Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23401 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23401 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANZARO il 14/03/1999
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il T ribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’appello in materia di misure cautelari personali, con l’ordinanza indicata in epigraf e, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa il 4 febbraio 2025 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro; con tale ultimo provvedimento è stata rigettata l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere applicata il 18 gennaio 2024 in relazione al delitto di cui all’ art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Il T ribunale dell’appello cautelare ha osservato che le argomentazioni addotte dalla difesa sono insufficienti a dimostrare l’attenuazione del pericolo di recidiva.
NOME COGNOME propone ricorso deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 274, comma 1 lett. c), e 275, comma 3, cod. proc. pen.; apparenza e palese illogicità della motivazione. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe dovuto valutare la circostanza che il fenomeno associativo, contestato come consumato in Catanzaro nel 2021, 2022 e tutt’ora permanente, in realtà, ha cessato di esistere sin dall’esecuzione della misura custodiale. Invoca il principio secondo il quale, in materia di
misure coercitive per il reato associativo secondo l’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990,n. 309, per valutare la necessità di tali misure riguardo a comportamenti risalenti, è fondamentale individuare elementi di fatto specifici che dimostrino la loro persistenza attuale, poiché questo tipo di reato associativo è definito esclusivamente dai reati-fine e non richiede la presenza di requisiti strutturali o caratteristiche particolari del legame associativo descritte nel reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., non trovando applicazione con riguardo a tale reato la presunzione di stabilità del gruppo. Il tempo trascorso e l’assenza di condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità rilevano, si assume, quali fattori evidenti della inattualità della compagine e del vincolo associativo.
In questo senso, si sarebbe dovuto apprezzare non tanto il tempo trascorso nel suo oggettivo scorrere, quanto piuttosto l’esaurirsi del fenomeno associativo, sì da rendere necessario un nuovo vaglio riguardo al contenimento delle esigenze cautelari rispetto a quello operato con l’ordinanza genetica , spettando all’organo dell’accusa dimostrare la persistenza della consorteria, e, dunque, la gravità indiziaria del protrarsi della condotta criminosa.
In assenza di tali indizi, si sarebbe dovuto ritenere che le esigenze cautelari fossero affievolite, sì da consentire di contenere le residue esigenze con l’adozione della custodia domestica, corredata da braccialetto elettronico, o con ogni altra misura idonea a escludere la possibilità che l’imputato conferisca con persone diverse dalla coabitante.
La difesa allega di aver prodotto il Certificato d’iscrizione del COGNOME al primo anno della scuola agraria agroalimentare e agroindustria, al quale il Tribunale ha negato ogni valenza facendo riferimento agli ‘ulteriori elementi in atti’, da intendersi afferenti al sodalizio di cui all’imputazione, estinto da oltre un anno . Né si può far coincidere l’attualità e la concretezza del periculum con il ruolo tutt’altro che marginale assunto dal COGNOME in seno al sodalizio.
La qualità del tempo trascorso in custodia cautelare, si assume, dovrebbe trovare specifica valutazione rispetto ai principi di proporzionalità e adeguatezza della misura coercitiva, laddove il Tribunale, nel negare l’acquisizione della relazione comportam entale della casa circondariale, ha mostrato di asseverare una inesistente presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria, ignorando che la misura cautelare in carcere svolge una funzione rieducativa al pari della pena definitiva, che concorre a determinare.
La prospettazione del tempo trascorso dall’adozione della misura e gli ulteriori elementi di novità prospettati, segnatamente il proficuo trascorrere del periodo detentivo, avrebbero reso necessaria una rivisitazione della originaria valutazione con riguardo all’ineludibilità della misura carceraria, laddove il Tribunale ha valorizzato contingenze non più attuali.
La circostanza che il legislatore abbia avvertito la necessità di inserire, nell’art. 292, comma 2 lett. c), cod. proc. pen., come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n. 332, tra i requisiti che obbligatoriamente devono comporre la motivazione dell’ordinanza
cautelare, anche lo specifico riferimento, quanto alle esigenze che giustificano la misura, alla valutazione “del tempo trascorso dalla commissione del reato”, sta a significare, si assume, che la pregnanza del periculum di volta in volta preso in considerazione, debba necessariamente attualizzarsi in proporzione diretta con il tempus commissi delicti , sull’ovvia presupposizione che, alla maggior distanza temporale dei fatti, ineluttabilmente finisca di regola per corrispondere un proporzionale affievolimento delle esigenze di cautela.
Con particolare riferimento alla personalità dell’indagato, la difesa contesta la rilevanza attribuita dal Tribunale alla «manifestazione di disponibilità a proseguire le attività illecite esternata dall’indagato, anche nel corso di incontri de visu in violazione delle prescrizioni imposte, nonostante l’arresto subito in data 3/9/2022 e la conseguente sottoposizione alla misura domiciliare», evidenziando la mancata indicazione di elementi significativi di violazioni strutturali del regime degli arresti domiciliari e la valorizzazione di condotte risalenti, anche perchè la mera violazione degli obblighi non implica l’automatica applicazione di una misura più grave.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in base al principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 -01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178 – 01).
Il Tribunale ha richiamato il principio secondo il quale il mero decorso del tempo in esecuzione della misura cautelare non è elemento suscettibile di comportare di per sé l’attenuazione o l’esclusione del pericolo cautelare, potendo acquisire valenza solo quando accompagnato da altri elementi certamente sintomatici di un mutamento della situazione di fatto apprezzata all’inizio del trattamento preventivo, in applicazione del principio secondo il quale «in tema di misure cautelari personali, la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere,
valevole per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., trova applicazione anche ove sia richiesta la sostituzione della misura (In motivazione, la Corte ha precisato che la clausola di esclusione prevista dall’art. 299, comma 2, cod. proc. pen. fa ritenere perduranti, per tali reati, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, non desumibile dal solo decorso del tempo)» (Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, V., Rv. 283835 -01; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02).
Nell’ordinanza sono stati esaminati tutti gli argomenti difensivi.
A tal fine, i giudici dell’appello cautelare, con motivazione esente da vizi, hanno escluso la valenza positiva della condotta carceraria tenuta dall’istante, atteso che la corretta osservanza degli obblighi connessi alla misura cautelare costituisce dato neutro. Ne hanno desunto l’irrilevanza delle relazioni comportamentali la cui acquisizione era stata sollecitata dalla difesa; d’altro canto, la partecipazione dell’appellante alle iniziative risocializzanti in ambiente carcerario, in quanto solo lumeggiante l’avvio di un percorso di ravvedimento, non è stata considerata indicativa di un mutamento nello stile di vita dell’indagato, avendo i giudici raffrontato tale condotta con le modalità e circostanze dei fatti per i quali vi è cautela.
Nel ricorso ci si limita a proporre una lettura alternativa di tali elementi, non ammessa in fase di legittimità.
In merito alla dedotta risalenza dell’apporto associativo e alla recente disgregazione dell’associazione, i giudici dell’appello cautelare, considerando il ruolo tutt’altro che marginale assunto dal COGNOME nell’associazione investigata quale spacciatore particolarmente attivo sul territorio di riferimento, le cui abilità venivano diffusamente sponsorizzate ed elogiate dai vertici nelle conversazioni censite nel corso delle indagini, hanno correttamente applicato il principio secondo cui «in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa, né alla data ultima dei reatifine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza» richiamando Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, Fusco Rv. 280243 -01.
Con tale passaggio motivazionale il ricorso si confronta solo apparentemente, allegando una serie di pronunce inconferenti, anche della Consulta, attestanti la diversa natura dell’associazione dedita al narcotraffico rispetto all’associazione mafiosa, ladd ove il pericolo di reiterazione non presuppone la permanenza dell’associazione per la quale si procede né l’attualità della sua operatività, essendo piuttosto rilevanti le condotte indicative della inclinazione dell’indagato, tal quale manifestatasi nei fa tti, a commettere illeciti della medesima natura.
Solo a tal fine è stato valorizzato il rapporto fiduciario instaurato dal COGNOME con i vertici, nell’ambito di una relazione affaristica particolarmente proficua per entrambe le
parti, così giustificando la prognosi negativa sulla base dell’ importanza assunta dall’appellante nelle dinamiche di rivendita coltivate dal sodalizio. Non meno significativa è parsa la manifestazione di disponibilità a proseguire le attività illecite esternata dall’indagato, anche nel corso di incontri de visu , in violazione delle prescrizioni imposte, nonostante l’arresto subito in data 3/9/2022 e la conseguente sottoposizione alla misura domiciliare, correttamente individuata dai giudici del merito cautelare quale sintomo di refrattarietà al rispetto delle prescrizioni.
Rispetto a tali argomenti il ricorso si limita a contestare la decisione senza allegare vizi deducibili con il ricorso per cassazione, proponendo doglianze inerenti alla mancata valorizzazione del decorso del tempo e del percorso rieducativo seguito dall’i ndagato, che presuppongono una diversa valutazione degli elementi a disposizione dell’autorità procedente; le doglianze, per tale ragione, non superano il vaglio di ammissibilità.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. , disp. att. cod.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter proc. pen.
Così è deciso, 13/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME