Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43443 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43443 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Acireale il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 18/07/2024 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha lette le conclusioni chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è imputato del delitto di cui all’art. 73, d.P.R, n. 309 del 1990, aggravato dalla finalità di agevolare una cosca mafiosa, a norma dell’art. 416-bis.1, cod. pen..
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, quale giudice procedente a norma dell’art. 279, cod. proc. pen., con ordinanza del 18 marzo scorso ha respinto la sua istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere, cui era sottoposto.
Parzialmente accogliendo l’appello da lui avanzato ai sensi dell’art. 310, cod. proc. pen., il Tribunale di Catania ha sostituito detta misura cautelare con gli arresti domiciliari, altresì disponendo il controllo elettronico.
Egli impugna tal ultima ordinanza, attraverso il proprio difensore, deducendo:
il venir meno della presunzione di esistenza di esigenze cautelari, per effetto dell’assoluzione intervenuta in primo grado dal delitto di cui all’art. 74, dP.R. n. 309 del 1990, con conseguente vizio di motivazione del provvedimento, per non aver adeguatamente valutato il suo stato d’incensuratezza, le sue precarie condizioni di salute, lo stato di libertà della maggior parte dei suoi correi, la distanza temporale dai fatti (risalenti a maggio 2019) e l’unicità del reato del quale è stato ritenuto colpevole, non potendo perciò a lui riferirsi il dato dei «frequenti e consistenti approvvigionamenti», valorizzato dal Tribunale per dedurne il pericolo di reiterazione criminosa;
il difetto di motivazione sull’aggravante dell’art. 416-bis.1, cod. pen., che invece dovrebbe essere esclusa, non avendo egli scelto di rifornirsi dal clan mafioso, ma, piuttosto, essendovi stato costretto;
l’inoperatività della presunzione di esistenza di esigenze cautelari per i delitti aggravati ex art. 416-bis.1, cit.;
l’assenza di motivazione sul differimento dell’esecuzione dell’ordinanza al momento della disponibilità dello strumento elettronico di controllo.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha depositato memoria scritta, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo non è consentito.
Attraverso di esso si deduce essenzialmente il venir meno di ogni esigenza cautelare, quando invece – secondo quel che si legge nel provvedimento impugnato e che il ricorso non contesta – l’originaria istanza avanzata ex art. 299, cod. proc. pen., che ha dato avvio all’incidente cautelare e ne ha definito il petiturn (v., in questo senso, Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, Galati, Rv, 286155), era volta esclusivamente ad ottenere la sostituzione della misura allora in atto e non anche la revoca, con ciò dando per presupposta la permanenza del già ritenuto pericolo di reiterazione criminosa: che, quindi, non può essere posto in discussione nei successivi gradi del procedimento incidentale.
In ogni caso, quelle proposte con il ricorso sono censure di puro merito, che sfuggono al sindacato di questa Corte.
Così delimitato l’àmbito della cognizione della Corte di cassazione, la seconda e la terza doglianza risultano superate.
Solo per completezza può osservarsi: che, nei confronti del COGNOME, intervenuta quanto meno una sentenza di condanna in primo grado per il delitto di cui all’art. 73, cit., aggravato a norma dell’art. 416-13/5.1, cod. pen.; che,, pertanto, il giudizio di gravità indiziaria potrebbe essere rivisto dal giudice della cautela soltanto qualora, rispetto al compendio probatorio valutato in sentenza, emergessero evidenze nuove ed ulteriori (per tutte: Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, Gagliardi, Rv. 272398); che, però, nemmeno il ricorso ciò deduce’ limitandosi a contestare genericamente nel merito la configurabilità della fattispecie circostanziale; che, infine, l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.,, stabilisce espressamente che la presunzione relativa di esistenza di esigenze cautelari opera per i reati, tra gli altri, di cui all’art. 51, comma 3-bis, stesso codice’ tra cui vi sono quelli aggravati a norma del citato art. 416-bis.1.
L’ultimo motivo è inammissibile per sopravvenuta mancanza d’interesse, risultando che, nelle more, la misura cautelare domiciliare è stata eseguita, come attestato in udienza dallo stesso difensore ricorrente (vds. verbale).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’ad, 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024.