Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3748 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3748 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Corigliano Calabro il 12/06/1984, avverso l’ordinanza del 10/09/2024 del Tribunale del riesame di Catanzaro; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 10 settembre 2024, depositata il 24 settembre 2024, il Tribunale di Catanzaro ha respinto l’appello cautelare proposto dal ricorrente avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Catanzaro del 09/05/2024, con la quale è stata rigettata l’istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari dell’obbligo di dimora, con permanenza notturna, e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria trisettimanale, congiuntamente applicate, in relazione ai delitti, contestati ai capi 13 e 14 della rubrica, di cui agli artt. 81, 110 cod. pe 73, commi 1, 1-bis, 6, d.P.R. n. 309/1990, avendo svolto attività di mediatore in compravendite di sostanza stupefacente del tipo cocaina, destinata alla successiva cessione a terzi, tra i venditori, NOME COGNOME e NOME COGNOME e i compratori, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
L’ordinanza ha ritenuto che permanessero le esigenze di cautela sociale, ed in particolare di quelle di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen.
2. Avverso l’indicata ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME propone ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., lamentando motivazione in parte mancante, in parte manifestamente illogica ed in parte contraddittoria, i cui vizi risultano dal testo del provvedimento impugnato ed altresì da altri atti del procedimento che di seguito si indicheranno, in relazione all’art. 274 lettera c) cod. proc. pen., nonché motivazione in parte manifestamente illogica ed in parte contraddittoria per travisamento probatorio, in relazione all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen.
Premette il ricorrente di essere sottoposto, a far data dal 05/06/2023, alle cumulative misure cautelari dell’obbligo di dimora nel territorio di residenza con permanenza nell’abitazione in orario serale/notturno e dell’obbligo di presentazione alla P.G., perché ritenuto gravemente indiziato di aver concorso in due episodi di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti tra settembre e novembre 2020 e di aver presentato istanza di revoca dei presidi contenitivi, con ordinanza di rigetto del G.U.P. poi confermata dal Tribunale del riesame.
Lamenta la difesa che l’impugnata ordinanza del Tribunale del riesame non ha valutato due nuovi elementi non presenti al momento di applicazione delle misure, l’assenza di segnalazioni da parte della P.G. di condotte controindicate e il sopravvenuto reperimento di una lecita attività lavorativa, da porre in relazione all’apprezzabile arco temporale trascorso dalla commissione del secondo ed ultimo fatto-reato (28/11/2020), nonché al rispetto delle numerose prescrizioni dall’esecuzione delle cumulative misure (05/06/2023) ed alla incensuratezza, tenendo conto del principio secondo cui il mero decorso del tempo ha valore neutro
solo ove non accompagnato da altre circostanze suscettibili di incidere sulla considerazione delle esigenze da salvaguardare.
Deduce ancora la difesa che l’associazione, di carattere internazionale, dedita al narcotraffico guidata dal clan Forestafeno-Abruzzese, è autonoma e non coinvolta nelle due ipotesi di detenzione di cocaina contestate al ricorrente, tanto che, tra i presunti appartenenti al gruppo associativo, non compaiono i soggetti ai quali sono stati contestati i capi 13 e 14 e che hanno concorso con il ricorrente nella commissione dei predetti reati; né il quantitativo di stupefacente oggetto delle due compravendite (193 grammi) appare “cospicuo” in relazione al numero di acquirenti (quattro soggetti) e di venditori (due soggetti).
Deduce infine la difesa che le due ipotesi di reto contestate al ricorrente sono state commesse nel territorio di residenza in orario diurno, sicchè l’attuale svolgimento di diuturna attività lavorativa affievolisce l’esigenza di perdurante sottoposizione del ricorrente all’obbligo di dimora con permanenza serale/notturna al fine di evitare il suo coinvolgimento in reati di commercializzazione di stupefacenti.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME, difensore di fiducia di NOME COGNOME, con la quale si insiste nel ricorso, ribadendo gli elementi posti a base della istanza di revoca delle due misure cautelari prescrittive, precisando, quanto all’affermazione della contiguità ad un’associazione dedita al narcotraffico, che, per i soggetti ai quali sono stati contestati in concorso i reati di cui ai capi 1 e 14, è stata esclusa la gravità indiziaria per l’ipotesi associativa, mentre, quanto ai guadagni ricavati dall’attività lavorativa svolta dal ricorrente, segnala che, nel corso della procedura camerale di appello ex art. 310 cod. proc. pen., è stata allegata documentazione comprovante la percezione di una retribuzione mensile di circa 1.000,00 euro, aspetto sul quale l’impugnata ordinanza non si è soffermata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
In via preliminare, occorre innanzitutto richiamare la consolidata affermazione di questa Corte (ex multis cfr. Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019 e Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 gomma 2 cod. proc. pen., ed è per questa ragione che l’art. 273 comma 1 bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi.
Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve essere ribadito che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Il controllo di logicità deve rimanere quindi “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, in ciò rientrando anche l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato (sul punto, tra le tante, cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01).
Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, deve rilevarsi che l’ordinanza impugnata non presta il fianco a censure di irragionevolezza e di omessa motivazione.
Ed invero, occorre premettere l’erroneità del riferimento contenuto in ricorso all’arco temporale trascorso dalla commissione dell’ultimo fatto-reato, dal momento che il tempo trascorso dalla commissione del reato, ovvero dal momento
nel quale la condotta è stata posta in essere, assume in generale rilievo nella sola fase di applicazione della misura.
Terminata la fase di applicazione, quindi, il tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura non può più venire in rilievo (Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268567), essendo pacifico che sulle questioni e sugli elementi, originariamente valutati dal giudice per applicare la misura si forma il c.d. giudicato cautelare (Sez. 5, n. 47078 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277543).
Pertanto, nella successiva fase – che è quella in cui si verte nella vicenda in esame -, l’art. 299 cod. proc. pen. non richiede analoga valutazione ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico “tempo” che può assumere rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590), essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari. (Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278999).
2.1 Nel caso in esame, come condivisibilmente affermato dai giudici di merito, non sono stati dedotti elementi concreti da cui desumere un mutamento del complessivo quadro relativo alle esigenze cautelari.
Non rileva, in tal senso, infatti, il dedotto rispetto delle prescrizioni cautela e l’assenza di segnalazioni da parte della P.G. di condotte controindicate, dovendo ricordarsi in proposito l’affermazione che l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal mero decorso del tempo di esecuzione pur se accompagnato dalla corretta osservanza dei relativi obblighi, i quali costituiscono parte doverosa del nucleo essenziale della misura che si chiede di rimodulare (Sez. 6, n. 43424 del 27/09/2024, COGNOME; Sez. 5, n. 45843 del 14/06/2018, D., Rv. 274133; Sez. 5, n. 39792 del 29/5/2017, COGNOME, Rv. 271119; Sez. 4, n. 39531 del 17/10/2006, COGNOME, Rv. 235391), anche perché ad eventuali violazioni delle prescrizioni potrebbe conseguire un aggravamento del presidio cautelare ai sensi dell’art. 276 cod. proc. pen.
Né rileva il reperimento di una lecita attività lavorativa, dal momento che le misure cautelari prescrittive in corso di esecuzione sono proprio finalizzate a consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa, tanto che l’art. 282 cod. proc. pen. stabilisce, al secondo comma, che «il giudice fissa i giorni e le ore di presentazione tenendo conto dell’attività lavorativa e del luogo di abitazione dell’imputato»; mentre l’art. 283 cod. proc. pen. stabilisce, al quarto comma, che «il giudice può, anche con separato provvedimento, prescrivere all’imputato di non allontanarsi dall’abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro».
Quanto, infine, al riferimento ai fatti di reato posti a base delle misure cautelari, vale a dire alla circostanza che il ricorrente non sia stato ritenuto partecipe dell’associazione dedita al narcotraffico e che anche i soggetti con i quali il ricorrente ha concorso nelle vicende contestategli ai capi 13 e 14 della rubrica non rientrino tra i presunti appartenenti al gruppo associativo o ancora al quantitativo di stupefacente, ritenuto non cospicuo, oggetto delle condotte addebitate nei capi 13 e 14 commesse nel territorio di residenza ed in orario diurno, detti elementi hanno costituito oggetto di valutazione nella ordinanza genetica e, quanto al luogo e alle modalità di condotta, anche nella ordinanza applicativa delle misure cautelari in corso di esecuzione, tanto che, del tutto correttamente, il Tribunale del riésame sottolinea che il luogo dei fatti indiziariamente accertati coincide con il comune di residenza del ricorrente, rendendo necessario mantenere le misure cautelari in atto, la cui concorrente applicazione è, del resto, conforme al sistema.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.