Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23904 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23904 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 22/10/2024 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Con ordinanza in data 22/10/2024, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del 02/09/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, che aveva adottato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME, in quanto ritenuto gravemente indiziato dei reati di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso (capo 1) e partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico, aggravata ex art. 416 bis.1 cod. pen. (capo 15).
1.1. Il Tribunale di Napoli, dopo un’ampia premessa in ordine alla esistenza ed attuale operatività dell’RAGIONE_SOCIALE di stampo camorristico denominata RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, stanziata nel quartiere napoletano di Ponticelli e zone limitrofe, richiamando le sentenze definitive e le più recenti ordinanze restrittive emesse dal GIP del Tribunale di Napoli, e concernenti l’esistenza e l’operatività, tra il 2017 ed il febbraio 2021, del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Bossa/RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE/RAGIONE_SOCIALE, rilevava come l’attuale operatività del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la successiva ricomposizione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, successiva alle scarcerazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, avesse trovato conferma non solo nei provvedimenti giudiziari ma anche nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (segnatamente di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), e nelle intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento in oggetto.
Ancora, osservava il Tribunale come l’RAGIONE_SOCIALE di stampo camorristico RAGIONE_SOCIALE, di cui alla odierna contestazione (capo 1), si fosse costituita con una originaria vocazione al controllo del traffico di sostanze stupefacenti, ottenendo il completo controllo delle piazze di spaccio operanti nel territorio di riferimento; venivano quindi costituite, da parte del medesimo RAGIONE_SOCIALE camorristico, due distinte associazioni finalizzate al narcotraffico, rispettivamente contestate ai capi 15) e 37) delle provvisorie incolpazioni. Dette associazioni si erano nel tempo sviluppate in diverse articolazioni; si erano in particolare costituiti vari sottogruppi, che gestivano le piazze di spaccio, nell’ambito dei quali i partecipi della singola piazza non necessariamente erano tutti in rapporti con la catena di comando superiore, di pertinenza diretta dell’RAGIONE_SOCIALE camorristica; il collegamento tra l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed i sottogruppi inferiori era rappresentato dall’opera dei gestori delle piazze che, oltre a dirigere l’attività locale di spaccio, si rifornivano stabilmente dall’RAGIONE_SOCIALE, in tal modo contribuendo ulteriormente all’attuazione del programma criminoso del sodalizio di stampo mafioso.
1.2. Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, il Tribunale partenopeo evidenziava come a carico dell’indagato, già condannato in primo grado
(alla pena di 10 di reclusione) per la partecipazione al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sino al febbraio 2021, fossero da valorizzare innanzitutto le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, che, sin dal primo interrogatorio, indicava il COGNOME (suo cugino) come affiliato al RAGIONE_SOCIALE, e tra i soggetti più vicini al capo NOME COGNOME, con il quale manteneva i rapporti anche dopo l’incarcerazione del COGNOME stesso (nel febbraio 2022), ricevendo dal detenuto le disposizioni in ordine alla gestione del RAGIONE_SOCIALE. COGNOME delineava la partecipazione del COGNOME, indicato come abituale killer dell’RAGIONE_SOCIALE, dedito ad azioni violente e dimostrative attuate dal RAGIONE_SOCIALE, oltre che coinvolto nelle estorsioni.
Secondo i Giudici della cautela, le dichiarazioni del COGNOME avevano trovato conferma in quanto riferito anche da NOME COGNOME, oltre che nell’esito delle captazioni attestanti i costanti rapporti intrattenuti dall’indagato con gli altri sodali; ulteriore riscontro era costituito dalla visione delle immagini tratte dai filmati videoregistrati presso la barberia dei fratelli COGNOME, noto luogo di incontro degli affiliati.
1.3. Quanto alla partecipazione del COGNOME all’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico di cui al capo 15), il Tribunale evidenziava come le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (in particolare del COGNOME), unitamente alla valutazione delle intercettazioni disposte nel procedimento, avessero consentito di acclarare l’inserimento dell’indagato all’interno del sottogruppo denominato Lotto 10; un rilevante riscontro a detti elementi era poi rappresentato dall’esito della perquisizione effettuata dalla polizia giudiziaria in una cantina sita in una Corte di INDIRIZZO, che portava al rinvenimento e sequestro, oltre che di sostanza stupefacente, materiale per confezionamento e pesatura, armi e munizioni, anche delle annotazioni contabili in cui era menzionato il nome del COGNOME.
1.4. Il Tribunale ha infine ritenuto sussistenti le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura carceraria, in virtù della doppia presunzione prevista dalla legge, osservando come non fossero emersi elementi tali da far ritenere l’insussistenza delle esigenze cautelari; anzi, osservava il Tribunale come l’indagato risultasse inserito in un contesto di criminalità organizzata, fonte di elevatissimo pericolo sociale, in posizione di diretta collaborazione con esponenti di vertice del RAGIONE_SOCIALE; difettava inoltre qualsivoglia elemento dal quale dedurre una recisione dei rapporti esistenti con l’RAGIONE_SOCIALE camorristica contestata.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, articolando i seguenti motivi di ricorso di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192, 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen, nonché per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente al capo 1).
La motivazione dell’impugnato provvedimento è apparente ed illogica, assolutamente inidonea a fondare il giudizio di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato sub capo 1); il Tribunale, in particolare, non offre adeguate e coerenti motivazioni in ordine alle censure difensive che erano state oggetto del riesame (e della memoria difensiva depositata all’udienza camerale del 22 ottobre 2024), attinenti al carattere non irrevocabile della condanna riportata recentemente dall’indagato, all’incoerenza delle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME, all’inattendibilità intrinseca del COGNOME ed alla genericità del suo narrato, all’inidoneità delle intercettazioni a fungere da riscontro individualizzante al narrato collaborativo, ed al carattere neutro delle poche immagini di sorveglianza della barberia dei COGNOME. Più precisamente, la sentenza di primo grado a carico del COGNOME, in mancanza della irrevocabilità, non può essere valutata come elemento altamente indiziante del fatto da provare, tenuto anche conto della diversità dell’arco cronologico delle due contestazioni; anche le dichiarazioni del COGNOME, come peraltro scritto dal medesimo Tribunale, attengono a fatti antecedenti al periodo di contestazione, con la conseguenza che esse non possono rivestire carattere di riscontro individualizzante alla chiamata in correità effettuata dal COGNOME, le cui dichiarazioni in ogni caso appaiono generiche, come da censura già sollevata in sede di riesame, rimasta priva di adeguata risposta. Del tutto irrilevanti risultano poi alcuni elementi valorizzati dal Tribunale, quali le pubblicazioni sui profili social o le immagini che hanno ritratto l’indagato in prossimità dell’esercizio commerciale dei COGNOME. Quanto infine alle intercettazioni, il Tribunale ne cita 5 nell’arco di 8 mesi, certamente inidonee a dimostrare la stabilità della frequentazione con gli altri sodali, come apoditticamente ritenuto dai giudici della cautela. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 192, 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., nonché per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza relativamente al capo 15).
Evidenzia innanzitutto il ricorrente come, contrariamente a quanto dedotto dai Giudici del tribunale partenopeo, la difesa aveva espressamente contestato anche la sussistenza dell’RAGIONE_SOCIALE finalizzata al narcotraffico, essendo stata avanzata un’esplicita doglianza, come si evince dalla memoria in atti.
In ordine a tale RAGIONE_SOCIALE, dal percorso motivazionale reso in sede di ordinanza dì riesame, si evince come un solo collaboratore di giustizia, COGNOMECOGNOME COGNOME ordine a tale capo di imputazione; in sede di riesame si era tuttavia evidenziato come le dichiarazioni del COGNOME fossero generiche e prive di elementi specifici di riscontro: tali doglianze sono rimaste senza risposta; in ordine poi al ritenuto riscontro rappresentato da quanto sequestrato dalla polizia giudiziaria, non sono state esplicitate le ragioni in forza delle quali si è ritenuto che il riferimento a tale NOME fosse da riconnettere alla persona dell’indagato, il quale peraltro non risponde di alcun reato fine.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. per violazione degli artt. 274, 275 e 292 cod. proc. pen. e per mancanza, apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione di sussistenza delle esigenze cautelari.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, e la sola adeguatezza della misura carceraria attraverso un iter argomentativo privo dei requisiti minimi di coerenza e completezza, in quanto non si è tenuto conto della mancanza di attualità del pericolo, alla luce del lasso di tempo trascorso in assenza di ulteriori elementi a carico del ricorrente.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi sono in parte infondati ed in parte inammissibili, deve essere, nel complesso, respinto.
La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, questa Corte è quindi priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Giova sul punto richiamare anche il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nella concreta fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, l’ordinanza esaminata risulta avere adeguatamente sviscerato tutti gli elementi indiziari gravanti su NOME COGNOME, averli ricondotti ad unità concettuale in coerenza con la loro concordanza e adottando una motivazione del tutto logica – avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.
