Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23885 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23885 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MITIOGLIO NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Firenze ha rigettato l’appello proposto, a norma dell’art. 310 cod. proc. pen., nell’interesse di NOME COGNOME, avverso l’ordinanza del 03/10/2023 della Corte di assise di Siena, a mezzo della quale è stata disattesa una istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, con applicazione del braccialetto elettronico, applicata alla ricorrente per i reati – commessi in concorso con NOME COGNOME– di cui agli artt. 575, 576 n. 1, cod. pen. (per l’omicidio volontario perpetrato in danno di NOME COGNOME, deceduta per asfissia da strangolamento, nel corso della rapina pluriaggravata di cui al capo che segue) e 628, primo e terzo comma nn. 3 bis e 3 quinquies cod. pen. (per la rapina pluriaggravata, perpetrata in danno della medesima vittima).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo i motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione di legge in riferimento all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., e mancanza di motivazione con riferimento alle specifiche ragioni per cui il Tribunale ha ritenuto inidonei gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Il Tribunale del Riesame ha totalmente omesso di spiegare il motivo per il quale le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte attraverso la diversa e meno afflittiva misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione di legge in riferimento all’art. 274 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione in ordine al pericolo di fuga.
Il Tribunale ha ritenuto ancora sussistente il pericolo di fuga motivando sulla base di intercettazioni telefoniche, risalenti tuttavia a periodo antecedente alla detenzione domiciliare della prevenuta, omettendo quindi di operare un giudizio di attualità delle esigenze cautelari alla luce del mutato quadro cautelare. I Giudici hanno inoltre del tutto svilito l’importanza dell’episodio nel quale la detenuta aveva spontaneamente segnalato alle Autorità il mal funzionamento del braccialetto elettronico.
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione di legge in riferimento all’art. 274 cod. proc. pen., e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione in ordine al pericolo di inquinamento probatorio e di reiterazione criminosa.
Il Tribunale, nel richiamare considerazioni già espresse nei precedenti provvedimenti cautelari, omette di motivare analiticamente i ritenuti pericoli alla luce di esigenze concrete ed attuali, alla luce dei nuovi fatti evidenziati dalla difesa; in particolare nell’impugnata ordinanza non emerge alcun chiarimento sul pericolo, attuale e concreto, di reiterazione criminosa o di inquinamento probatorio.
2.3.1. Con specifico riferimento al pericolo di inquinamento probatorio, la Difesa aveva evidenziato l’importante contributo offerto dall’imputata, che aveva reso dichiarazioni autoaccusatorie in merito ai fatti sub iudice, come confermato da un operante in sede dibattimentale. Tale elemento avrebbe dovuto indurre i Giudici della cautela a ritenere insussistente il pericolo di inquinamento probatorio.
Il Tribunale ha invece ritenuto sussistente detto pericolo sulla base delle intercettazioni captate nel periodo in cui la donna si trovava agli arresti domiciliari (con divieto di comunicazione): eppure, osserva la Difesa, anche le comunicazione captate mostrano come in realtà la COGNOME non abbia mai tentato di contattare terzi soggetti per influenzarne la testimonianza né abbia mai concordato con gli altri imputati una versione dei fatti comune.
2.3.2. Quanto al pericolo di reiterazione criminosa, la Difesa aveva rappresentato sia la decorrenza del tempo trascorso in custodia cautelare, sia come il periodo di carcerazione avesse avuto sull’imputata un effetto dissuasivo, come docunnentalmente comprovato in relazione all’attività di formazione e di istruzione avviata. Tali elementi non sono stati minimamente valutati dai Giudici della cautela che si sono limitati a genericamente ritenere sussistente il pericolo di recidivanza, senza argomentare, se non appunto genericamente, su quando dedotto dalla difesa.
Il Tribunale ha altresì completamente omesso di fornire una motivazione in ordine alla rilevanza del tempo trascorso in detenzione ai fini dell’affievolimento delle esigenze cautelari, e della valutazione della riattualizzazione dei presupposti della misura.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha depositato requisitoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che presenta vari tratti di inammissibilità, è nel complesso infondato.
La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco interpretativo tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
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In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugNOME. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01a le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 255460 – 01).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
In materia di provvedimenti de libertate la Corte di Cassazione non ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure, poiché sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito.
Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugNOME per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determiNOME, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fin giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Rv 269885).
3. Il primo motivo è infondato.
Va, al riguardo, ribadita la consolidata giurisprudenza della Corte secondo la quale la misura cautelare degli arresti domiciliari con la prescrizione dell’utilizzo del mezzo
elettronico di controllo degli eventuali spostamenti dell’indagato non si caratterizza per essere un’autonoma misura cautelare ma è solamente una specifica modalità di applicazione della misura degli arresti domiciliari (Sez. U , n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266652; Sez. 2, 16 febbraio 2015, n. 6505).
Da ciò deriva che, laddove il giudice della cautela rilevi che, per effetto dell’invariato quadro cautelare, la misura custodiale intramuraria si riveli essere la sola adeguata alla tutela delle esigenze di cui all’art. 274 cod. proc. pen., non vi è a carico del medesimo giudice alcun onere motivazionale per valutare se l’eventuale applicazione dei mezzi di controllo elettronico potrebbe rendere o meno idonea anche la più blanda misura della custodia domiciliare, sicché non può dirsi omissiva la ordinanza che non prenda posizione alcuna sul punto.
Peraltro il Tribunale ha evidenziato come la RAGIONE_SOCIALE, alla quale era stato applicata, con ordinanza del GIP del 21/02/2023, la misura della custodia domiciliare, avesse immediatamente disatteso le prescrizioni accessorie imposte del divieto di comunicare con persone diverse dalle coabitanti, avendo ella intrattenuto numerose conversazioni con il compagno NOME COGNOME (con il quale poteva comunicare esclusivamente per le questioni inerenti la comune responsabilità genitoriale), nonché utilizzato i socal network per mantenere i contatti con terzi; ha parlato con diversi soggetti attraverso l’utenza della madre convivente, nonché ha utilizzato un’utenza che la madre aveva attivato e messo a disposizione della figlia.
I motivi secondo, terzo e quarto, con i quali la ricorrente censura l’impugnata ordinanza sotto il profilo della ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sono inammissibili in quanto manifestamente infondati, nonché reiterativi di doglianze già avanzate in sede di gravame e decise dal Tribunale con motivazione congrua e non illogica.
4.1. In ordine al pericolo di fuga, il Tribunale ha richiamato le conversazioni captate tra la NOME e la madre (trascritte nelle parti rilevanti a pag. 6 dell’impugnata ordinanza), nelle quali l’indagata esplicitamente riferisce l’intenzione di allontanarsi dall’Italia (unitamente alla figlia NOME), «per sfuggire all’esecuzione di una pena di prevedibile lunga durata».
Il ricorso è sul punto generico ed aspecifico: va ricordato a tale proposito che in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza di un travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e sempre che la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 8/03/2012, Asaro, Rv. 252190 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018,
Di Maro, Rv. 272558 – 01). Né l’argomento per il quale la donna, nei mesi successivi alla captazione delle conversazioni, durante i quali si trovava agli arresti donniciliari, abbia mantenuto un corretto comportamento elide il pregnante significato che, in modo non illogico, il Tribunale ha ascritto alla manifestazione di una volontà di allontanamento dall’Italia (che peraltro richiedeva alcuni necessari passaggi burocratici, quali l’ottenimento del rinnovo dei documenti della figlia NOME). Del pari il Tribunale, rispondendo a specifica censura, ha ritenuto “neutro” il comportamento serbato dalla RAGIONE_SOCIALE relativo alla segnalazione da parte della donna alle forze di polizia di un malfunzionamento del braccialetto elettronico, in quanto non univocamente dimostrativo del fatto che l’indagata avesse desistito dal proposito di allontanarsi dall’Italia.
4.2. Del tutto generico ed aspecifico è il motivo inerente la ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare dell’inquinamento probatorio.
Il Tribunale (pag. 5) ha infatti ricordato come la COGNOME, quando si trovava agli arresti domiciliari ed in violazione delle relative prescrizioni, abbia continuato «a tessere rapporti con persone, come l’COGNOME, coinvolte nel medesimo procedimento, o che potevano fornirle utili informazioni, come l’amica COGNOME NOME», osservando come «il tema delle conversazioni intrattenute con detti soggetti smentisce l’asserto difensivo second cui sarebbe del tutto avulso dalla vicenda giudiziaria nella quale l’imputata è implicata».
4.3. Quanto al pericolo di recidivanza, il Tribunale ha, con motivazione congrua e non illogica, ritenuto che gli argomenti rappresentati dalla Difesa in sede di appello, non fossero idonei a fondare un giudizio di affievolimento dell’esigenza di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.: ha in particolare sottolineato la personalità della ricorrente, refrattaria alle regole e al rispetto di esse (come emerge non solo dalle violazioni alla cautela, ma anche dalle sanzioni disciplinari in ambito inframurario) ricordando anche come, nel corso di una conversazione, l’indagata avesse pesantemente minacciato la nuova compagna dell’COGNOME, a dimostrazione della sua indole violenta.
Del tutto logicamente il Tribunale ha quindi concluso (pag. 5) che «tali conversazioni evidenziano una personalità caratterizzata dal disprezzo delle regole e delle leggi mentre gli argomenti che ne hanno formato oggetto, avvalorano la permanenza del pericolo per la acquisizione e genuinità della prova e del pericolo d reiterazioni di reati della stessa specie di quello per cui si procede».
Irrilevante è infine stato ritenuto il decorso del tempo, peraltro, come sottolineato dal Tribunale, in assoluto esiguo.
La decisione dei Giudici della cautela risulta del tutto conforme all’insegnamento di questa Corte per cui “La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc.
pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo “Sez. 5 , n. 4950 del 07/12/2021 dep. 2022, Rv. 282865 – 01.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve pertanto essere respinto, e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà della ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario di riferimento, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 05/03/2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente