Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14575 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14575 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME nato a Milano il 29/09/1971 avverso l’ordinanza del 16/10/2024 del Tribunale della Libertà di Milano; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, come da requisitoria in atti; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi ricorso depositati ed ha insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano ha rigettato la richiesta di riesame proposta da COGNOME NOME avverso l’ordinanza applicativa degli arresti domiciliari, emessa nell’ambito della più vasta indagine inerente, tra l’altro, l’associazione a delinquere ipotizzata per il controllo delle attività illecite correlate alla gesti dello stadio INDIRIZZO di Milano e, in particolare, della curva nord dell’Inter.
COGNOME è indagato, in concorso con altri, per i delitti di fabbricazione e possesso di una falsa carta d’identità, dallo stesso commissionata con l’inserimento di una data di nascita falsificata nell’anno (ovvero 1977, in luogo di quella reale, 1971), e di plurimi accessi a vari sistemi informatici (Ced Interforze,
RAGIONE_SOCIALE, PRA), con le aggravanti di aver commesso il fatto su sistemi informatici riguardanti l’ordine pubblico e da parte di pubblico ufficiale.
Lamenta l’indagato il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in ordine alle esigenze cautelari.
Assume che, come desumibile dalle intercettazioni richiamate dalla Procura della Repubblica, la falsificazione del documento sarebbe stata commissionata solo per celare la propria età alla famiglia della moglie, ragione estranea ai reati di cui alla complessa indagine in oggetto.
E, come rilevato dalla stessa pubblica accusa, a parte l’accesso allo “SDI” (“Sistema di Indagine”) avvenuto tramite l’ispettore di Polizia, NOMECOGNOME e finalizzato a conoscere in anticipo il contenuto di un atto che la Polizia Locale gli aveva comunicato di dover notificare (relativo – come sospettato dal ricorrente ad un sinistro stradale), gli accessi abusivi alle banche dati miravano semplicemente a conoscere il nominativo dei proprietari delle auto parcheggiate nelle autorimesse gestite dallo COGNOME: dunque, tutti comunque per ragioni estranee agli eventi criminali oggetto di indagine e, in definitiva, per ottenere informazioni a riservatezza limitata.
Pur mosso da intenti riprovevoli e futili, il ricorrente avrebbe commesso reati dal modesto disvalore, conseguendo informazioni che erano o teoricamente a disposizione del pubblico, previo pagamento di una modesta somma, o solo in anticipo rispetto ai normali tempi (quanto alla notifica anzidetta).
Dunque, i reati erano estranei al più grave contesto delinquenziale oggetto di investigazione, rispetto al quale, come desumibile dal capo di imputazione n. 8, lo COGNOME era persona offesa.
Illogica sarebbe la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati tale da necessitare la misura detentiva adottata nei riguardi del ricorrente, soggetto incensurato e semplicemente portato dal lavoro a contatto con contesti delinquenziali organizzati, a cui era estraneo. Inoltre, il tempo trascorso e i suoi interrogatori collaborativi (al punto da essere secretati) rendevano non più attuale i precedenti rapporti con tali contesti e col mondo delinquenziale degli ultras interisti.
Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, gli accorgimenti adottati dall’indagato per evitare di essere intercettato (quali l’installazione di particola applicazioni di messaggistica istantanea, come Telegram, lo spegnimento del telefono o l’allontanarsi da esso) erano del tutto neutri: legittima essendo la volontà di mantenere riservate le proprie conversazioni, specie se si sospetti di essere intercettati, non integrando ciò un tentativo di inquinamento delle indagini.
Analogamente, legittimo e non inquinante era l’essersi rivolto a un avvocato tributarista per conformare alla legge la situazione contabile di società riconducibili alla sua famiglia, senza alcuna evidenza dell’esistenza di reati fiscali o altri delit da celare.
Così come non illecita o inquinante era la manifestata volontà di costituire nuove società o consorzi per proseguire nelle proprie attività lecite, facendo fronte al clamore mediatico devastante sulla vita delle società coinvolte nell’indagine, anche solo in termini di credibilità nei riguardi delle banche.
Quanto alla “frenetica” ricerca di informazioni riguardanti le indagini a proprio carico, la condotta sarebbe conseguenza del fisiologico stato confusionale e di paura in capo allo COGNOME non appena scoperto di essere indagato, senza che ciò denoti alcuna volontà di inquinamento probatorio.
In definitiva, illogicamente era stato ritenuto tale pericolo di inquinamento, in ogni caso da escludere per il tempo trascorso dall’applicazione della misura e per gli interrogatori resi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per diversi profili inammissibile, è nel complesso infondato.
In tema di misure cautelari personali, in sede di legittimità ci si deve limitare a verificare se i giudici di merito abbiano dato adeguato conto, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, delle ragioni che hanno indotto ad affermare, a carico dell’indagato ex art. 292 cod. proc. pen., la gravità del quadro indiziario e la sussistenza delle esigenze cautelari in rapporto alla pericolosità dell’interessato e alla misura adeguata a fronteggiarla (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 21582801; confronta, ex multis, Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, Rv. 275851-01).
Ne consegue che è inammissibile il controllo su quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828-01; si veda anche, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976-01), esulando dal controllo di legittimità il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Rv. 269438-01). Il controllo insomma va operato, in positivo, sulla sussistenza di ragioni giuridicamente significative a sostegno della decisione presa e, in negativo, sull’assenza di illogicità evidenti o contraddittorietà o carenze motivazionali (Sez. 2, n. 27866 del
17/06/2019, Rv. 276976-01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Rv. 248698-01).
Nel caso di specie, il pericolo di inquinamento probatorio è stato desunto, tra l’altro, dai seguenti elementi (pagine 46-47 provvedimento impugnato):
l’essersi il ricorrente attivavo per avere notizie sull’indagine, acquisendo consapevolezza che fossero oggetto di esse le sue connessioni con la criminalità organizzata;
-l’aver invitato, conseguentemente, moglie e sorella a installare applicazioni di messaggistica non intercettabili (come “Telegram”);
-le precauzioni prese e suggerite a chi gli era vicino al fine di eludere le intercettazioni (in particolare, quelle di spegnere il cellulare o di lasciarl lontano dal luogo in cui si parlava);
-l’accordo con COGNOME NOME (che raccordava l’indagato con esponenti della ‘ndrangheta) sulla versione da fornire in ordine ai rapporti con COGNOME NOME (del cui spessore criminale emergeva la piena consapevolezza, in capo all’indagato);
-i persistenti collegamenti coi medesimi ambienti criminali ed interessi nella gestione dei parcheggi, seppur attraverso società diverse, rispetto a quelle operanti in passato;
i contatti con soggetti, anche istituzionali, per ricevere informazioni sulle indagini in corso;
-i vari accessi a sistemi informatici anche delicati (quali lo SDI), mediante persone appartenenti alle Forze dell’ordine.
Trattasi di motivazione del tutto logica, da cui il Tribunale del riesame ha desunto, a ragion veduta, la “particolare spregiudicatezza” dell’indagato nel tenere condotte insidiose al fine di eludere o comunque neutralizzare le investigazioni in corso e inquinare il quadro probatorio.
Non meno logica risulta, poi, la motivazione in relazione al pericolo di reiterazione dei reati.
Infatti, secondo l’ordinanza impugnata COGNOME era ben consapevole sia dello spessore criminale del COGNOME, protetto da COGNOME NOME, a sua volta in stretti rapporti con COGNOME NOME, sia della loro vicinanza alla ‘ndrangheta (in particolare, si richiamano nel provvedimento impugnato, quanto all’inserimento nella ‘ndrangheta di quest’ultimo, le ampie parti dell’ordinanza cautelare emessa): sicché le dazioni che lo COGNOME garantiva a tali personaggi erano finalizzate a godere degli appoggi e della fondamentale protezione criminale da costoro offertagli.
Al riguardo, significativamente il Tribunale del riesame richiama la similitudine fatta dallo stesso COGNOME tra Caminiti e “lo stalliere di Berlusconi”,
ovvero COGNOME NOMECOGNOME per rimarcarne il similare ruolo di protezione da costoro svolto, e lo stretto legame del ricorrente col COGNOME, comprovato dall’essersi egli
rivolto proprio a questi per ottenere il falso documento d’identità.
Come correttamente ritenuto dall’ordinanza impugnata, emerge, insomma, uno stabile intreccio di cointeressenze criminali, nell’ambito del quale COGNOME
aveva dimostrato di sapersi muovere con abilità e che, dunque, rendeva particolarmente elevato il rischio di reiterazione dei delitti ipotizzati.
Così come lo stesso numero di accessi abusivi a sistemi informatici, tionché
la commissione di alcuni di essi quando il ricorrente (ad aprile e settembre 2024)
era pienamente consapevole dell’esistenza di indagini in corso, attestavano come gli stessi non avessero affatto carattere episodico, ma fossero destinati a ripetersi
nel tempo e, ancora, la “particolare pervicacia” dell’indagato nella reiterazione dei reati.
Quanto all’addotta collaborazione con gli inquirenti, è appena il caso di rimarcare come sia stato del tutto omesso, da parte ricorrente, qualsivoglia
specifica diretta a chiarire in che cosa essa si sia tradotta: laddove, per contro, il
Tribunale del riesame ha rimarcato come, in sede di interrogatorio di garanzia, il ricorrente si sia semplicemente avvalso della facoltà di non rispondere.
In definitiva, il Tribunale del riesame ha ben chiarito le ragioni per le quali indipendentemente dall’ipotetico (e qui neppure ben chiarito) ruolo di “vittima”, rispetto a taluna delle molteplici contestazioni ipotizzate nella vasta indagine de qua COGNOME sia da considerarsi non episodicamente coinvolto in essa, ma particolarmente contiguo e strettamente legato da indubbie cointeressenze criminali con soggetti di spicco in essa coinvolti, oltre che animato da intenti inquinatori del quadro probatorio: ragioni che giustificano ampiamente la permanente sussistenza delle richiamate esigenze cautelari.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 11/02/2025