicato precedente. E infatti non risulta provata la partecipazione di NOME COGNOME ad incontri dell’associazione; il ricorrente non Ł stato mai messo in condizione di spiegare in prima persona le proprie ragioni agli inquirenti per dimostrare la sua estraneità ma il pubblico ministero non li ha sottoposti ad interrogatorio; già dagli atti emerge che l’indagato Ł del tutto incurante delle regole della presunta associazione e si muove in totale autonomia e di tale circostanza il Tribunale non ha tenuto conto; il Tribunale inoltre non indica mai in modo specifico alcun elemento indiziario concreto che descriva il suo contributo all’organizzazione.
2.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza dei requisiti di attualità e concretezza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1 lett. a) e c), cod. proc. pen. e in considerazione del tempo trascorso dagli episodi contestati, pari ad oltre tre anni.
Considerato il periodo in cui NOME Ł stato in libertà e ha tenuto un comportamento impeccabile anche a seguito della chiusura delle indagini, il Tribunale avrebbe dovuto valutare queste circostanze ai fini delle verifica dell’attualità delle esigenze cautelari e ha invece omesso di
farlo. Di contro non ha evidenziato alcun elemento idoneo a rendere attuale le esigenze cautelari nonostante il comportamento dell’indagato negli ultimi anni andava considerato indicativo del suo allontanamento dal contesto criminale.
Inoltre l’inadeguatezza della motivazione sui gravi indizi di colpevolezza non consentiva di riteneva ingrato il presupposto perchØ operi la presunzione cautelare fissata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Su richiesta del ricorrente si Ł svolta la discussione orale. Il procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso. Il difensore ha insistito nei motivi e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Nel primo motivo si deducono questioni inerenti violazioni processuali che avrebbero pregiudicato irrimediabilmente il contraddittorio e le prerogative difensive. Alla luce della ricostruzione delle scansioni del procedimento, documentate in atti, tali doglianze risultano infondate.
Il giudizio cautelare, conclusosi con il provvedimento oggi impugnato, Ł stato promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano on l’atto di appello, depositato in data 07/10/2023; ulteriore documentazione a sostegno dell’impugnazione Ł stata depositata dal pubblico ministero appellante il 26 ottobre, il 29 novembre 2023, l’8 marzo 2024 e nel corso dell’udienza del 20 marzo 2024 relativamente alla posizione di altri indagati con la precisazione che dovesse valere per tutte le posizioni.
Prima dell’udienza del 27 marzo 2024, e in particolare in data 21 marzo 2024, il pubblico ministero ha depositato una memoria relativa, fra gli altri, anche alla posizione dell’indagato NOME COGNOME contenente un riepilogo delle contestazioni riferite allo stesso, degli elementi a suo carico e delle risultanze successive all’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen.
Il 22 marzo 2024 Ł pervenuta memoria difensiva inoltrata a mezzo pec il giorno precedente (21 marzo 2024) con allegata documentazione. Nell’atto, oltre a contestare la produzione avvenuta con memoria dell’8 marzo 2024, la difesa dell’indagato ha prospettato la configurabilità di una serie di reati fra i quali quelli di falso di cui agli artt. 476 e 479 cod. pen. in relazione a materiale di rilievo investigativo (intercettazioni e attestazioni da parte di pubblici ufficiali) e 375 cod. pen. (frode processuale).
In vista dell’udienza del 27 marzo 2024 la difesa ha fatto pervenire documento, denominato «note per l’udienza del 27 marzo 2024 a seguito del deposito della memoria integrativa del PM e della ulteriore documentazione prodotta».
Il pubblico ministero ha eccepito la tardività della memoria in quanto depositata oltre il termine di cinque giorni di cui all’art. 127 cod. proc. pen. e, svolta la discussione, ha depositato note scritte contenenti le considerazioni già sviluppate in sede di discussione.
Il difensore ha insistito nell’acquisizione delle proprie note e produzioni ed ha trasmesso, in data 11 aprile 2024, documento denominato «note di chiarimento alle osservazioni scritte rese dal PM all’udienza del 27 marzo 2024 e alla ulteriore documentazione ivi prodotta».
Il Tribunale ha ritenuto utilizzabili gli atti trasmessi dal pubblico ministero il 7 ottobre 2023, la memoria del pubblico ministero del 26 ottobre 2023 e gli allegati, la documentazione del pubblico ministero dell’8 marzo 2024, le memorie della difesa e del pubblico ministero del 21 marzo 2024.
Ha, inoltre, ritenuto utilizzabile la nota di udienza del pubblico ministero del 27 marzo 2024 in quanto contenente la pedissequa riproduzione della discussione orale.
Ha, invece, ritenuto inutilizzabili la nota della difesa del 27 marzo 2024 e i relativi allegati, trattandosi di memoria difensiva contenente controdeduzioni alla memoria del pubblico ministero del 21 marzo 2024 e solo parzialmente riproducenti il contenuto della discussione orale; pertanto, ne Ł stata esclusa la natura di «note di udienza».
Il Tribunale ha affermato che «nØ in data antecedente all’udienza nØ nel corso dell’udienza la difesa ha fatto istanza di termine a difesa in ragione delle nuove produzioni del pubblico ministero e della necessità, da queste ultime sole derivante, di curare produzioni ulteriori».
E’ stata ritenuta l’inammissibilità anche della nota depositata dal difensore successivamente all’udienza e pervenuta in data 11 aprile 2024, trattandosi di produzione «ampiamente intempestiva».
In tale sequenza processuale non può ravvisarsi alcuna violazione del diritto di difesa in danno dell’indagato.
E difatti, «nel procedimento di appello cautelare, l’utilizzabilità degli elementi probatori nuovi introdotti da una delle parti mediante una memoria depositata oltre il termine indicato nell’art. 127, comma 2, cod. proc. pen. Ł subordinata alla positiva verifica che sia stato comunque garantito il diritto al contraddittorio della controparte, sulla quale, una volta decorso il suddetto termine, non grava piø alcun obbligo di verifica del contenuto del fascicolo processuale. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso che la sospensione dell’udienza per circa tre ore accordata dal tribunale a seguito del tardivo deposito da parte del pubblico ministero di una memoria con allegati, abbia consentito l’effettività del contraddittorio ed il concreto esercizio del diritto di difesa)» (Sez. 2, n. 36125 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277078).
Inoltre, il Tribunale si Ł correttamente attenuto all’ulteriore principio di diritto in base al quale «nel procedimento di appello cautelare, il deposito delle memorie difensive Ł regolato, non già dalla norma generale di cui all’art. 121 cod. proc. pen., bensì da quella speciale di cui al comma 2 dell’art.
127 cod. proc. pen., espressamente richiamata dall’art. 310 cod. proc. pen., con la conseguenza che deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, non essendo previsto l’onere della notificazione della memoria depositata alle parti controinteressate, detto termine Ł finalizzato ad assicurare l’effettività e l’adeguatezza del contraddittorio scritto in vista dell’udienza, per la quale l’intervento non Ł obbligatorio ai sensi del comma 3 dell’art. 127 cit.)» (Sez. 1, n. 33 del 20/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274662; Sez. 1, n. 4793 del 25/01/2012, Carta, Rv. 251864).
Nel caso di specie, con motivazione congrua, i giudici di merito hanno escluso che le «note di udienza» depositate in data 27 marzo 2024 fossero effettivamente tali e ciò alla luce della loro compiuta disamina che ha fatto emergere la circostanza che solo in parte lo scritto difensivo conteneva il riepilogo della discussione orale e che, pertanto, lo stesso doveva considerarsi come vera e propria memoria, in quanto tale, intempestiva.
A ciò hanno aggiunto l’ulteriore notazione secondo cui il ricorrente neppure ha chiesto un termine a difesa; affermazione che risulta, peraltro, non smentita nel ricorso per cassazione ove si richiama una, non meglio precisata, «riserva» di chiedere un termine a difesa.
SicchŁ conclusivamente emerge che il pubblico ministero ha rispettato il termine, mentre la difesa non lo ha rispettato.
Il Tribunale del riesame ha verificato se le note presentate in udienza avessero contenuto sovrapponibile agli argomenti proposti nella discussione orale e ha dato atto che quelle del pubblico ministero vi corrispondevano, costituendo ulteriore sviluppo delle memorie presentate tempestivamente, mentre quelle della difesa erano del tutto nuove.