3.1. Con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagato con riferimento al capo 1), il Tribunale napoletano ha innanzitutto valorizzato le dichiarazioni di NOME COGNOME, cugino del ricorrente, che indicava il COGNOME come affiliato al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tra i soggetti più vicini al capo, NOME COGNOME, nonché quale killer, unitamente ad altri, del sodalizio; COGNOME, la cui attendibilità già era stata positivamente scrutinata dal GIP, con valutazione del tutto condivisa dal Tribunale, dichiarava anche che COGNOME aveva partecipato all’omicidio,
avvenuto nell’agosto 2021, di NOME COGNOME, e ad altre operazioni dimostrative del RAGIONE_SOCIALE (quale quella, nell’aprile 2021, ai danni di NOME COGNOME); era altresì coinvolto nelle estorsioni poste in essere dall’RAGIONE_SOCIALE mafiosa, comprese quelle legate ai servizi di pulizia imposti a vari palazzi; COGNOME specificava altresì che il COGNOME era tra gli stipendiati del RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Del tutto correttamente il Tribunale ha anche richiamato, tra gli elementi valutabili a carico dell’indagato, la pronuncia non irrevocabile di condanna per partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE mafiosa sino a febbraio 2021, correttamente richiamando il principio di diritto già affermato da questa Corte per cui i gravi indizi di colpevolezza richiesti dall’art. 273, comma 1, cod. proc. pen., per l’applicazione e il mantenimento di misure cautelari personali possono essere validamente desunti anche da sentenze non ancora irrevocabili, senza che ciò comporti violazione dell’art. 238-bis, cod. proc. pen. che, nel prevedere che possano essere acquisite e valutate come prova le sentenze divenute irrevocabili, si riferisce al giudizio di colpevolezza e non alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari, nè dell’art. 238, comma 2bis, cod. proc. pen. che, nel subordinare l’acquisizione di dichiarazioni rese in altri procedimenti alla condizione che il difensore abbia partecipato alla loro assunzione, si riferisce anch’esso al solo giudizio sulla responsabilità (Sez. 5, n. 57105 del 15/10/2018, Fedele, Rv. 274404 – 01).
Il ricorrente, di contro, non ha individuato passaggi o punti della decisione idonei a disarticolare o, comunque, a porre in crisi la complessiva tenuta del discorso logico-argomentativo delineato dal Collegio della cautela, essendosi limitato a svilire, parcellizzandoli, gli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato e a sollecitare una non consentita ricostruzione del quadro indiziario.
3.2. Con riferimento alla partecipazione del COGNOME nell’RAGIONE_SOCIALE ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, di cui al capo 15) – sulla cui esistenza il Tribunale si è lungamente soffermato alle pagg. da 14 a 19 -la gravità indiziaria a carico dell’indagato, inserito all’interno del sottogruppo denominato Lotto 10, è stata desunta dai Giudici della cautela dalle dichiarazioni del COGNOME, che indicava l’indagato come impegnato nel settore dello spaccio di stupefacenti, occupandosi anche del confezionamento e smistamento della droga.
Evidenziavano i Giudici della cautela come le dichiarazioni del collaboratore avessero trovato conferma nell’attività captatiVe, nonché nell’esito della perquisizione, effettuata il 26/02/2022, in una cantina di INDIRIZZO a Ponticelli, che aveva portato al rinvenimento e sequestro della contabilità dll spaccio, in cui compariva il nome del COGNOME (NOMENOMENOMENOME.
Si tratta di valutazioni immuni da vizi logici e idonee a giustificare la gravità indiziaria in ordine al reato contestato al ricorrente, che quest’ultimo ha censurato esclusivamente sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi a
carico, proponendone una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, m 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575).
3.3. COGNOME Il terzo motivo è infondato; come noto, in tema di misure cautelari personali, il disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sancisce, nei confronti degli indagati del delitto di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE di tipo mafioso, una doppia presunzione, di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest’ultima superabile nei soli casi previsti dall’art. 275, commi 4 e 4-bis, del codice di rito (Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 – 01).
Il giudice, quindi, non deve dimostrare la ricorrenza dei ‘pericula libertatis’ ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.
Nel caso in esame il Tribunale, in modo non manifestamente illogico, ha sottolineato l’elevatissimo pericolo sociale derivante dall’inserimento del COGNOME nel contesto di criminalità organizzata, e la sua diretta collaborazione con esponenti di vertice della consorteria, evidenziando al contempo la mancanza di segni di allontanamento dal sodalizio, e di recisione dei rapporti con l’RAGIONE_SOCIALE, tenuto anche conto della condotta carceraria da lui tenuta, caratterizzata da plurimi comportamenti violenti e minacciosi.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto e il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
8
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/04/2025