Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16350 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16350 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Locri il 21/12/1980, avverso l’ordinanza in data 12/07/2024 del Tribunale di Reggio Calabria, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 12 luglio 2024 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di riesame presentata da NOME COGNOME avverso decisione della Corte di appello che gli aveva applicato la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per tre volte alla settimana in relazione al reato dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorrente lamenta che la motivazione era apparente e manifestamente illogica. In particolare, il Tribunale del riesame aveva affermato che i fatti eran gravi e che non rilevava il tempo trascorso, in contraddizione con quanto stabilito dalla Corte di appello allorché aveva sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con l’obbligo di dimora. Eccepisce anche la manifesta illogicità della
decisione perché la contestazione della partecipazione all’associazione mafiosa era chiusa e cessata al settembre 2015 o al limite al 7 luglio 2017, data della sentenza di primo grado. Aggiunge che il giudizio di merito non si era concluso perché al momento della redazione del ricorso non erano stati depositati i motivi della sentenza deliberata il 30 marzo 2023. Sostiene l’assenza dei presupposti per reggere la misura non custodiale e lamenta che non si era tenuto conto del graduale e corretto reinserimento nel tessuto sociale in seguito all’attività lavorativa intrapresa. In ogni caso, ritiene sproporzionata la misura perché, a fronte di una pena di 10 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione, ancora sub judice, aveva già sofferto oltre sei anni e due mesi di carcerazione preventiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è nel complesso infondato.
Il ricorrente è stato condannato in primo grado alla pena di anni 10, mesi 10 e giorni 20 di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (tit venuto meno per perdita di efficacia) e il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 de 1990 (titolo cautelare ancora in vigore). La misura cautelare è stata già affievolita due volte, essendo stata la custodia in carcere sostituita con l’obbligo di dimora nel Comune di residenza e poi con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, misura attualmente in atto. Il reato dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rientra nell’elenco dei reati dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., per cui il cosiddetto “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di valutazione ex art. 299 cod. proc. pen. ai fini dei provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura, rispetto ai quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590). La decisione è in linea con la giurisprudenza di legittimità, perché il Tribunale ha apprezzato la gravità dei fatti per cui il ricorrente è stato condannato, e cioè la violazione dell’art. 41 bis cod. pen. e dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e ha ritenuto con motivazione immune da censure che fosse corretta la decisione di mantenere un minimo presidio cautelare che, pur non limitando la libertà in modo continuativo, comporti comunque un costante contatto con l’autorità di polizia. Tale essendo l’obiettivo, non rileva la buona condotta in carcere e non si prospetta come contraddittorio il bilanciamento di interessi, tra le esigenze cautelari e le istanze di libertà personale dell’imputato che ha già una lunga storia detentiva, effettuato dalla Corte territoriale.
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Il ricorso va, pertanto, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso, il 4 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Pres,idOnte