La difesa, infine, non ha nemmeno chiesto un termine per controdedurre.
SicchŁ nessuna violazione e nessuna nullità ipotizzabile.
Pacifica, infine, l’inutilizzabilità della memoria depositata oltre l’udienza di discussione, in data 11 aprile 2024, in quanto il relativo adempimento si colloca in ambito del tutto estraneo al contraddittorio del procedimento di cui al combinato disposto degli artt. 310 e 127 cod. proc. pen.
NØ, infine, può trovare accoglimento la censura difensiva riferita alla inutilizzabilità degli atti di indagine di cui alla nota del pubblico ministero del 27 marzo 2024 per mancata trasmissione al Tribunale del riesame.
Nell’ordinanza impugnata si legge, infatti che tali atti non sono stati ritenuti utilizzabili proprio in quanto non presenti tra il materiale trasmesso, dando atto, altresì della non decisività dei relativi dati informativi.
L’eccezione difensiva sul punto, pertanto, deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse.
3. Con il primo motivo sono articolate anche censure in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare e in particolare dei gravi indizi di colpevolezza, che tuttavia si rivelano del tutto inammissibili.
Dando continuità all’insegnamento di Sez. U, n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828, occorre applicare il principio secondo il quale «in tema di misure cautelari personali, allorchØ sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie».
Come ribadito di recente da Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 e Sez. 1, n. 30416 del 25/09/2020, in motivazione, occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 e molte altre conformi precedenti).
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Con riguardo al caso di specie in cui invece il Tribunale del riesame ha sovvertito il pronunciamento cautelare del giudice per le indagini preliminari, accogliendo l’appello del pubblico ministero avverso ordinanza di diniego della misura cautelare richiesta, occorre ricordare che in ogni caso «non Ł richiesta una motivazione rafforzata, in ragione del diverso “standard cognitivo” che
governa il procedimento incidentale, ma Ł necessario un confronto critico con il contenuto della pronunzia riformata, non potendosi ignorare le ragioni giustificative del rigetto, che devono essere, per contro, vagliate e superate con argomentazioni autonomamente accettabili, tratte dall’intero compendio processuale» (Sez. 3, n. 31022 del 22/03/2023, COGNOME, Rv. 284982 – 04); deve considerarsi «sufficiente che il giudice d’appello cautelare compia una valutazione totale, autonoma e completa degli elementi addotti dalle parti nel contraddittorio pieno, confrontandosi con gli argomenti che fondano la decisione impugnata, in quanto, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, non Ł necessaria la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice» (Sez. 5, n. 28580 del 22/09/2020, M., Rv. 279593 – 01).
Alla luce di queste premesse i motivi di ricorso, già esaustivamente sintetizzati nella premessa in fatto e per la loro stretta connessione meritevoli di congiunta trattazione, appaiono meramente rivalutativi e si risolvono nell’auspicio di una ricostruzione fenomenica radicalmente alternativa, rispetto a quella contenuta nel provvedimento impugnato; le doglianze non riescono, invece, ad assolvere alla loro funzione di impugnazione di legittimità e ad evidenziare patologie effettivamente riconducibili al novero dei vizi indicati dall’art. 606 cod. proc. pen.
In relazione alla fattispecie associativa mafiosa, il Tribunale ha preventivamente illustrato gli elementi sui quali ha insistito il ragionamento del Giudice per le indagini preliminari, con particolare riguardo alla capacità intimidatoria del sodalizio, alla sua struttura, alla prova della partecipazione al gruppo, all’affectio societatis e alla mancata valutazione degli elementi indiziari di segno contrario rispetto all’ipotesi avanzata con la richiesta originaria.
La nuova organizzazione mutua, secondo la ricostruzione del Tribunale, la propria natura mafiosa da quelle originarie di appartenenza dei diversi consociati la cui «mafiosità» costituisce proprio una parte del capitale sociale, della dote che ogni organizzazione ha apportato al nuovo sistema.
E’ stato ricostruito tale indissolubile legame con i sodalizi storici anche attraverso l’analisi degli interessi dei vari soggetti appartenenti alle cosche operanti tuttora nei territori che le hanno originariamente espresse (come, ad esempio, i rapporti di cointeressenza con la cosca della quale NOME COGNOME era il massimo esponente).
