Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34834 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34834 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Premosello-Chiovenda il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 03/12/2024 del Tribunale della Libertà di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni rassegnate dal difensore del ricorrente che, riportandosi ai motivi, ne ha chiesto l’accogliemento;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 dicembre 2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro, pronunciando sul riesame proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro il 14 ottobre 2024, applicativa della misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui ai capi 1), 2), 51), 74), 75), 77) e 78), rispetto ai ha ritenuto così la gravità indiziaria come le esigenze di cautela, la ha annullata limitatamente ai capi 1) (partecipazione alla associazione di cui all’art. 416-bis cod.pen.) e 51) (reato fine di cui all’associazione contestata al capo 2, di cui agli artt. 74 dPR 309/90 e 416-bis.1. cod.pen.) di provvisoria incolpazione, confermandola nel resto.
COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso, per l’annullamento dell’ordinanza di che trattasi, affidata a tre motivi.
2.1. Col primo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett e), cod.proc.,pen., vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione al sodalizio di cui al capo 2.
Il Tribunale avrebbe, secondo prospettazione difensiva, affermato la partecipazione del ricorrente al sodalizio senza indicare gli elementi indiziari idonei a dimostrarla, essendo quelli rinvenibili in atti idonei, al più, a integrare la ba indiziaria relativa ai contestati reati fine.
2.2. Col secondo motivo lamenta, ex art. 606, comma 1, lett e), cod.proc.pen., vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1. cod.pen. .
2.3. Col terzo motivo lamenta ex art. 606, comma 1, lett e), cod.proOizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, avuto riguardo al tempo trascorso dalla commissione del fatto (due anni) e al lungo periodo di stato detentivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche
quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4 n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; conformi, Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178).
Questo perché il controllo di legittimità che la Corte è chiamata ad effettuare consiste nella verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelt cautelare nonché dell’assenza nella motivazione di evidenti illogicità ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere i connotati indicati nell’art. 606 lett. e), e cioè riferirsi alla Mancan della motivazione o alla sua manifesta illogicità, risultante dal testo de provvedimento impugnato, così dovendosi delimitare l’ambito di applicazione dell’art. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimità non può spingersi oltre, coinvolgend giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilità e la capacità dimostrativa delle fonti di prova.
Il controllo della Corte, quindi, non può estendersi a quelle censure che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Nello scrutinio dei motivi di ricorso non si può prescindere, inoltre, dalla distinzione tra l’accertamento della responsabilità e quello, rilevante in questa sede, della gravità indiziaria.
Invero, la valutazione affidata al giudice in tema di misure cautelari personali, vincolata al rispetto dei requisiti di gravità indiziaria di cui all’art. 273 cod. pen., non coincide con quella finalizzata all’accertamento della responsabilità sulla base delle emergenze probatorie in sede dibattimentale, essendo la prima caratterizzata da esigenze interinali (cautelari, appunto) che postulano la seria probabilità, ma non necessariamente la certezza della commissione del reato da parte della persona sottoposta ad indagini; e la seconda, invece, legata alla necessità che la colpevolezza dell’imputato venga affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Con un consolidato orientamento giurisprudenziale, cui questo collegio, intende dare continuità, si è da tempo sostenuto come il termine “indizi”, adoperato dall’art. 273, comma 1, cod. proc. ten., abbia una valenza completamente diversa da quella che il medesimo termine assume nell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.. Infatti, mentre in tale ultima norma la scelta lessicale operata dal legislatore trova la sua evidente ragion d’essere nell’esigenza di distinguere tra prove ed indizi (e soprattutto onde stabilire le condizioni in cui questi ultimi possono, considerati nel loro complesso, assurgere a dignità di “prove” e giustificare, quindi, le affermazioni di colpevolezza), l’uso del termine indizi, nell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. non è in alcun modo riconducibile ad un’analoga distinzione, ma unicamente alla diversa natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che è richiesto ai fini dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve, quindi, parlarsi non di “prove”, ma sempre comunque di “indizi”, non essendovi altrimenti congruenza fra detta natura probabilistica del giudizio stesso ed i fondamenti ai quali quest’ultimo deve essere ancorato (Sez. 6, n. 4825 del 12/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203600; in senso conforme, ex multis Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, Dersziova, Rv. 210514, e Sez. 6, n. 2547 del 05/07/1999, COGNOME, Rv. 214930).
Va quindi ribadito che la pronuncia cautelare è fondata su indizi di reità, e tende all’accertamento di una qualificata probabilità di colpevolezza, non della responsabilità (Sez. U., n. 11 del 21/04/1995, COGNOME, Rv. 202002).
Ciò premesso tutti i motivi risultano inammissibili, i primi due, in particolare, quanto dietro lo ‘schermo’ del denunciato vizio di motivazione consistono, invero, in un tentativo di rileggere le prove indicate dal Tribunale a sostegno della decisione e delle quali, neppure, hanno dedotto il travisamento.
2.1. Meramente contestativi, il primo motivo indulge in una irragionevole rilettura del compendio indiziario (costituito da una pletora di intercettazioni, nella constatata presenza del ricorrente nella serra ove si coltivava la marijuana destinata alla trasformazione per la vendita al dettaglio, nella partecipazione alle operazioni di cessione della sostanza prodotta, nei contatti con gli altri soggetti impiegati nella serra medesima e coindagati -contatti peraltro contraddittoriamente negati-) del quale assume, immotivatamente, la inefficacia a comprovare la consapevole volontà del COGNOME di contribuire allo scopo dell’associazione; il secondo, pur a seguito della ammissione della efficienza di talune particolari condotte del fs;lastantuono ad accrescere i guadagni e la forza della ‘presunta’ RAGIONE_SOCIALE, adduce una riduttiva relazione personale tra il ricorrente e COGNOME, funzionale alla realizzazione di guadagni propri di ciascuno, isolatamente considerato.
2.2. Argomentazioni che, inammissibili per quanto significato al superiore § 1, al di là della intrinseca genericità, che già anche per questo motivo li confinerebbe nell’area della inammissibilità, non si confrontano con l’ampia e puntuale disamina della piattaforma indiziaria, svolta con perfetta aderenza alle risultanze investigative disponibili, da un lato, e secondo i canoni normativi e giurisprudenziali frutto di consolidato insegnamento di questa Corte, dall’altro, così risultando, anche sotto il profilo della aspecificità estrinseca, in via ulteri inammissibili.
2.3. Le argomentazioni in tema di partecipazione alla associazione risultano comunque manifestamente infondate in considerazione della ampia motivazione (cfr. pag. 10 e segg dell’ordinanza impugnata) circa la sussistenza dell’associazione di cui all’art. 74 dPR 309/90, sulla base del composito apparato indiziario (attività intercettiva valutata sulla scorta dell’attività di decodificaz del linguaggio, talora ermetico e gergale dei soldali, sempre criptico ed allusivo oltre che accorto in quanto improntato a cautela e prudenza, talaltra esplicito con riferimento alla materia degli stupefacenti; immagini estrapolate dai sistemi di video-sorveglianza installati presso i siti di interesse investigativo; atti relativ arresti e sequestri; risultanze della geo-localizzazione e relativi tracciamenti come da annotazioni di polizia giudiziaria in atti-); la ricostruzione della strategia ord dagli indagati per conferire una parvenza di liceità alla coltivazione della cannabis (indica e non sativa) nonostante l’apparenza di coltivazioni lecite esercitate da ditte individuali, costituite ad hoc, da parte di soggetti prestanome (tra cui anche l’odierno ricorrente), remunerati per l’assunzione di ogni responsabilità in caso di sequestro ed arresto; la attestata commercializzazione della marjuana così prodotta attraverso canali di vendita individuati in precise piazze di spaccio; la vendita di stupefacenti anche ‘pesanti’, attraverso una articolata rete di pusher, previa acquisizione di canali di rifornimento stabili ; la ricostruzione della inte organizzazione della soci etas sceleris, a struttura piramidale, con ruoli precisamente individuati, e basi logistiche per allocazione, coltura, deposito, custodia, manipolazione, preparazione ed occultamento dello stupefacente nel territorio di competenza, presso domicili, locali e luoghi di pertinenza dei promotori, organizzatori, fornitori e subfornitori, con attività approvvigionamento ad opera degli stessi organizzatori/promotori/associati, elementi tali da comprovare l’affectio societatis, tra gli altri, anche dell’odierno ricorrente, organico al gruppo sia in quanto direttamente coinvolto nella piantagione di Contrada Corazzo (fatto per cui era stato già condannato nel procedimento penale numero NUMERO_DOCUMENTO), sia in quanto implicato nelle dinamiche di rivendita del narcotico (come comprovato dalle condotte di detenzione di marijuana a fini di successiva rivendita compendiate nei capi 74), 75), 77) e 78) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
come espressamente e compiutamente dedotto nell’ordinanza a pag. 18 e seguenti dell’ordinanza) che comprovano il suo stabile impiego nelle attività connesse alla coltivazione -dall’impianto dei semi alla sistemazione dell’impianto di irrigazione e alloggiamento delle piante, alla manutenzione generale del sito all’essiccazione e pulitura delle infiorescenze- tutto come da prospettazione accusatoria.
2.3.1. Motivazione corretta, anche, quanto alla sussistenza della contestata aggravante.
Elemento circostanziale dal Tribunale affermato in coerenza con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui per la integrazione dell’aggravante in parola è necessario che l’attività illecita consenta di incidere sulle possibili uti da recare all’associazione avendo specificato questa Corte che «ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, la finalità agevolatrice perseguita dall’autore del delitto deve essere oggetto, onde evitare il rischio della riduzione dell’aggravante nella semplice contestualità ambientale, di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio» fini che possono m3istet coesistere con obiettivi egoistici dell’agente, quale quello della locupletazione personale nella specie riconosciuto. Elemento circostanziale, si precisa, nella specie ravvisato, con considerazione estensibili anche ai reati fine, in quanto l’aggravante è stata ritenuta «quantomeno nella sua declinazione soggettiva laddove l’attività di narcotraffico alla quale l’indagato è intrane consentiva di generare profitti illeciti finalizzati ad accrescere la forza economica, il prestigio criminale la capacità operativa della RAGIONE_SOCIALE, ribadendosi come tale aspetto rappresenti uno dei principali settori di operatività di tale RAGIONE_SOCIALE d RAGIONE_SOCIALE», di poi affermando, con riferimento alla specifica posizione dell’odierno ricorrente, che pur non essendo egli organico alla stessa RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE era certamente al corrente delle dinamiche mafiose sottese alle operazioni di narcotraffico e della caratura criminale di COGNOME NOME, sicché la collaborazione prestata in tale settore era ritenuta palese indice della condivisione dello specifico fine agevolativo a monte, argomentazione supportata dalla attenta disamina dei reati fine ascritti al ricorrente specificamente ai capi 74),75),77) e 78), nonché da elementi ulteriori in atti puntualmente indicati alle pagine da 17 in poi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4. A tanto deve soltanto aggiungersi, quale ulteriore causa di inammissibilità, la carenza di interesse al motivo secondo di ricorso, non incidendo il riconoscimento o meno della contestata aggravante sulla valutazione in tema di status libertatis del COGNOME.
Quanto, infine, al terzo motivo, lo stesso è da un lato assolutamente generico, meramente contestativo della corposa, corretta e logica motivazione resa dal Tribunale, e perciò inammissibile, dall’altro manifestamente infondato, avendo il Tribunale -in un caso di ricorrenza della doppia presunzione relativa di cui all’art. 275 cod.proc.pen.- comunque motivato la concreta sussistenza di esigenze di cautela di cui alla lettera c) dell’art. 274 cod.proc.pen. in considerazione dell specifiche modalità del fatto, della personalità del prevenuto, desunta, anche, dai precedenti penali -per reati contro il patrimonio, nonché in tema di stupefacenti e armi-, e caratterizzata, comunque, dai problemi di dipendenza dai quali è affetto, nonché dalla prosecuzione dell’attività illecita anche in costanza di detenzione domestica; e di quelle inerenti al pericolo di inquinamento probatorio: «va tenuto conto della accettata prassi degli indagati di intervenire nei procedimenti a proprio carico per alterare le prove nonché dei non elementari accorgimenti adottati per schermare all’esterno l’illiceità del proprio operato. Del resto tale osservazione vale ancor più per l’odierno ricorrente, attese la sua disponibilità ad assumersi responsabilità altrui e a utilizzare documentazione artefatta per mascherare la natura illecita delle operazioni associative. Tanto rende inapplicabili misure meno afflittive, compresi gli arresti domiciliari, sostenendo l’assoluta necessità d preservare le fonti di prova dalle azioni di soggetti che hanno già dimostrato disponibilità alla loro alterazione».
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod.proc.pen..
Così deciso in Roma il 7 aprile 2025
La Cons liera est.
Il Presidente