Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27042 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27042 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME FrancescoCOGNOME nato a Boscoreale il 20/02/1959
avverso la ordinanza del 11/04/2025 del Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni del difensore Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 11 aprile 2025 il Tribunale di Napoli, in sede di riesame, confermava il provvedimento con il quale il G.i.p. del Tribunale di Torre Annunziata aveva applicato la misura della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME sottoposto a indagini per i reati previsti dagli artt. 416, primo comma, cod. pen. (capo 1 dell’imputazione provvisoria) , 81,
110 e 441 cod. pen. (capo 2), 349, secondo comma, cod. pen. (capi 6 e 7), 81, 110 e 648ter .1 cod. pen. (capo 8).
Secondo la tesi accusatoria, NOME COGNOME era promotore e organizzatore dell’associazione per delinquere, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e si occupava in particolare dell’acquisto di molecole di fitofarmaci illegali dall’estero, della loro importazione, della produzione ‘casalinga’ e dell’imbottigliamento dei prodotti fitosanitari, della falsificazione delle etichette da apporre sulle confezioni, del procacciamento di clienti e intermediari su scala nazionale cui consegnava personalmente la merce.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, chiedendone l’annullamento in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Erronea applicazione degli artt. 8, 21, comma 2, e 22 cod. proc. pen., dovendosi individuare il giudice competente nel G.i.p. del Tribunale di Nocera Inferiore.
La competenza del G.i.p. del Tribunale di Torre Annunziata è stata riconosciuta al capo 15.4 dell’ordinanza genetica sulla base degli elementi costitutivi del delitto di riciclaggio del quale, però, il reato presupposto è stato erroneamente ritenuto il delitto ex art. 441 cod. pen. in luogo della contravvenzione prevista dall’art. 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, punita con pena inferiore a quella ex art. 648bis , secondo comma, cod. pen., sì da non poter integrare un reato presupposto del riciclaggio.
L’esclusione della fattispecie delittuosa in favore di quella contravvenzionale incide anche sulla estensione temporale della contestazione dell’associazione per delinquere, tanto da elidere i periodi precedenti al 18 luglio 2023, data di costituzione della RAGIONE_SOCIALE, la cui sede operativa era in Scafati. L’ideazione della presunta associazione, dunque, sarebbe avvenuta nel circondario del Tribunale di Nocera Inferiore.
2.2. Violazione della legge processuale penale (artt. 291, comma 1quater , 292, comma 3bis , 274, comma 1, lett. a) , cod. proc. pen.).
Il Tribunale ha rigettato l’eccezione di nullità dell’ordinanza genetica per omessa celebraz ione dell’interrogatorio preventivo , proposta dalla difesa in sede di riesame, ritenendo sussistente il pericolo di inquinamento probatorio, che tuttavia non può essere dedotto dalla sola natura del reato di riciclaggio.
La condotta del ricorrente, che nell’interrogatorio di garanzia ha spiegato i fatti contestati, non ha evidenziato la sua volontà di incidere sulla genuinità delle
fonti di prova, poiché le transazioni dallo stesso effettuate erano prive di qualsiasi artifizio teso a coprirne la provenienza e la destinazione.
2.3. Violazione della legge processuale penale (artt. 266, comma 1, lett. f) , 267, 405 e 407 cod. proc. pen.).
L’iscrizione del reato associativo, anche alla luce della imputazione provvisoria e del percorso argomentativo dell’ordinanza genetica, sarebbe potuta avvenire sin dall’epoca del sequestro del 16 maggio 2023, cosicché sono inutilizzabili le intercettazioni disposte con decreti di autorizzazione precedenti alla iscrizione del reato ex art. 416 cod. pen., effettuata nel maggio 2024.
2.4. Vizio della motivazione, inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 441 cod. pen., 6 legge n. 283 del 1962, 648bis e 349 cod. pen., 273 e 274, lett. a ) e c ), cod. proc. pen.).
2.4.1. Nessun elemento acquisito nella fase delle indagini dimostra una condotta di adulterazione o contraffazione di quanto commercializzato. L’indagato, in sede di interrogatorio di garanzia, ha chiarito di avere rivenduto ‘tal quale’ quanto acquistato, cosicché la condotta contestata integra la contravvenzione prevista dall’art. 6 della legge n. 283 del 1962 e non il delitto ex art. 441 cod. pen.
Gli elementi acquisiti non consentono di sostenere che l’eventuale adulterazione fosse ascrivibile al ricorrente, come risulta anche dalle conversazioni intercettate, erroneamente interpretate dal Tribunale, dalle quali si evince che NOME -come egli stesso ha ammesso -commercializzava prodotti fitosanitari revocati dal mercato (con molecola scaduta o non conforme), rivendendoli così come acquistati, senza tuttavia ricorrere ad adulterazioni o contraffazioni.
Inoltre, la natura pericolosa dei prodotti commercializzati, peraltro neppure provata, non ha carattere dirimente ai fini della qualificazione giuridica del fatto nel delitto ex art. 441 cod. pen., in quanto il pericolo è elemento costitutivo anche della contravvenzione prevista dall’art. 6 della legge n. 283 del 1962.
Sono insussistenti tutti i reati contestati nella imputazione provvisoria: quello ex art. 416 cod. pen., in difetto degli elementi costitutivi (struttura organizzativa, stabilità del vincolo, indeterminatezza del disegno criminoso), considerato anche che i familiari del ricorrente, presunto promotore del sodalizio, sarebbero comparsi a partire dal maggio 2023, anche se senza ragione si contesta loro una condotta a partire dall’anno 2019; quello ex art. 648bis cod. pen., dovendosi escludere -come detto nel primo motivo -che vi sia un reato presupposto punito con le pene ivi indicate; quello ex art. 349 cod. pen., ipotizzato sulla base di mere presunzioni.
2.4.2. Non sussiste alcun pericolo di inquinamento probatorio, che non può essere desunto dalla violazione dei sigilli che il ricorrente non può avere commesso dopo l’esecuzione della misura cautelare, a distanza di dieci mesi dai fatti, circostanza che esclude altresì il pericolo di recidiva.
Anche sul diniego della misura degli arresti domiciliari il Tribunale non ha fornito una concreta motivazione.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione proposta ex art. 611 cod. proc. pen.
Il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici o non consentiti, dovendosi anche rilevare che nell’impugnazione viene costantemente evocato il reato di riciclaggio quando invece all’indagato è stato contestato il reato di autoriciclaggio, previsto dall’art. 648ter .1 cod. pen., i cui elementi costitutivi sono evidentemente diversi da quelli del delitto ex art. 648bis cod. pen.
La deduzione in tema di competenza territoriale, proposta con il primo motivo di ricorso, è strettamente connessa con quella inerente alla pretesa configurabilità, nella condotta d ell’indagato , della contravvenzione prevista dall’art. 6 della legge n. 283 del 1962 e non del delitto ex art. 441 cod. pen., la cui manifesta infondatezza -come si dirà -comporta anche quella della suddetta eccezione, svolta peraltro in sede di legittimità per la prima volta.
3 . In ordine all’omesso svolgimento dell’interrogatorio preventivo, l’ordinanza impugnata, confermando anche sul punto le ragioni esposte nel provvedimento genetico, ha offerto un’ampia motivazione (a pag. 6) circa la sussistenza del pericolo per l ‘ acquisizione o la genuinità della prova che, ai sensi dell’ art. 291, comma 1quater , cod. proc. pen., ha consentito al G.i.p. di disporre la misura senza prima procedere all’interrogatorio dell’indagato.
L’ordinanza ha ripercorso le operazioni di depistaggio svolte da NOME COGNOME e dai suoi familiari, dalle perquisizioni del 16 maggio 2023 sino a quelle del 18 maggio 2024, volte a cercare con ogni mezzo, financo con la violazione di
sigilli, a intralciare le indagini facendo scomparire merce e denaro destinati a costituire prova dei reati e degli ingenti profitti conseguenti all’illecito traffico organizzato.
Con le argomentazioni del Tribunale il ricorrente non si è in sostanza confrontato, essendosi limitato a richiamare qualche massima giurisprudenziale e ad affermare apoditticamente che la condotta dell’indagato non evidenziava la volontà di incidere sulla genuinità delle fonti di prova.
Il motivo, pertanto, difetta di specificità estrinseca.
La doglianza in tema di intercettazioni è anch’essa generica e comunque priva di ogni fondamento.
Il ricorrente lamenta la tardiva iscrizione del reato ex art. 416 cod. pen. nell’apposito registro, grazie alla quale il termine per lo svolgimento delle indagini preliminari sarebbe stato surrettiziamente prolungato.
Rilevato che l’art . 335quater cod. proc. pen., inserito dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 del 2022, prevede uno specifico procedimento attivabile dalla persona sottoposta alle indagini per accertare la tempestività dell ‘ iscrizione nel registro delle notizie di reato, la difesa non esplicita neppure le ragioni per le quali la presunta tardività avrebbe influenza sull’utilizzo delle intercettazioni.
Nel contempo, lo stesso motivo è generico, ignorando un dato pacifico che risulta dirimente: le operazioni di captazione erano state inizialmente autorizzate per il reato ex art. 515 cod. pen., per il quale esse erano consentite, ai sensi dell’art. 266, comma 1, lett. f) , cod. proc. pen., e il 22 maggio 2024, ad esito di una consulenza, vi è stata una riqualificazione del fatto nel delitto ex art. 441 cod. pen., che non consente le intercettazioni, e contestuale iscrizione nel registro del reato ex art. 416 cod. pen.
Con riferimento alle operazioni disposte prima di tale iscrizione, la cui inutilizzabilità è stata invocata nel ricorso, va ricordato che già in una risalente pronuncia questa Corte affermò che sono utilizzabili i risultati delle intercettazioni disposte in riferimento a un titolo di reato per il quale le medesime sono consentite, anche quando al fatto venga successivamente attribuita una diversa qualificazione giuridica, con la conseguente mutazione del titolo in quello di un reato per cui non sarebbe stato invece possibile autorizzare le operazioni di intercettazione. Si precisò, però, che, ove gli elementi addotti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta di intercettazione siano chiaramente riferibili a una ipotesi di reato non annoverabile nell’elenco dell’art. 266 cod. proc. pen. e ciononostante il giudice abbia ugualmente autorizzato l’attività captativa, sarebbe «certo possibile all’imputato farne questione in ogni successiva fase o
grado del procedimento. E se la doglianza è fondata, le intercettazioni dovranno essere dichiarate inutilizzabili; per effetto però non di una mutata ‘qualificazione giuridica del fatto’ ma dell’errore commesso dal giudice al momento del decreto autorizzativo, da apprezzare con valutazione ‘ora per allora’ e tenendo presente che esso deve risultare evidente e incontrovertibile, sulla base degli elementi investigativi, portati illo tempore a conoscenza del giudice e tenuto conto della inevitabile fluidità delle ipotesi criminose in un momento normalmente posto alle prime battute dell’attività investigativa» (così Sez. 6, n. 50072 del 20/10/2009, Bassi, Rv. 245699 -01; in senso conforme Sez. 1, n. 24163 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247943 -01; Sez. 1, n. 50001 del 27/11/2009, COGNOME, Rv. 245977 -01; Sez. 1, n. 19852 del 20/02/2009, COGNOME, Rv. 243780 -01).
Questo orientamento è stato di recente ribadito e ulteriormente chiarito, essendosi osservato che, in caso di modifica della qualificazione giuridica del fattoreato autorizzato in altro reato non autorizzabile, l’inutilizzabilità delle intercettazioni opera solo se i presupposti per disporre il mezzo di ricerca della prova mancassero già al momento in cui il procedimento autorizzativo si è compiuto e perfezionato attraverso il controllo del giudice. I risultati della captazione correttamente autorizzata restano invece immuni rispetto al successivo sviluppo fisiologico del procedimento, atteso che in tal caso non rileva la sopravvenuta mancanza del presupposto legittimante per effetto della riqualificazione del fatto autorizzato (Sez. 6, n. 48320 del 20/12/2022, COGNOME, Rv. 284078 -01; Sez. 6, n. 36420 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 281989 -01; Sez. 6, n. 23148 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 281501 -01; da ultimo, cfr. Sez. 2, n. 10881 del 12/02/2025, COGNOME, non mass.).
Occorre distinguere, dunque, il caso in cui il giudice è tenuto a non autorizzare l’intercettazione, in mancanza di una corrispondenza fra il reato ipotizzato e le risultanze delle indagini, da quello in cui vi è corrispondenza tra quanto si richiede e ciò che emerge dalle indagini in ordine al fatto-reato per cui si procede, ma l’addebito si modifica per motivi sopravvenuti fisiologici, legati cioè alla naturale evoluzione del procedimento che può determinare una modifica del fatto storico e della sua qualificazione giuridica. In questo modo si scongiurano eventuali abusi, configurabili mediante il ricorso pretestuoso alla descrizione di un fatto-reato autorizzabile al fine di aggirare i limiti legali stabiliti dagli artt. 266 e 267 del codice di rito.
Nel caso di specie, dalla esposizione della ordinanza (pag. 8) risulta chiaro che la riqualificazione fu l’effetto di un fisiologico sviluppo processuale e lo stesso ricorso ha dato atto che i fatti in oggetto vennero ricondotti al reato previsto dall’art. 441 cod. pen. ‘sulla scorta di fatti nuovi’.
5. Con il quarto motivo (prima parte), riguardante la gravità indiziaria dei reati contestati all’indagato, fra i quali come detto -l’autoriciclaggio di cui al capo 8) e non già il riciclaggio, la difesa ha proposto, peraltro con deduzioni generiche, una non consentita ricostruzione alternativa degli elementi probatori e anche delle intercettazioni.
Va ribadito in proposito che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il ricorso per cassazione, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 -01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 -01; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, COGNOME, Rv. 266939 -01; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 -01).
Inoltre, l ‘interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.
In questa sede, dunque, è astrattamente possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel l’ipotesi -insussistente nel caso in esame -in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (cfr., Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 -01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 -01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 -01; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Corso, Rv. 258164 -01).
In particolare, con ampie argomentazioni (pagg. 14-15), il Tribunale ha spiegato le ragioni per le quali nella condotta di NOME, alla luce della ricostruzione dei fatti, è configurabile il delitto previsto dall’art. 441 cod. pen., disattendendo espressamente la te si alternativa sostenuta dall’indagato in sede
di interrogatorio, pedissequamente riproposta nel ricorso, secondo la quale egli non aveva provveduto all’adulterazione o contraffazione dei prodotti, ma si era limitato a commerciarli dopo averli ricevuti dalla Cina.
Manifestamente infondato, infine, è il motivo (quarto, seconda parte) relativo alle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha ben argomentato in ordine alla sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio, avuto anche riguardo alla violazione dei sigilli, accertata nel maggio 2024, ma commessa evidentemente prima dall’indagato, custode della merce, come si evince dalla motivazione dell’ordinanza (pag. 6).
Anche sul pericolo di reiterazione del reato la motivazione del provvedimento impugnato è specifica e immune da vizi. Il lasso di tempo fra la commissione dei fatti e l’applicazione della misura è breve (nove mesi) e certamente non tale da escludere il rischio di una recidiva.
Il Tribunale ha motivato anche sull’attualità del pericolo. Diversamente da quanto opinato dal ricorrente , il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo sufficiente formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (in questo senso è orientata la prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio: cfr., ad es., Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 -01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767 -01; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 -01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769 -01; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566 -01; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122 -01).
L’ordinanza contiene anche una specifica e incensurabile motivazione sulla conferma della misura cautelare di massimo grado, avuto particolare riguardo alla ritenuta inidoneità di quella degli arresti domiciliari a salvaguardare le suindicate esigenze cautelari.
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/07/2025.