Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27107 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27107 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 23/2/2024 del Tribunale di Napoli
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori del ricorrente, che hanno chiesto di accogliere il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 febbraio 2024 il Tribunale di Napoli ha confermato il provvedimento emesso il 23 gennaio 2024 dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale, con cui a NOME COGNOME è stata applicata la misura
cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui agli artt. 110, 31 quater cod. pen..
Avverso l’ordinanza del Tribunale l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizi della motivazione, per non avere il Giudice del riesame dato risposta alle deduzioni difensive e per aver ritenuto che l’indagato avesse effettuato la conversazione con il fratello il 19 maggio 2023, pur essendo già rimosso dalla carica, mentre egli, seppur di minoranza, rivestiva ancora la pubblica funzione, utile alla reiterazione. A riprova dell’insussistenza delle esigenze cautelari deporrebbe il rilievo che la vicenda parallela, nella quale era rimasto coinvolto, relativa a una «illecita dazione», aveva dato luogo alla «ennesima attività di ricerca, operata a mezzo del solito sequestro di telefono, senza, tuttavia, sfociare nell’esercizio di azione cautelare/penale».
2.2. Violazione di legge e vizi della motivazione, per essere state ritenute sussistenti le esigenze di carattere probatorio, pur essendo scaduto il termine delle indagini ed essendo venuta meno la carica politica. La dedotta pericolosità, manifestata nonostante la consapevolezza delle indagini, sarebbe argomento apparente, perché smentito dalla data da cui vi sarebbe stata conoscenza delle indagini, ossia il 24 maggio 2013, epoca del primo sequestro.
Il 15 maggio 2024 sono stati depositati motivi nuovi, con cui si è documentata l’intervenuta ricezione dell’avviso di conclusione delle indagini, al fine di ritenere insussistente il pericolo di inquinamento probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il Tribunale ha diffusamente motivato sui presupposti in base ai quali ha ritenuto esistenti i pericoli di reiterazione di reati della stessa indole e inquinamento probatorio.
Quanto al pericolo di reiterazione di reati, il Tribunale ha evidenziato che le indagini svolte avevano dimostrato che, nonostante «l’esito sfavorevole delle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Cicciano», il ricorrente e l’altro indagato godevano «tuttora di un particolare peso politico che esula dalla natura e dall’attualità della carica specificamente rivestita e che consentirebbe loro di penetrare tuttora all’interno della macchina amministrativa e di permeare il tessuto politico, condizionandone l’azione». Ciò è stato desunto, in particolare,
dal contenuto di alcune intercettazioni nonché dai persistenti rapporti intrattenuti con il responsabile dell’ufficio tecnico comunale, con cui il ricorrente aveva già gestito – e continuava a gestire – affari illeciti e, soprattutto, dall’inizia assunta personalmente dal ricorrente, di «agganciare» il neoassessore con delega ai lavori pubblici all’insaputa degli altri complici, per «portarlo dalla lor parte».
A fronte di siffatta motivazione è evidente che la deduzione difensiva secondo cui il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il ricorrente non rivestisse alcuna carica politica, atteso che egli era all’opposizione – non ha valore dirimente. Il Tribunale, con le affermazioni sopra riportate, ha inteso rimarcare che il ricorrente era capace di condizionare l’attività amministrativa, piegandola al perseguimento di interessi individuali, a prescindere dalla carica rivestita nell’attualità dal ricorrente o dalle sue dimissioni dalla carica.
Così argomentando, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui, nei reati contro la Pubblica amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole non è di per sé impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, purché il giudice fornisca adeguata e logica motivazione sulle circostanze di fatto che rendono probabile che, pur in una diversa posizione soggettiva, l’agente possa continuare a commettere reati offensivi della stessa categoria di beni giuridici (Sez. 6, n. 1238 del 3/12/2019, COGNOME, Rv. 278338 01; Sez. 6, n. 18770 del 16/04/2014, COGNOME, Rv. 259685 01; Sez. 6, n. 9117 del 16/12/2011, COGNOME, Rv. 252389 – 01).
Compito, questo, assolto dal Tribunale di Napoli, che ha adeguatamente motivato sulla capacità del ricorrente di «tessere una fitta rete di rapporti clientelari che gli consentirebbero comunque di condizionare l’attività amministrativa piegandola al perseguimento di interessi individuali», a prescindere dalla sua diversa posizione nell’attualità.
Di contro, il ricorrente si è limitato a svilire la portata degli element valorizzati e a proporre una diversa valutazione degli stessi, non consentita in questa sede.
In tema di impugnazione delle misure cautelari personali, infatti, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di
merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628 – 01; Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178 – 01).
Sfugge a ogni rilievo censorio anche la motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine al pericolo di inquinamento probatorio.
Il Tribunale ha desunto tale pericolo dalla capacità del ricorrente di far fronte alle difficoltà o agli ostacoli attraverso la manomissione di atti, ovvero l’alterazione di documenti. Emblematica in tal senso era l’adozione di una delibera di Giunta del tutto falsa, in quanto non preceduta né da un’adunanza né da un dibattito né da una manifestazione di voto.
Deve aggiungersi che nessun rilievo può avere l’intervenuta ricezione dell’avviso di conclusione delle indagini, menzionato nella memoria depositata.
Al riguardo questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di misure cautelari personali, la valutazione del pericolo di inquinamento probatorio va effettuata con riferimento sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già individuate, a nulla rilevando il fatto che le indagini siano in stato avanzato ovvero risultino già concluse, atteso che l’esigenza di salvaguardare la genuinità della prova non si esaurisce all’atto della chiusura delle indagini preliminari (Sez. 2, n. 3135 del 9/12/2022, Forte, Rv. 284052 – 01; Sez. 6, n. 13896 dell’11/02/2010, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 246684 GLYPH 01; Sez. 2, n. 3900 del 12/06/1997, Gava, Rv. 209019 – 01).
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 6/6/2024