Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9961 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9961 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Rovigo il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Bisceglie il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/11/2023 del Tribunale di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
udita l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore sempre di NOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso e ha concluso per l’accoglimento dello stesso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale si è riportato ai motivi di ricorso e ha concluso per l’accoglimento dello stesso;
udita l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso e ha concluso per l’accoglimento dello stesso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 06/09/2023, il G.i.p. del Tribunale di Brescia rigettava la richiesta del pubblico ministero presso lo stesso Tribunale di applicazione, per quanto qui ancora interessa: a) nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, della misura della custodia cautelare in carcere; b) nei confronti di NOME COGNOME, della misura degli arresti domiciliari.
Il G.i.p. del Tribunale di Brescia riteneva la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza: a) a carico di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, per i reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche in concorso e di autoriciclaggio di cui ai capi da 1) a 4) dell’imputazione provvisoria; b) a carico di NOME COGNOME, per il reato di riciclaggio di cui al capo 6) dell’imputazione provvisoria.
Lo stesso G.i.p. del Tribunale di Brescia escludeva tuttavia la sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari con riguardo a tutti e tre i menzionati indagati.
I reati di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche sarebbero consistiti nella “formazione” di crediti inesistenti a titolo dei cosiddetti “bon facciate”, “sisma bonus” e “bonus locazioni”, successivamente ceduti.
Il reato di riciclaggio di cui al capo 6) dell’imputazione provvisoria sarebbe consistito nel compimento di operazioni dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi crediti.
Con ordinanza del 07/11/2023, il Tribunale di Brescia, investita dell’appello proposto dal pubblico ministero presso il Tribunale di Brescia contro la menzionata ordinanza del 06/09/2023 del G.i.p. dello stesso Tribunale, in riforma di essa, applicava: a) a tutti e tre i suddetti indagati (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; b) a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, anche le misure interdittive del divieto di esercitare la professione di commercialista o consulente fiscale nonché del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di persone giuridiche o di imprese per dodici mesi; c) a NOME COGNOME, anche la misura interdittiva del divieto di esercitare imprese o uffici direttivi di persone giuridiche o di imprese per dodici mesi.
Avverso l’indicata ordinanza del 07/11/2023 del Tribunale di Brescia, hanno proposto ricorsi per cassazione, per il tramite del proprio rispettivo difensore, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta competenza del Tribunale di Brescia.
Il ricorrente premette: a) di essere imputato dei reati di associazione per delinquere e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commessi dal 7 aprile 2021, davanti al Tribunale di Milano nell’ambito del procedimento che era stato trasmesso a questo Tribunale a seguito della dichiarazione di incompetenza da parte del Tribunale di Rimini; b) che tale procedimento davanti al Tribunale di Milano è connesso a quello che pende davanti al Tribunale di Brescia; c) che, poiché i reati di impiego di denaro proveniente dai reati di truffa contestati nel procedimento che pende davanti al Tribunale di Brescia sono successivi a quello di cui al capo 37) del procedimento che pende davanti al Tribunale di Milano, ai sensi dell’art. 16 cod. proc. pen., la competenza per territorio avrebbe dovuto essere determinata sulla base della contestazione di cui a tale capo 37); d) poiché, peraltro, con riguardo al procedimento davanti al Tribunale di Milano, si attendeva la decisione della Corte di cassazione sul rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio che era stato operato dallo stesso Tribunale di Milano ai sensi dell’art. 24-bis cod. proc. pen., all’udienza del 07/11/2023, la propria difesa aveva chiesto di rinviare la decisione in attesa della pronuncia della Corte di cassazione.
Ciò premesso, il ricorrente contesta anzitutto la motivazione con la quale il Tribunale di Brescia ha ritenuto di non accogliere tale richiesta di rinvio.
In secondo luogo, il ricorrente, dopo avere rammentato che, alla stessa udienza del 07/11/2013, aveva eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Brescia, deduce che, anche «laddove non si voglia seguire il criterio della competenza per connessione», la competenza per territorio andrebbe determinata, sulla base dei capi d’imputazione, «nel luogo in cui sono stati inseriti i dati sul portale dell’RAGIONE_SOCIALE che, in mancanza di altri elementi, dovrà essere individuato nello studio del dottCOGNOME in Porto Viro, con conseguente competenza del Tribunale di Rovigo, o, in alternativa, nello studio del dott. COGNOME e, quindi, in Barletta».
Il ricorrente lamenta che «anche su questa questione nulla si dice nella motivazione dell’impugnata ordinanza che, pertanto, risulta assolutamente carente di motivazione».
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 297, comma 3, dello stesso codice, nonché la carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo al rigetto della propria richiesta di retrodatazione della decorrenza dei termini di durata RAGIONE_SOCIALE misure dal giorno dell’esecuzione dell’ordinanza che era stata emessa dal G.i.p. del Tribunale di Rimini, «risultando dagli atti che l’iscrizione di COGNOME, per i fatti di cui al presente procedimento contestati in concorso con NOME, fossero già noti dal momento dell’emissione di quell’ordinanza».
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Il ricorrente deduce che, «in ogni caso, i suddetti fatti erano sicuramente noti al momento dell’emissione dell’ordinanza di cautelare ex art. 27 c.p.p. del Gip di Milano del 27 gennaio 2023. Risulta, infatti, dalla documentazione allegata che già il 20 maggio 2022 il Pubblico Ministero di Rovigo avanzava al collega di Rimini richiesta di copia degli atti del procedimento».
Il NOME denuncia quindi il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata in quanto il Tribunale di Brescia si sarebbe limitato a «evidenziare il difetto di allegazione del presupposto quando, dagli atti in suo possesso e dal deposito RAGIONE_SOCIALE due ordinanze cautelari avvenuto in udienza», sarebbe stato «evidente che il meccanismo previsto dalla disposizione invocata era perfettamente applicabile».
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati di cui ai capi da 1) a 4) dell’imputazione provvisoria.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Brescia si sarebbe limitato a richiamare la motivazione dell’ordinanza del G.i.p. dello stesso Tribunale e a operare un excursus sul meccanismo di fruizione dei menzionati bonus, senza nulla dire in ordine ai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato e «ciò anche a fronte del richiamo alle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di COGNOME NOME il quale ha espressamente dichiarato di aver appreso “conosciuto” NOME COGNOME solo dalla lettura degli atti dell’indagine di Rimini».
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza e l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura cautelare applicata.
Il ricorrente lamenta anzitutto che il Tribunale di Brescia, nel ritenere la sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, non avrebbe adeguatamente considerato né il tempo che era trascorso dalla commissione dei reati, né il fatto che egli, nell’ambito del procedimento davanti al Tribunale di Rimini, aveva reso un ampio interrogatorio dal quale erano emersi elementi idonei a sostenere i gravi indizi di colpevolezza nel presente procedimento, né, ancora, il fatto che «in tutto il tempo trascorso il dott. COGNOME ha svolto attività professionale senza incorrere in riliev alcuni».
Quanto alla scelta della misura, il ricorrente rappresenta che sarebbe «difficile comprendere quale efficacia deterrente o contenitiva possa svolgere la misura dell’obbligo di presentazione a fronte di un reato che veniva commesso attraverso l’utilizzo di un computer semplicemente caricando dati e nei confronti di un indagato che si è, da subito, dimostrato collaborativo con l’autorità giudiziaria».
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Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente deduce l’illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo.
Il ricorrente rammenta che, nell’ambito del procedimento, era stato disposto il sequestro preventivo di tutti i crediti in contestazione e che il G.i.p. del Tribunal di Brescia aveva motivatamente riconosciuto come non vi fosse ragione di escludere che tale provvedimento avesse «neutralizza e/o minimizza il pericolo di reiterazione di nuovi fatti della medesima specie, resi “non economicamente convenienti” per effetto del provvedimento ablativo».
Nel sostenere che la motivazione dell’ordinanza impugnata, da un lato, non sarebbe conforme ai principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia cautelare e, dall’altro lato, sarebbe fondata su affermazioni anapodittiche e non basate su dati di fatto concreti, il ricorrente lamenta, in particolare, che il Tribunal di Brescia: a) con l’affermare che sussisterebbe «l’effettiva ed attuale probabilità di reiteratio criminis anche in contesti di fatto ulteriori, ancorché similari dovendosi ritenere che, al ricrearsi RAGIONE_SOCIALE condizioni che hanno agevolato la commissione dei delitti, gli indagati possano ricadere nel delitto, sperimentando nuovi espedienti per frodare lo Stato» (pag. 13 dell’ordinanza impugnata), avrebbe inammissibilmente ritenuto «sufficiente un giudizio prognostico ancorato ad un pericolo astratto e/o meramente ipotetico ovvero un generico riferimento alla mera eventualità di probabili seguiti delittuosi», anziché, come è necessario, un pericolo attuale, desunto da concreti elementi di fatto risultanti dagli atti processuali; b) col valorizzare «’impressionante importo dei crediti fittizi creati e le plurime RAGIONE_SOCIALE successive» (pag. 13 dell’ordinanza impugnata), avrebbe basato la propria valutazione non sulla «concretezza dei fatti» ma «esclusivamente su criteri generici ed automatici riferiti al tipo di reati contestati». Più in general il Tribunale di Brescia non avrebbe offerto – come sarebbe stato invece necessario fare – «alcuna motivazione né in ordine agli elementi dai quali ritenere certo od altamente probabile che all’COGNOME si presenterà l’occasione del delitto, né in ordine a quelli dai quali ritenere certo od altamente probabile che l’COGNOME – in presenza di tale occasione – tornerà certamente a delinquere». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nell’evidenziare come il Tribunale di Brescia abbia ritenuto il pericolo di recidiva anche sulla base dell’ordinanza cautelare che era stata emessa dal G.i.p. del Tribunale di Rimini (pagg. 13-14 dell’ordinanza impugnata), l’COGNOME contesta come tale ordinanza, da un lato, sia «per sua natura non definitiva» e, dall’altro lato, non possa in ogni caso «essere acriticamente recepita dal Tribunale del Riesame», il quale è tenuto a operare un’autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE specifiche esigenze cautelari.
A proposito di detta ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Rimini – che aveva applicato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere e la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare la professione di commercialista – il ricorrente rappresenta di avere trascorso un anno in carcere in Colombia e che, estradato in Italia, all’esito dell’interrogatorio di garanzia, le suddette misure venivano revocate per difetto di attualità RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari. Il ricorrente deduce che «essuna violazione RAGIONE_SOCIALE prescrizioni si registra nel percorso cautelare affrontato dall’COGNOME – soggetto allo stato formalmente incensurato il quale da mesi è libero dalla cautela ed è tornato ad esercitare la propria professione», sicché «l’assenza di violazioni ed il regolare comportamento tenuto anche allorquando totalmente rimesso alla propria autodisciplina, e, dunque, l’affidabilità dimostrata, attestano, da un lato, che il percorso cautelare affrontato ha sortito effetto deterrente, dall’altro che non vi sono allo stato specifici e concreti elementi dai quali ricavare il rischio di recidivanza», essendo stata la sua «spinta criminogena» neutralizzata dalla cautela già sofferta e cessata.
Secondo il ricorrente, anche l’applicazione della misura interdittiva sarebbe irragionevole e non adeguatamente motivata in quanto il Tribunale di Brescia non si sarebbe confrontato con la circostanza che egli, nonostante fosse tornato da mesi a esercitare la propria professione, non era ricaduto nella commissione di illeciti di alcun genere.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a due motivi.
5.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta «iolazione di legge per manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza di motivazione perché è incompatibile con gli atti acquisiti al processo».
Il ricorrente contesta la motivazione con la quale il Tribunale di Brescia, diversamente dal G.i.p. dello stesso Tribunale, ha negato che il sequestro preventivo che era stato disposto nell’ambito del procedimento fosse idoneo a escludere il pericolo di recidiva, sull’assunto che, «al momento dell’intervento del vincolo reale i crediti fittizi non erano ancora stati monetizzati e dunque, di fatto nessuna conseguenza patrimoniale pregiudizievole si è verificata nei confronti degli indagati, sicché essi sarebbero indotti, a maggior ragione, a cercare nuovamente nel delitto facili fonti di guadagno» (pag. 13 dell’ordinanza impugnata).
Il ricorrente deduce che tale motivazione sarebbe del tutto illogica e priva di aderenza rispetto alle risultanze documentali, atteso che il suddetto sequestro era stato eseguito, nei suoi confronti, solo il 19/09/2023, cioè dopo la proposizione dell’appello del pubblico ministero, sicché egli avrebbe appreso «della vicenda penale solo in conseguenza dell’appello proposto dal PM e solo dopo con l’esecuzione dello stesso sequestro preventivo». Pertanto, se egli avesse inteso
«reiterare il fatto certo l’avrebbe potuto fare in tutto questo lasso di tempo nel quale in mancanza di qualsiasi vincolo apposto ai crediti presenti nel cassetto fiscale, ben avrebbe potuto cederli o compensare. Al momento del sequestro, invece, i detti crediti venivano rinvenuti integri nel cassetto fiscale tanto è vero che venivano poi (in data 19.09.2023) sequestrati». Secondo il ricorrente, «l sequestro preventivo , eseguito dopo l’appello del PM, dunque, dimostra chiaramente che indipendentemente da esso l’indagato ha mantenuto una condotta priva di qualsiasi indizio volto a commettere lo stesso o altri reati della medesima indole pur avendone la possibilità oltre che la libertà stante la mancanza di un vincolo limitativo dei crediti presenti nel proprio cassetto fiscale».
Il ricorrente lamenta altresì che il Tribunale di Brescia non avrebbe «chiarito né giustificato le ragioni per le quali avrebbe disatteso le osservazioni e le contestazioni mosse dalla difesa nella memoria depositata nonché il contenuto degli atti e dei documenti pure offerti in quella sede».
Il COGNOME contesta pure l’affermazione del Tribunale di Brescia secondo cui egli non avrebbe «esitato a sfruttare l’attività di impresa per lucrare illeciti profit assumendo egli stesso l’iniziativa criminale andando alla ricerca di interstizi normativi entro i quali frodare il fisco» (pag. 15 dell’ordinanza impugnata), atteso che anche tale affermazione sarebbe contraddetta dalla «circostanza che l’indagato era all’oscuro della vicenda giudiziaria e pur potendo tornare a delinquere non lo ha in concreto fatto e ciò anche senza l’esistenza al tempo dei fatti e sino alla data del 19.09.2023 (data di esecuzione del sequestro) di una misura di cautela dei crediti presenti nel proprio cassetto fiscale»; con la conseguenza che la sua condotta «è stata di segno contrario a quello delinquenziale», senza che il Tribunale di Brescia abbia indicato «quali siano quegli ulteriori espedienti in concreto posti in essere dall’indagato da cui giustificar l’apposizione in suo danno della misura cautelare ed interdittiva emessa».
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta «iolazione dell’art. 274 c.p.p. sull’assenza di esigenze cautelari e del pericolo di recidiva» concreto e attuale.
Il ricorrente ribadisce che, anche «in mancanza di un sequestro preventivo», che sarebbe stato eseguito solo il 19/09/2023, egli aveva «mantenuto una condotta priva di qualsiasi volontà reiterativa di quella contestata anche con riferimento ad altri e diversi possibili aspetti delittuosi infondatamente e contraddittoriamente rilevati dal Tribunale», il quale non avrebbe «chiarito quali sarebbero state le condotte in concreto poste in essere dall’indagato da cui trarre argomenti idonei a sostenere la ricorrenza di esigenze cautelari». Ciò nonostante l’art. 274 cod. proc. pen. «richied in concreto al giudice la rilevazione ed individuazione dei fatti da cui trarre argomenti a sostegno della propensione a
reiterare il fatto delittuoso. Gli atti e la condotta tenuta dall’indagato, invece rilevano in senso contrario alle prospettazioni solo potenziali e per nulla concrete riportate nell’ordinanza che ne evidenziano, quindi, non solo l’assoluta insussistenza di qualsiasi pericolo nella ripetizione del reato ma anche la mancanza di sopravvenute esigenze cautelari idonea a giustificare l’ordinanza emessa».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, quanto alla possibilità che la competenza per territorio potesse essere determinata sulla base della connessione fondata sulla configurabilità del vincolo della continuazione con le fattispecie di reato oggetto del procedimento pendente davanti al Tribunale di Milano (a seguito della dichiarazione di incompetenza da parte del Tribunale di Rimini), si deve osservare che il Tribunale di Brescia ha correttamente affermato – in piena conformità con i principi enunciati dalla Corte di cassazione (Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018, Bianco, Rv. 27551901; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, COGNOME, Rv. 269960-01; Sez. 1, n. 5725 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254808-01) – come l’identità del disegno criminoso sarebbe stata idonea a determinare lo “spostamento” della competenza solo se l’episodio o gli episodi in continuazione avessero riguardato lo stesso o, in quanto più d’uno, gli stessi imputati, il che non era, invece, nella specie. Ciò che rendeva evidentemente inutile disporre il richiesto differimento per attendere la pronuncia della Corte di cassazione sul rinvio pregiudiziale per la decisione sulla competenza per territorio che era stato operato dal Tribunale di Milano.
Ciò posto, si deve osservare che il Tribunale di Brescia, sulla corretta premessa che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e della sua idoneità a determinare uno “spostamento” della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223-01), accertava in fatto la connessione teleologica tra ciascuna RAGIONE_SOCIALE due frodi (quella relativa ai crediti riferibili a NOME COGNOME e quel relativa ai crediti riferibili a NOME COGNOME) e le RAGIONE_SOCIALE poste a valle di ciascuna RAGIONE_SOCIALE stesse, le quali RAGIONE_SOCIALE configuravano i delitti di riciclaggio di cui all’art. 6 bis cod. pen. e autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. («è dato rintracciare in capo a ciascun indagato, in relazione alle varie vicende che hanno interessato la circolazione dei due distinti crediti di imposta, la consapevolezza della natura fittizia del credito, della destinazione del medesimo ad essere ceduto e dello scopo, insito nella successiva cessione/acquisizione, di ostacolare
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l’identificazione della relativa provenienza delittuosa: da ciò può ricavarsi la connessione teleologica»).
Accertata l’indicata configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e correttamente ritenuta l’idoneità della stessa a “spostare” la competenza per territorio, il Tribunale di Brescia rilevava quindi che, alla luce del previsto trattamento sanzionatorio: a) con riguardo al primo “blocco” di reati, il più grave era quello di riciclaggio di cui capo 6) dell’imputazione provvisoria; b) con riguardo al secondo “blocco” di reati, il più grave era quello di autoriciclaggio di cui al capo 4) dell’imputazione provvisoria.
Il Tribunale di Brescia, posto che il luogo di consumazione di tali due più gravi reati si doveva ritenere quello in cui si erano perfezionate le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei crediti riferibili, rispettivamente, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME – RAGIONE_SOCIALE che costituivano le operazioni idonee a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi crediti – individuava il suddetto luogo nella sede della società cessionaria RAGIONE_SOCIALE, atteso che la cessione dei crediti d’imposta relativi ai bonus in considerazione si perfeziona, divenendo efficace nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, con l’accettazione, da parte del cessionario, sul portale telematico della stessa RAGIONE_SOCIALE, atto al quale consegue l’ingresso del credito nel relativo cassetto fiscale.
Il Collegio ritiene che tale motivazione sia del tutto corretta e rileva altresì che il ricorrente ha omesso di confrontarsi compiutamente e specificamente con essa, con la conseguente manifesta infondatezza del motivo.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
1.2.1. Si deve anzitutto rilevare che, come si ricava da Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, Polcino, Rv. 253549-01 (in tema di deducibilità della questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare nel procedimento di riesame), la questione relativa alla retrodatazione della decorrenza dei termini RAGIONE_SOCIALE misure poteva essere dedotta, nel procedimento di appello, solo alla condizione che, per effetto della stessa retrodatazione, il termine di durata sarebbe stato interamente scaduto al momento dell’adozione, da parte del giudice dell’appello cautelare, del provvedimento genetico. Condizione della quale non risulta evidenza.
1.2.2. In ogni caso, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, in tema di contestazione a catena, è onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine, provare la desumibilità dagli atti del primo procedimento del fatto di reato oggetto dell’ordinanza successiva (Sez. 3, n. 18671 del 15/01/2015, Mantello, Rv. 263511-01; Sez. 2, n. 6374 del
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28/01/2015, COGNOME, Rv. 262577-01; Sez. 5, n. 49793 del 05/06/2013, COGNOME, Rv. 257827-01).
Quanto alla nozione di anteriore “desumibilità” RAGIONE_SOCIALE fonti indiziarie, poste a fondamento dell’ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, la Corte di cassazione ha chiarito che essa non va confusa con quella di semplice “conoscenza” o “conoscibilità” di determinate evenienze fattuali. Infatti, la “desumibilità”, per essere rilevante nell’ambito del meccanismo previsto dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi a un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica “significanza processuale”. Ciò che si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente (sebbene modificabile nel prosieguo RAGIONE_SOCIALE indagini) del panorama indiziario, tale da consentirgli di esRAGIONE_SOCIALEre un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità RAGIONE_SOCIALE fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo – in presenza di concrete esigenze cautelari – alla richiesta e all’adozione di una misura cautelare (Sez. 6, n. 11807 del 11/02/2013, COGNOME, Rv. 255722-01; Sez. 4, n. 15451 del 14/03/2012, COGNOME, Rv. 25350901).
Lo stesso concetto di desumibilità dagli atti degli elementi per emettere la nuova ordinanza implica una valutazione che è riconducibile a una questio facti, la quale può essere scrutinata dalla Corte di cassazione esclusivamente sotto il profilo della logicità e coerenza descrittiva RAGIONE_SOCIALE emergenze processuali e probatorie enunciati nel provvedimento impugnato, nonché sotto il connesso profilo della congruenza e non contraddittorietà RAGIONE_SOCIALE valutazioni operate dal giudice di merito (Sez. 1, n. 22751 del 06/05/2021, COGNOME, Rv. 281545-01, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236829-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Brescia ha evidenziato come la prima ordinanza cautelare non contenesse alcun riferimento ai fatti-reato per i quali lo stesso Tribunale stava procedendo e come il ricorrente non avesse neppure depositato degli atti di indagine del primo procedimento (quello davanti al Tribunale di Rimini, poi trasmesso per competenza al Tribunale di Milano) dai quali fosse possibile evincere la desumibilità, nel senso indicato, degli elementi relativi ai medesimi fatti-reato, con la conseguenza che lo stesso ricorrente si doveva ritenere non avere assolto all’onere probatorio che, per quanto si è detto, gravava su di lui.
A fronte di tale motivazione, che appare in linea con i ricordati orientamenti della Corte di cassazione e che risulta in sé priva di contraddizioni e di illogicità, i ricorrente si è limitato a RAGIONE_SOCIALE doglianze meramente generiche, avendo del tutto
omesso di indicare da quali passaggi RAGIONE_SOCIALE precedenti ordinanze cautelari (quella del G.i.p. del Tribunale di Rimini e quella del G.i.p. del Tribunale di Milano) o da quale specifico compendio documentale o dichiarativo dei procedimenti incardinati presso tali due Tribunali sarebbe stato possibile desumere elementi relativi ai fattireato per i quali avrebbe poi proceduto il Tribunale di Brescia tali da consentire al pubblico ministero di esRAGIONE_SOCIALEre un apprezzamento di gravità degli indizi di colpevolezza degli stessi fatti-reato suscettibile di dare luogo alla richiesta e all’adozione di una misura cautelare.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di impugnazioni de libertate, l’ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. che accolga l’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari personali, nel fornire, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 29 comma 2, cod. proc. pen., adeguata motivazione in relazione a tutti i presupposti della misura (gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari e criteri di scelta della misura stessa), può legittimamente fare richiamo, anche integrale, ad altro atto del procedimento, a condizione che, da un lato, il giudice dell’impugnazione cautelare dia conto del proprio esame critico degli elementi richiamati e RAGIONE_SOCIALE ragioni della loro rilevanza e, dall’altro, mostri di avere valutato le specifich questioni che le parti abbiano ritualmente sottoposto al suo vaglio (Sez. 6, n. 57529 del 29/11/2017, Desiderato, Rv. 272205-01).
Nel caso in esame, posto che, con l’ordinanza del 06/09/2023, il G.i.p. del Tribunale di Brescia aveva ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME per i reati di truffa aggravata per conseguimento di erogazioni pubbliche e di autoriciclaggio di cui ai capi da 1) a 4) dell’imputazione provvisoria (avendo solo escluso la sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari), si deve ritenere che il Tribunale di Brescia abbia fatto perciò legittimamente richiamo, quanto al presupposto dei suddetti gravi indizi di colpevolezza, alla menzionata ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Brescia, avendo dato conto, da un lato, di avere criticamente esaminato gli elementi in essa richiamati e le ragioni della loro rilevanza – segnatamente, le risultanze investigative che erano state compendiate nella stessa ordinanza e le dichiarazioni auto ed etero-accusatorie che erano state rese anche dal NOME (pagine da 7 a 11 dell’ordinanza impugnata) – e, dall’altro lato, del «difetto di specifiche doglianze difensive sotto il profilo della gravità indiziaria» (pag. 7 dell’ordinanza impugnata). Con la conseguenza che si devono ritenere nella specie soddisfatte le condizioni per l’ammissibilità – nei termini che sono stati indicati dalla ricordata giurisprudenza della Corte di cassazione – della motivazione per relationem, da parte del giudice investito dell’appello cautelare del pubblico ministero avverso il
provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare personale, a un altro atto del procedimento e, in particolare, a tale provvedimento di rigetto.
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Il Tribunale di Brescia ha desunto il ritenuto pericolo di recidiva, essenzialmente, dalla gravità della condotta del Benin, a proposito della quale va ribadito che l’ultimo periodo della lettera c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen., periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 16 aprile 2015, n. 47, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla sola gravità del «titolo di reato», astrattamente considerato, ma non già dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni, in quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di valutazione che, investendo l’analisi di comportamenti concreti, servono a comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio sistema di vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di un’incapacità del soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Rv. 271522-01, COGNOME; Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 267798-01; Sez. 1, n. 45659 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 265168-01).
Inoltre, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo necessario e sufficiente formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto RAGIONE_SOCIALE modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891-01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 28276701; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769-01; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566-01; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Brescia ha evidenziato come il NOME avesse sfruttato le proprie competenze di commercialista svolgendo un ruolo di primo piano nella realizzazione di una frode da oltre 200 milioni di euro, dimostrando la capacità di piegare, in modo sistematico, la normativa nella materia dei bonus “facciate”, “sisma” e “locazioni” per ottenere ingenti profitti illeciti, anche mediante il ricorso a varie società collocate in tutto il territorio nazionale, a riprova de
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sue significative capacità criminali e della sua spiccata spregiudicatezza, ritenute incompatibili con la mera occasionalità dei fatti e sottintendenti, piuttosto, la propensione criminosa dello stesso COGNOME – riscontrata anche alla luce della «vicenda riminese» – e la sua indifferenza alle conseguenze RAGIONE_SOCIALE proprie condotte illecite. Ciò che si doveva reputare comprovare l’effettiva e attuale probabilità della commissione di condotte reiterative di illeciti similari a quelli per i quali si stav procedendo.
Tale motivazione, in quanto non integra alcuna violazione di norme di legge – alla stregua anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia – e in quanto priva di illogicità, tanto meno manifeste, si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, del resto, né il lasso di tempo intercorso dai fatti (che, secondo il ricorso, sarebbero stati contestati come commessi «tra il 14 ottobre e il 7 dicembre 2021»; pag. 2) – non apparendo, in realtà, lo stesso lasso significativamente ampio – né il fatto che, asseritamente, «in tutto il tempo trascorso il dottCOGNOME ha svolto attività professionale senza incorrere in rilievi alcuni», risultano di per sé idonei a escludere il ravvisato pericolo di recidiva, come desunto dagli elementi che si sono riassunti sopra, e a rendere, perciò, illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata riguardo allo stesso pericolo.
Infine, i fatti che i reati potessero essere stati commessi «attraverso l’utilizzo di un computer» e che il NOME si potesse essere «dimostrato collaborativo» non escludono di per sé logicamente l’idoneità RAGIONE_SOCIALE applicate misure coercitiva e interdittive a contenere l’evidenziato pericolo di recidiva.
2. Il ricorso di NOME COGNOME.
L’unico motivo è manifestamente infondato.
In proposito, occorre richiamare i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono esposti esaminando il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 1.4).
Anche con riguardo alla posizione dell’COGNOME, il Tribunale di Brescia ha evidenziato come il ricorrente, analogamente al NOME, avesse anch’egli sfruttato le proprie competenze di commercialista svolgendo un ruolo di primo piano nella realizzazione dell’ingentissima frode, dimostrando la capacità di strumentalizzare sistematicamente la normativa nella materia dei bonus “facciate”, “sisma” e “locazioni” per ottenere considerevoli profitti illeciti, anche mediante il ricorso a diverse società collocate in tutto il territorio nazionale, a riprova – come nel caso del NOME – RAGIONE_SOCIALE sue significative capacità criminali e della sua spiccata spregiudicatezza, incompatibili con la mera occasionalità dei fatti e sottintendenti, piuttosto, la propensione criminosa dello stesso COGNOME – riscontrata, pure per
questi, anche alla luce della «vicenda riminese» – e la sua indifferenza alle conseguenze RAGIONE_SOCIALE proprie condotte illecite, con la conseguente sussistenza dell’effettiva e attuale probabilità della commissione di condotte reiterative di illeciti similari a quelli per i quali si stava procedendo.
Tale motivazione – la quale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, si fonda sulla valutazione della gravità non dei titoli dei reati ma dei fatti nelle loro concrete manifestazioni -, in quanto non integra alcuna violazione di norme di legge, alla stregua anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e in quanto priva di illogicità, tanto meno manifeste, si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, del resto, né il fatto che i crediti fittiziamente creati fossero stati sequestrati né gli asseriti fa dell’«assenza di violazioni e regolare comportamento tenuto anche allorquando totalmente rimesso alla propria autodisciplina» risultano di per sé idonei a escludere il ravvisato pericolo di recidiva, come desunto dagli elementi che si sono riassunti sopra, e a rendere, perciò, illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata riguardo allo stesso pericolo e alla necessità di fronteggiarlo mediante la concorrente applicazione RAGIONE_SOCIALE disposte misure coercitiva e interdittive.
Né, infine, risulta illogico che il Tribunale di Brescia, al fine di valutare propensione criminosa dell’COGNOME, abbia considerato anche la vicenda cautelare del procedimento che si era svolta davanti al Tribunale di Rimini, senza che, peraltro, contrariamente a quanto appare ritenere il ricorrente, tale considerazione abbia comportato che lo stesso Tribunale di Brescia non abbia autonomamente valutato, nei termini che si sono detti, la sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari con specifico riferimento alle circostanze dei fatti per i quali stava procedendo.
Il ricorso di NOME COGNOME.
I due motivi di ricorso – i quali, attenendo entrambi alla contestazione della ritenuta sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
Richiamati, ancora una volta, i principi, affermati dalla Corte di cassazione, che si sono esposti esaminando il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME (punto 1.4), si deve rilevare come il Tribunale di Brescia, con riguardo alla posizione del AVV_NOTAIO, abbia evidenziato come questi, nella veste di rappresentante legale di una RAGIONE_SOCIALE società coinvolte nella frode, non avesse esitato a sfruttare l’attività della propria impresa per lucrare gli illeciti profitti discendenti dalla frode, assumendo, anzi, egli stesso l’iniziativa criminale, elementi, questi, ritenuti, anche per COGNOME, incompatibili con la mera occasionalità dei fatti e sottintendenti, piuttosto, la propensione criminosa dello stesso COGNOME e la sua indifferenza alle
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conseguenze RAGIONE_SOCIALE proprie condotte illecite. Ciò che si doveva reputare comprovare l’effettiva e attuale probabilità della commissione di condotte reiterative di illecit similari a quelli per i quali si stava procedendo, tenuto anche conto del fatto che, poiché al momento dell’intervenuto sequestro i crediti fittiziamente creati non erano stati monetizzati, ciò avrebbe potuto a maggior ragione indurre il COGNOME a ricercare nuove fonti illecite di guadagno.
Anche tale motivazione non integra alcuna violazione di norme di legge e risulta priva di manifeste illogicità, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, del resto, il fatto sul quale il COGNOME ripetutamente insiste – che egli, nel lasso di tempo fino al sequestro dei crediti che erano presenti nel suo cassetto fiscale, non li avesse ceduti né compensati, non risulta di per sé idoneo a escludere il ravvisato pericolo di commissione di altri reati della stessa specie, avendo, anzi, il Tribunale di Brescia ritenuto, in modo non manifestamente illogico, come si è detto, che proprio il fatto che, al momento del sequestro, i suddetti crediti non fossero stati monetizzati, avrebbe potuto indurre il COGNOME a ricercare nuove fonti illecite di guadagno commettendo reati della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo, con la conseguente necessità di fronteggiare tale pericolo mediante la concorrente applicazione RAGIONE_SOCIALE disposte misure coercitiva e interdittiva.
Pertanto, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma, 1, cod. proc. pen., al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/02/2024.