Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 18644 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 18644 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 07/10/2000
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di CATANIA
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATI -0
Con ordinanza del 27 novembre 2024 (depositata il 16 gennaio 2025), il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME contro il provvedimento in data 8 gennaio 2024 col quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città aveva respinto la richiesta di sostituire la misura cautelare della custodia in carcere, applicata a Monreale per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Contro l’ordinanza del Tribunale il difensore dell’indagato ha proposto tempestivo ricorso. Il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta adeguata a fini cautelari una misura meno afflittiva della custodia in carcere pur in presenza di elementi idonei a dimostrare la attenuata pericolosità e la rescissione di ogni legame con l’ambiente criminoso nel quale è maturata l’illecita attività oggetto di imputazione.
La difesa sottolinea: che Monreale ha chiesto il giudizio abbreviato nel corso del quale ha ammesso le proprie responsabilità; che egli ha iniziato a lavorare in carcere, manifestando anche «disponibilità per una assunzione esterna»; che la misura cautelare è stata disposta, oltre che per il reato associativo, per due reati fine, ma si tratta, in realtà, di una sola violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/9 «accertata due volte nel tempo»; che non sussiste pericolo di fuga né pericolo di inquinamento probatorio; che la condotta tenuta dopo l’esecuzione della misura dimostra la rescissione di ogni legame con l’ipotizzata associazione; che a differenza di quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata – Monreale non ha dimostrato alcuna professionalità nell’attività di spaccio / essendosi limitato a «fornire qualche dose a taluno», senza investimenti propri, senza maneggiare denaro e senza «connessioni con gruppi associati mafiosi»; che la presunzione relativa di esclusiva adeguatezza della misura cautelare detentiva può venir meno anche in forza della confessione, senza che sia necessario a tal fine – come il Tribunale sembra ritenere – una condotta ampiamente collaborativa; che il Tribunale non ha fornito adeguata motivazione delle ragioni per cui, essendo collocato agli arresti domiciliari, Monreale potrebbe reiterare attività di spaccio.
Con memoria del 3 marzo 2025, il difensore del ricorrente ha sviluppato le argomentazioni contenute nel ricorso / sottolineando che, quando sono stati commessi i fatti per cui si procede Monreale era infraventunenne; che ha svolto nella associazione un ruolo secondario; che non risulta aver mantenuto contatti con i coimputati e ha chiesto di essere sottoposto agli arresti domiciliari presso
l’abitazione della madre: dunque in un luogo diverso da quello ove ha commesso i fatti oggetto di imputazione.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
NOME COGNOME è sottoposto a misura cautelare custodiale per i reati di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309/90 e il ricorrente non contesta il grave quadro indiziario che ha portato all’applicazione della misura, limitandosi a chiederne l’attenuazione.
Tanto premesso, si deve rilevare che, pur in presenza di una contestazione per violazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90, il provvedimento impugnato non si è limitato a richiamare la presunzione relativa di inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere, ma ha argomentato in ordine all’inidoneità di una misura gradata, anche elettronicamente presidiata, a scongiurare il compimento di azioni criminose analoghe a quelle per cui si procede.
Il Tribunale di Catania osserva:
che Monreale è gravemente indiziato di aver «operato attivamente nel contesto associativo di riferimento per oltre un mese»;
che l’attività di spaccio «è proseguita certamente fino al 18 giugno 2022», quando Monreale è stato tratto in arresto per una violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90;
che questo reato è stato commesso nella medesima piazza di spaccio cui si riferiscono i fatti oggetto del presente procedimento, nello stesso luogo e «durante lo stesso turno di lavoro accertato nel corso delle presenti indagini»;
che da ciò può desumersi un ruolo di supporto al sodalizio criminale protratto nel tempo e, dunque, significativo e continuativo;
che l’attività lavorativa avviata in carcere non dimostra «in modo univoco l’abbandono del precedente stile di vita» e «le occasionali attività lavorative svolte» non sono «inconciliabili con la prosecuzione dell’attività illecita»;
che le deduzioni difensive in ordine alla insussistenza del pericolo di fuga e di inquinamento probatorio non sono rilevanti, atteso che queste esigenze non sono state poste a base dell’ordinanza cautelare;
che l’unico concreto elemento di novità addotto dalla difesa per chiedere l’attenuazione della misura è costituito dal tempo trascorso e l’esecuzione della
misura ha avuto luogo nell’ottobre del 2023 sicché non si tratta di un tempo particolarmente lungo;
che, peraltro, questo elemento, se non è accompagnato da altre circostanze, è da se solo un dato “neutro”, insufficiente a far ritenere attenuate le esigenze cautelari.
Si tratta di motivazioni adeguate, non manifestamente illogiche e non contraddittorie che non contrastano con i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, «in tema di misure cautelarí riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti» (Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243). A ciò deve aggiungersi che, «in terra di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di reiterazione dello stesso fatto reato, atteso che l’oggetto del “periculum” è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto reato oggetto di contestazione» (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274403; Sez. 6, n. 47887 del 25/09/2019, L, Rv. 277392; Sez. 5, n. 52301 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268444).
Quanto al tempo trascorso dai fatti oggetto della misura, se è vero che «alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.» questo tempo deve essere valutato al fine di verificare se la presunzione relativa di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere sia in concreto superata (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273); è pur vero che questo dato può essere considerato significativo se il tempo trascorso dal fatto all’esecuzione è rilevante e non vi sono state da parte dell’indagato ulteriori condotte sintomatiche di perdurante pericolosità, ma, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata riferisce di condotte illecite successive ai fatti per cui si procede, l’ultima delle quali, in data giugno 2022, ha condotto all’arresto di Monreale.
Il ricorso non si confronta con le argomentazioni sviluppate dalla Corte di
appello perché non evidenzia profili di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione e si limita a contestarne il contenuto senza indicare da quali elementi dovrebbe desumersi che Monreale contribuì in modo marginale all’operatività dell’associazione e ha ormai interrotto ogni rapporto con gli associati. Si deve ricordare allora che il ricorso per cassazione è ammissibile, anche quando ha ad oggetto la sussistenza o l’entità delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., soltanto se deduce la violazione di specifiche norme di legge ovvero la mancanza o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato; mentre non sono consentite censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze esaminate dai giudici di merito (fra le tante: Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997).
Nel caso in esame, il Tribunale ha operato in concreto la verifica della pericolosità dell’indagato, mettendo in risalto il suo inserimento nel contesto criminale dedito al traffico di droga e sottolineando che l’ammissione degli addebiti, non è da se sola sufficiente a far venir meno i legami con l’ambiente dello spaccio. Ha rilevato, inoltre, che un presidio elettronico può essere deterrente solo dell’allontanamento dal domicilio e che i reati ascritti al ricorrente possono trovare concreta realizzazione anche in ambito domestico. Non rileva in contrario la circostanza che gli arresti domiciliari avrebbero dovuto essere eseguiti presso il domicilio della madre dell’indagato. Non è noto, infatti (e il ricorrente non lo documenta) se si tratti di un luogo posto in un contesto territoriale radicalmente diverso rispetto a quello ove furono commesse le condotte delle quali COGNOME è gravemente indiziato. Tale circostanza, peraltro, è stata posta in evidenza soltanto con la memoria del 3 marzo 2025 senza che l’argomento fosse stato valorizzato nei motivi di appello.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
disp. att. cod. proc. pen.
1-ter,
Così deciso il 15 aprile 2025
Il Consigli
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Il eresidente