I legami sono stati giudicati tali da non escludere l’autonomia del gruppo mafioso di nuova costituzione e, comunque, da non pregiudicare la nascita e l’operatività di un nuovo autonomo sodalizio frutto di una cointeressenza inedita di affari tali da consentire un mutuo scambio di profitti tra i gruppi federatori in quello che Ł stato definito dal Tribunale una sorta di «patto federatore criminale» (o «pactum sceleris trasversale»), per come risultante da alcune vicende di natura economica espressamente esposte e scrutinate.
La presenza di imponenti interessi comuni di natura economica non ha escluso la configurabilità anche di una gestione comunitaria o consortile di asset piø tradizionali delle cosche mafiose quali il narcotraffico e la disponibilità delle armi.
A livello indiziario, viene pertanto congruamente disegnato un assetto organizzativo stabile, con una suddivisione di ruoli tra soggetti organizzati secondo rapporti funzionali ad una progettualità criminale con la condivisione di attività illecite svolte anche attraverso un numero rilevante di società le cui compagini, ruoli e interessi sono state oggetto di ampia disamina.
Il Tribunale si Ł soffermato sulla configurabilità, nella fattispecie dell’affectio societatis ritenendo dimostrata la stabilità dei rapporti soggettivi.
Rispetto a tale condizione, sono stati ritenuti irrilevanti eventuali contrasti interni, contrariamente a quanto precedentemente giudicato dal Giudice per le indagini preliminari.
Sono state adeguatamente valorizzate, piuttosto, le cointeressenze di esponenti apicali dei diversi gruppi criminali nella gestione della complessa contesa tra i COGNOME e NOME COGNOME
Si tratta di elemento adeguatamente valorizzato in ossequio al principio per cui «in tema di associazione per delinquere, l’esistenza di scopi personali diversi e contrapposti tra i singoli associati, operanti nell’ambito di strutture imprenditoriali autonome e concorrenti, non Ł ostativa al riconoscimento del vincolo associativo, ove tali divergenze trovino composizione in un progetto generale, da realizzare mediante le attività delittuose, finalizzato a perseguire un utile da ripartire tra le diverse imprese» (Sez. 3, n. 23335 del 28/01/2021, COGNOME Rv. 281589 – 01).
Parimenti, Ł stata valorizzata l’esistenza di una cassa comune destinata soprattutto ad assicurare l’assistenza giudiziaria ed economica ai detenuti e alle loro famiglie, sottolineando che ad essa contribuiscono tutti i gruppi, così evidenziando l’esistenza di un vincolo di mutua solidarietà, in base al quale tutti provvedono a fornire tale assistenza a prescindere dalla compagine di provenienza del singolo (ad esempio concorrendo i Pace, i Crea e i Fidanzati a far fronte al sostentamento di NOME Vestiti e dei suoi familiari).
La motivazione dell’ordinanza impugnata, pertanto, su questo punto Ł logica e completa, tenuto conto del livello di gravità indiziaria che deve essere ritenuto sufficiente per l’emissione di una misura cautelare; lo stesso Giudice per le indagini preliminari, peraltro, nelle sue conclusioni dalla pag. 918 dell’ordinanza genetica, non ha radicalmente escluso la possibilità di configurare, alla luce della comune organizzazione di mezzi e di persone, l’esistenza di un’associazione semplice quanto meno tra alcuni dei soggetti indagati, pur dubitando della sussistenza, tra tutti, di una reale affectio societatis.
Deve, pertanto, ritenersi sufficientemente accertata, allo stato e nei limiti propri del giudizio cautelare, la sussistenza di gravi indizi in merito alla configurabilità di un’associazione a delinquere, con le caratteristiche evidenziate nell’ordinanza impugnata.
Il Tribunale ha comunque richiamato le modalità di consumazione di diverse fattispecie
estorsive evidenziando come le stesse rivelano l’avvalimento della forza di intimidazione propria del vincolo associativo nato dalla strutturata combinazione di affari e di interessi facenti capo ad indagati di diversa origine criminale, condizione che si traduce nella possibilità di impiegare congiuntamente, in funzione intimidatoria i diversi riferimenti criminali conferiti ‘in dote’ al sodalizio nel suo complesso.
La sussistenza del necessario utilizzo del metodo mafioso e della sua esternalizzazione Ł stata valutata dall’ordinanza impugnata valorizzando i singoli episodi di effettivo impiego di violenza e minaccia, ma soprattutto ribadendo, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, come la capacità intimidatoria non debba necessariamente estrinsecarsi in simili atti, essendo sufficiente la spendita della fama criminale precedentemente acquisita, o l’acquisizione dell’assoggettamento omertoso del territorio mediante piccoli soprusi, prevaricazioni o, al contrario, illeciti privilegi.
Secondo il Tribunale, Ł rilevante il fatto che la spendita della fama criminale delle mafie storiche di appartenenza avvenga, talvolta, da parte di sodali affiliati, in realtà, ad una diversa associazione storica, evidentemente con il consenso degli altri associati, in quanto dimostrazione della particolarità ed autonomia dell’associazione qui contestata.
L’ordinanza ha ritenuto dimostrata l’avvenuta acquisizione della forza intimidatrice, sul territorio lombardo, da vicende come quelle cui allude COGNOME quando in una intercettazione, facendo riferimento a tale COGNOME e al suo assoggettamento ai voleri della cosca, si compiace del fatto di raggiungere ‘senza spari’ lo scopo che l’associazione si Ł prefissata; quella che coinvolge la segretaria generale del Comune di Abbiategrasso che, pur non assoggettandosi ad essa, comprende facilmente la natura mafiosa della richiesta avanzatale da COGNOME e la qualità mafiosa del soggetto o dei soggetti di cui questi avrebbe fatto il nome, e in generale dall’atteggiamento omertoso di molte vittime di estorsioni, che avrebbero omesso di denunciare i fatti commessi in loro danno, o li avrebbero esposti in termini riduttivi rispetto a quanto emerge dalle intercettazioni.
Secondo il Tribunale del riesame, quindi, l’associazione qui delineata ha una propria ‘mafiosità’, derivante anche dalla partecipazione ad essa di soggetti dalla già accertata caratura mafiosa, ma soprattutto la manifesta all’esterno in modo autonomo, pur avvalendosi anche dell’assoggettamento già realizzato nel territorio lombardo, in passato, dalle singole mafie storiche, in quanto opera in modo distinto rispetto a queste ultime e mantiene, rispetto ad esse, una propria autonomia.
Avuto specifico riguardo alle condotte contestate al ricorrente e oggetto delle sue censure, il provvedimento impugnato ha proceduto alla ricostruzione dei contatti e dei rapporti tra lo stesso ed altri soggetti di rilievo del sodalizio, ossia NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME a loro volta, inseriti nelle attività economiche condotte con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti esponenti di altri gruppi di criminalità organizzata, che compongono l’assetto del sistema mafioso lombardo.
E’ stata ritenuta acquisita la gravità indiziaria rispetto all’impiego di società cartiere per l’emissione di fatture false con conseguenti operazioni di restituzione di ingenti importi in contanti, oltre alla commercializzazione di crediti IVA di provenienza ritenuta «dubbia», nonostante la regolare certificazione, con operazioni di restituzione in contanti.
Nella intestazione di tali società era frequente ricorso a prestanome e sono state riportate conversazioni idonee a dimostrare, oltre all’esistenza di rapporti con altri componenti del nuovo sodalizio mafioso, anche la progettualità e la dinamicità degli obiettivi criminali.
La contestazione difensiva circa la carenza indiziaria in ordine alla riferibilità a NOME COGNOME delle operazioni di cessione di crediti iva di alcune società, quali la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, formalmente riferibili a NOME COGNOME Ł stata ritenuta priva di pregio sulla scorta di un compendio indiziario, in gran parte, costituito da intercettazioni nelle quali lo stesso indagato, unitamente al fratello NOME, ha fornito elementi tali da smentire l’allegazione difensiva.
Di rilievo sono state ritenute le vicende relative alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rispetto alle quali sono state dimostrate le interessenze dei fratelli COGNOME
Significativa, in funzione della dimostrazione dell’inserimento del ricorrente nella compagine associativa, Ł stata ritenuta la vicenda relativa alla società RAGIONE_SOCIALE per l’emersione dei rapporti con esponenti di gruppi mafiosi di altra estrazione (calabresi e romani) e di una vicenda, quella della controversia Pace-Amico, di rilievo nella complessa vicenda associativa e che ha visto gli COGNOME coinvolti (dalla parte di COGNOME e in contrapposizione alle pretese di NOME COGNOME) alla luce della partecipazione a due incontri avvenuti il 23 settembre 2020 e, soprattutto, il 31 marzo 2021.
La vicenda della controversia con NOME Ł stata rievocata anche alla luce di successive conversazioni strettamente connesse anche alla vicenda di cui al capo 18), ossia quella relativa all’estorsione ai danni di NOME COGNOME legata alla società RAGIONE_SOCIALE
In alcune di tali conversazioni Ł chiaro il riferimento, secondo la ricostruzione del Tribunale, a comportamenti tipicamente propri di appartenenti ad associazioni di natura mafiosa, per l’evocazione di violenze e minacce anche fisica e con strumenti di coazione.
In definitiva, Ł stata ritenuto formato un sufficiente compendio indiziario sulla partecipazione dell’indagato e del fratello NOME alla conduzione di «attività in ambito imprenditoriale e in attività finanziarie realizzate con modalità illecite attraverso plurimi veicoli societari risultati (..) a loro riconducibili o comunque rientranti nella loro sfera di interessi, attraverso i quali sono state compiute attività che rientrano nell’ambito del programma dell’associazione e ne costituiscono lo scopo».
L’attività dell’indagato Ł stata giudicata condotta in accordo con altri sodali (in particolare NOME COGNOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) con i quali sono emersi «contatti, incontri e con cui i due indagati hanno suddiviso i profitti delle operazioni ed elaborato strategie comuni in vista di una duratura collaborazione e sempre e comunque nella
consapevolezza della piø ampia dimensione sovraindividuale in cui le condotte andavano ad inserirsi».
L’esistenza di contrasti interni, secondo l’impostazione seguita anche ai fini della ricostruzione generale dell’associazione mafiosa, non sarebbe ostativa alla appartenenza al gruppo unitario, nØ Ł stata ritenuta necessaria la conoscenza dell’operatività di altri soggetti o che la propria attività sia funzionale al perseguimento di obiettivi condivisi «ben potendo trovare spazio nell’ambito della associazione, anche attività di natura egoistica».
Con riguardo all’estorsione ai danni di NOME COGNOME (capo 18), Ł stato richiamato un corposo compendio costituito da intercettazioni dalle quali Ł stata desunta la gravità indiziaria rispetto alla condotta consistita nella pretesa di adempimento di un accordo caratterizzato da «fortissimi elementi di criticità».
L’operazione Ł quella della compensazione di crediti fiscali della RAGIONE_SOCIALE con i debiti della società RAGIONE_SOCIALE facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La pretesa dei fratelli NOME era quella della restituzione di una parte della somma portata in compensazione per sanare il debito fiscale dell’importo di 4.600.000 euro.
Le pretese restitutorie del ricorrente e del fratello sono state avanzate con azioni minacciose e violente, per come emerso dalle intercettazioni nel corso delle quali gli stessi fratelli COGNOME hanno evidenziato il compimento di tali condotte.
E’ quindi risultata la natura illecita della pretesa economica alla base della contesa con Marin e quella minacciosa delle richieste di pagamento e, soprattutto, l’intervento di soggetti terzi per agevolare la riscossione di quanto non dovuto, in uno con il perseguimento, da parte dei fratelli COGNOME, di interessi diversi rispetto alla semplice riscossione del credito.
L’estorsione Ł stata ritenuta aggravata ai sensi dell’art. 416bis.1. cod. pen., tenuto conto della natura ripetuta, plateale e particolarmente violenta della condotta consistita anche nella evocazione di un contesto criminale e di un agire tipicamente mafioso per il prospettato uso di armi e di violenze fisiche.
A fronte di un tale articolato compendio indiziario coerentemente intessuto in una motivazione concretamente agganciata a dati oggettivi e immune da vizi logici, il ricorrente oppone censure generiche e per lo piø rivalutative.
In particolare, la censura secondo cui gli episodi estorsivi sarebbero stati desunti da mere dichiarazioni della vittima del reato non si confronta con il loro reale contenuto, oltre che con il ricco ed univoco compendio intercettivo e con le ulteriori acquisizioni indiziarie (anche di natura documentale) che i giudici di merito hanno posto a fondamento della decisione.
Allo stesso modo, si lamenta la mancata disamina del profilo della credibilità dei dichiaranti senza specificare di quale credibilità e di quali dichiaranti si tratta, omettendo di descrivere quali dovrebbero essere gli elementi tali da mettere in crisi la credibilità delle fonti orali che non sarebbero stati valutati dal collegio giudicante.
Giova in proposito richiamare il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (si veda, tra le altre, la già citata Sez. 2, n. 27866del 17/06/2019, Rv. 276976), secondo il quale «intema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio dimotivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine allaconsistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti chead esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezzadelle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanzeprobatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendoformalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di unadiversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito».
Le doglianze proposte nel ricorso in esame presentano quindi caratteristiche, che le collocano al di fuori dei confini dell’ammissibilità.
Quanto poi alle censure specificamente riferite all’atto di impugnazione proposto dal pubblico ministero, esse sono del pari inammissibili dovendo la disamina essere limitata al provvedimento decisorio e non all’atto di parte che ha dato origine al procedimento di appello cautelare.
Parimenti, sono inammissibili i rilievi meramente fattuali esposti alle pagg. 13 e seguenti alla luce dei quali i rapporti tra Marin e il ricorrente sono stati prospettati in termini totalmente diversi e alternativi rispetto a quelli ricostruiti, in base alle provvisorie acquisizioni investigative, nell’ordinanza impugnata che non può essere sottoposta a censura sulla scorta di una lettura alternativa delle acquisizioni istruttorie.
Medesima la sorte delle questioni sollevate alle pagg. 16 e 17 del ricorso sul contenuto delle intercettazioni rispetto alle quali sono stati richiamati gli esiti di consulenze tecniche non acquisite dal Tribunale in quanto allegate agli scritti difensivi tardivamente prodotti, come piø volte illustrato.
Del tutto generiche sono le argomentazioni difensive sviluppate con riferimento alla pretesa «mancanza di elementi indiziari relativi concreta nella contestata associazione ex art. 416 bis c.p.» posto che si fondano, in parte, sul mero richiamo all’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari e non condivisa dal Tribunale, oltre che sulla mancanza di una motivazione idonea a
superare il diverso giudizio operato dal giudice preventivamente adito.
7. In punto di esigenze cautelari, il Tribunale ha richiamato la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e ritenuto recessivi l’assenza di precedenti penali e il decorso del tempo dando applicazione a criteri valutati ampiamente condivisi dalla giurisprudenza di legittimità (sul punto si vedano Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, Rv. 282004).
Il pericolo di recidiva e di inquinamento delle prove Ł stato ritenuto alla luce della composizione e delle attività del gruppo mafioso, con specifico riferimento alla durata dello stesso, al ruolo degli indagati, alla indifferenza mostrata rispetto alle possibili azioni delle autorità di polizia, al sistematico ricorso a forme di violenza e coartazione, in uno con la disponibilità di armi e telefoni con sistemi di criptazione.
A fronte degli elementi acquisiti a livello indiziario, Ł stata segnalata la mancata condivisibilità delle considerazioni del Giudice per le indagini preliminari in punto di limitata gravità dei fatti, di «scarsa portata» degli atti intimidatori e dei reati di natura finanziaria in relazione ai quali, invece, recenti acquisizioni investigative compendiate nelle note di polizia giudiziaria dell’8 maggio e del 13 giugno 2023 attestanti (oltre al rinvenimento di 450.000 euro in contanti) anche l’attualità dei rapporti tra gli indagati interessati dalle provvisorie imputazioni aventi ad oggetto proprio i reati finanziari.
Si tratta di motivazione esente da qualsiasi censura solo genericamente lambita dal riferimento esclusivo al decorso del tempo che non può assumere rilievo decisivo a favore dell’indagato considerate la natura dei reati per i quali si procede, le modalità dei fatti e l’assenza di qualsiasi elemento positivo tale da fare ritenere venuto meno il vincolo associativo.
8. Da quanto esposto discende il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 05/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME