Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12751 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12751 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Paola il DATA_NASCITA avverso la ordinanza del 31/05/2023 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato, ex art. 309 cod. proc. pen., l’ordinanza del 6 aprile 2023 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro che, per quanto di interesse in questa sede, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere a NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziato del delitto di cessione illecita continuata di marijuana (capo 162), del delitto di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti del tipo hashish, marijuana è , cocaina, con l’aggravante della partecipazione di soggetto dedito all’uso di sostanze stupefacenti (capo 200), di un reato di
acquisto illecito di cocaina (lettere a del capo 228) e di due reati continuati di acquisto o cessione di cocaina (lettere a e b del capo 208 e capo 235), ritenendo applicabile la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere di cui al comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., operante in relazione al delitto associativo in quanto contemplato dal comma 3-bis dell’art. 51 cod. proc. pen.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidando le sue censure a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo.
Evidenzia il ricorrente che il Tribunale del riesame ha desunto l’esistenza della associazione capeggiata dal COGNOME ed operante nel territorio di Paola dalla legittimazione a trafficare in sostanze stupefacenti in quel territorio conferita dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre l’esistenza del reato associativo richiede la sussistenza di una serie di elementi (come la stabilità del vincolo tra i sodali, l’indeterminatezza del programma criminoso e l’esistenza di una struttura organizzativa) e prescinde dal rilascio di eventuali autorizzazioni da parte di altre associazioni criminali o dalla sussistenza di eventuali rapporti tra l’associazione in questione ed altre associazioni dedite al medesimo traffico.
In particolare, sostiene il ricorrente che la sussistenza del reato associativo non può discendere dalla esistenza della RAGIONE_SOCIALE e dal beneplacito concesso da questa al COGNOME, specie laddove si consideri che il Tribunale del riesame ha contraddittoriamente affermato che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non controlla il territorio di Paola, che è invece assoggettata al dominio della famiglia COGNOME.
Non è, quindi, possibile far discendere la sussistenza dei gravi indizi del delitto associativo dal contenuto delle conversazioni telefoniche dalle quali emergerebbe il suddetto beneplacito.
Quanto all’esistenza di una cassa comune dell’associazione, la motivazione del provvedimento impugnato, sostiene il ricorrente, è insufficiente, non avendo fornito risposta ai rilievi contenuti nella memoria depositata all’udienza innanzi al Tribunale del riesame, limitandosi a richiamare quanto già affermato nell’ordinanza genetica, che a sua volta rimandava al contenuto della richiesta cautelare.
In quest’ultima, tuttavia, si afferma che alla cassa comune veniva riversato solo il prezzo di acquisto della sostanza stupefacente, al netto dei guadagni
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personali che i singoli spacciatori trattenevano per sé; conseguentemente gli utili derivanti dallo spaccio non confluivano nella cassa comune.
Dalla lettura delle conversazioni telefoniche intercettate non emerge, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale del riesame, che le somme consegnate dagli indagati al COGNOME costituissero il ricavato dell’attività di spaccio, piuttosto che il pagamento del prezzo della sostanza stupefacente da essi acquistata in vista di una successiva, autonoma ed eventuale sua ulteriore cessione a terzi.
La conversazione di cui al progressivo 4889 r.i.t. 947/19 risulta l’unica dalla quale è stata tratta la conclusione della esistenza di una cassa comune e di una ripartizione di utili tra gli spacciatori, sulla base di una interpretazione che colli con i criteri di particolare rigore cui dovrebbe ispirarsi la valutazione dei colloqu nei casi di c.d. droga parlata.
Peraltro, detta conclusione si pone in contrasto con quanto affermato alla pagina 10 del provvedimento impugnato, in cui il Tribunale ammette che «COGNOME NOME, nella veste di capo-organizzatore, acquista all’ingrosso una cospicua partita di stupefacente e la ripartisce in dosi ai vari associati-venditori stabilendo il prezzo e cedendo a credito, con saldo del prezzo all’avvenuto smercio della dose», cosicché la motivazione risulta manifestamente illogica e contraddittoria, poiché dapprima sostiene che i proventi dell’attività di spaccio vengono consegnati nelle mani del COGNOME e poi afferma che egli riceve solo il prezzo della sostanza da lui in precedenza ceduta a credito ai singoli rivenditori.
Ogni rivenditore, quindi, opera in maniera individuale ed autonoma, nel proprio esclusivo interesse, senza che ricorra l’affectio societatis.
Il ricorrente ammette la validità del principio, affermato da questa Corte di cassazione (Sez. 3, n. 30410 del 16/04/2019, Somma, non massimata) e richiamato dal Tribunale, secondo il quale ai fini della configurabilità del delitto d associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è sufficiente l’esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall’interesse ad immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo invece di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili che i singoli partecipi, fornitori ed acquirent propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attività criminale, ma evidenzia che nel caso di specie il Tribunale del riesame ha fatto discendere la sussistenza dell’associazione anche dalla esistenza di una cassa comune e della ripartizione degli utili tra gli associati sulla base di un appara argomentativo insufficiente, illogico e contraddittorio.
Nella ricostruzione dei ruoli dei singoli associati sono stati riportati, con l tecnica del «copia ed incolla», interi stralci dell’imputazione provvisoria e della
ordinanza genetica, omettendo di indicare gli specifici argomenti che hanno portato il Tribunale a condividere le conclusioni alle quali era pervenuto il Giudice per le indagini preliminari, cosicché la motivazione risulta meramente apparente.
Con i motivi di riesame, in particolare, era stato dedotto che tutti i pretesi partecipanti all’associazione si limitavano a spacciare la sostanza al minuto, cosicché tra di essi non vi era una distinzione di ruoli e funzioni o turnazioni di orari e mansioni.
Nemmeno dall’ordinanza emerge la ricorrenza degli altri elementi che caratterizzano un’associazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico per la partecipazione all’associazione criminale e per gli altri reati a lui ascritti.
Il Tribunale del riesame ha affermato che il COGNOME, dedito al consumo di stupefacenti, era solito acquistare tali sostanze dal COGNOME e che dalle conversazioni intercettate emerge che il COGNOME ha restituito al COGNOME somme di denaro che risultano «piuttosto compatibili» con l’attività di spaccio e che in una conversazione intercettata emerge il ruolo di spacciatore del COGNOME, in quanto il COGNOME lo richiama all’ordine, pretendendo da lui una maggiore affidabilità.
Il Tribunale del riesame non ha, tuttavia, indicato quali sarebbero dette conversazioni, rendendo impossibile ricostruire il ragionameni:o logico-giuridico da esso seguito. Anche laddove si afferma che le somme di denaro consegnate dal COGNOME al COGNOME non appaiono compatibili con il mero acquisto della sostanza da destinare al proprio consumo personale, ma appaiono collegate ad una sua attività di spaccio, il Tribunale non indica quali parametri abbia utilizzato per pervenire a siffatta conclusione.
Il tenore delle conversazioni intercettate risulta ambiguo e comunque tale da non potersi desumere l’adesione del ricorrente all’associazione criminale e neppure viene fornita adeguata motivazione sulla interpretazione delle stesse conversazioni.
Neppure il Tribunale del riesame ha motivato sulla legittimità delle intercettazioni o sulle modalità del riconoscimento del COGNOME quale partecipante ai dialoghi intercettati.
Il Tribunale non ha dato risposta al motivo di riesame con il quale si contestava la attribuzione al COGNOME del soprannome «click·click» che viene utilizzato dai coindagati COGNOME e COGNOME in una loro conversazione intercettata e che il ricorrente asserisce essere utilizzato per identificare il fratello NOME
NOME, anche lui assuntore di sostanze stupefacenti; anche nella richiesta cautelare si afferma che il soprannome viene utilizzato per indicare NOME COGNOME e comunque nelle varie conversazioni alle quali partecipa il ricorrente, quest’ultimo viene chiamato dai suoi interlocutori con il nome di battesimo, NOME, e non con il soprannome «click-clic:k», il che vale a confermare che questo non è il suo soprannome e comunque rende evidente l’onere di motivare sul punto, non assolto dal Tribunale.
Anche in relazione ai reati satelliti, l’ordinanza del Tribunale è priva di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Con riguardo alle cessioni contestate al capo 162), il ricorrente evidenzia che le conversazioni intercettate hanno significato ambiguo ed in molte di esse si fa riferimento a sacchetti di cemento e colla o ad opere edili, cosicché, svolgendo effettivamente l’interlocutore NOME COGNOME l’attività di muratore, non può da tali termini desumersi con certezza il riferimento a sostanze stupefacenti.
Nell’ordinanza del Tribunale del riesame non viene data risposta a tale rilievo.
Quanto ai reati di cui alle lettere a) e b) del capo 208), i gravi indizi vengono desunti da conversazioni intercettate dalle quali emergerebbe che il COGNOME ha in passato consegnato sostanza stupefacente al COGNOME che non avrebbe ancora provveduto a saldare il suo debito.
Da tali conversazioni non si comprende perché tali debiti non sarebbero collegabili a prestiti ricevuti o perché la sostanza eventualmente ceduta dovrebbe essere stata dal COGNOME destinata allo spaccio anziché al suo consumo personale, essendo incontestata la sua qualità di assuntore di sostanze stupefacenti, ed il Tribunale del riesame, sollecitato sul punto, non ha fornito alcuna risposta. Né il Tribunale del riesame chiarisce perché la conversazione n. 1845 del 14 ottobre 2009, in cui il COGNOME afferma di «averla data» a NOME, NOME e NOME, avrebbe certamente contenuto autoaccusatorio, specie ove si consideri che al COGNOME non si contesta la cessione di sostanza stupefacente a tali soggetti.
La motivazione risulta anche contraddittoria, avendo posto una conversazione del 27 gennaio 2020, riferita alla cessione di cui alla lettera c) del capo 208), a fondamento dei gravi indizi di colpevolezza per la cessione contestata alla lettera b), contestata come commessa in data anteriore al 22 gennaio 2020.
Anche rispetto ad altre conversazioni il Tribunale del riesame ricava indizi di colpevolezza per reati diversi da quelli indicati nell’ordinanza genetica e laddove afferma che la circostanza che esse abbiano ad oggetto la cessione di sostanza stupefacente si ricava dai riferimenti, in esse contenuti, alla «bianca» e ad
operazioni di taglio, il ricorrente denuncia che tali riferimenti sono del tut assenti, cosicché appaiono incomprensibili le ragioni della decisione, anche in relazione ai criteri utilizzati per individuare il tipo di sostanza ceduta.
In ordine al capo 228), la motivazione è apodittica e non consente di comprendere quale sia stato il ragionamento logico-giuridico della decisione.
In relazione al capo 235), con il quale vengono contestati al COGNOME diversi acquisti di cocaina dal Logatto, non vengono fornite motivazioni sui criteri adottati per identificare il tipo di sostanza ceduta e per affermare che si tratti episodi di cessione di sostanza stupefacente o, ancora, che la sostanza ceduta fosse destinata allo spaccio, anziché al consumo personale.
Il ricorrente ripercorre nell’atto introduttivo il contenuto delle conversazion intercettate onde evidenziare le carenze ed incongruenze motivazionali denunciate.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla adeguatezza della misura prescelta.
Sul punto il Tribunale del riesame si limita ad affermare che ricorrono le esigenze cautelari «tenuto conto della reiterazione di un numero apprezzabile di episodi delittuosi … delle modalità di realizzazione dei fatti, denota professionalità nel delitto, e delle dimensioni del traffico di droga gestito d ricorrente per conto del sodalizio».
Segnala il ricorrente che dagli atti non emergono quali sarebbero state le modalità di realizzazione della massima parte dei fatti di cessione di sostanza stupefacente; tali modalità si ricavano solo per le cessioni di marijuana in favore di NOME COGNOME contestate al capo 162). Quanto alle dimensioni del traffico di droga, esso non è affatto indicato nel provvedimento impugnato, essendo rimasti imprecisati i quantitativi ceduti.
Peraltro, il COGNOME COGNOME riveste in seno alla associazione una posizione sovraordinata, occupandosi di spacciare al minuto la sostanza. La sua posizione non differisce da quella degli altri partecipii spacciatori ai quali, però, è st applicata, in considerazione della minore capacità criminale, la misura cautelare degli arresti domiciliari. Anche tale ingiustificata diversità di trattamento è sta portata all’attenzione del Tribunale del riesame, che in proposito non ha fornito alcuna motivazione.
Il ricorrente denuncia anche che il Tribunale, nel valutare l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, ha omesso di considerare il tempo ormai trascorso dai fatti oggetto di contestazione, risalenti agli anni 2019 e inizio 2021 (l’ultimo episodio viene contestato come commesso in data 24 marzo 2021) e non sussistono elementi che consentano di affermare che l’attività di spaccio sia
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successivamente proseguita.
CONSIDERATO IN ‘DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La contraddittorietà motivazionale denunciata dal ricorrente in relazione all’appoggio ed al beneplacito fornito dalla associazione di tipo mafioso alla associazione capeggiata capeggiato dal COGNOME, della quale ultima il manfredi farebbe parte, secondo l’imputazione provvisoria, non appare in ogni caso decisiva, proprio perché, come rilevato dal ricorrente, essa investe un elemento non decisivo per la sussistenza del sodalizio criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti, rilevando invece l’azione congiunta dei vari partecipi sia nell’approvvigionamento della sostanza stupefacente, sia nello spaccio della stessa, l’essere i singoli associati soliti scambiarsi i ruoli o prestars vicendevolmente assistenza e l’esistenza di una struttura gerarchica e di una cassa comune del gruppo criminale, la comunanza della zona di spaccio e la costanza e stabilità di rapporti e contatti tra i vari associati, elementi tut ritenuti sussistenti dal Tribunale del riesame.
Neppure possono ritenersi decisivi i rilievi formulati dal ricorrente in ordine alla sussistenza della cassa comune.
Anche laddove questa venisse esclusa, gli altri elementi sopra indicati sarebbero comunque sufficienti a far ritenere sussistenti i gravi indizi del reato associativo.
Inoltre, anche laddove si seguisse il ragionamento esposto dal ricorrente, secondo il quale la cassa cassa comune doveva servire a finanziare l’acquisto della sostanza stupefacente, potendo i singoli spacciatori trattenere l’utile derivato dalla attività di spaccio, comunque sussisterebbe una cassa comune dell’associazione, sia pure funzionale alla commissione di delitti di acquisto di sostanza stupefacente.
Anche laddove il fenomeno associativo fosse limitato alla commissione di più delitti di acquisto in comune della sostanza stupefacente, rimanendo poi i singoli associati di spacciare autonomamente la sostanza acquistata dall’associazione e poi ripartita tra i vari associati, sussisterebbe comunque un sodalizio criminale diretto alla commissione di una serie indeterminata di delitti di acquisto di sostanza stupefacente.
Né può essere invocata a questa Corte di cassazione una rivalutazione del significato delle conversazioni intercettate, non consentita in questa sede di legittimità.
In sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del
significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Sulla base del principio appena esposto, non possono trovare ingresso in questa sede tutte le censure, relative al delitto di partecipazione all’associazione criminale o ai reati satelliti, che dovrebbero fondarsi su un significato dell conversazioni intercettate diverso da quello ad esse attribuito dai giudici del merito.
Il ricorrente sostiene che le conversazioni intercettate sono state mal valutate e che in realtà ad esse doveva essere attribuito un diverso significato, più aderente al contesto, tale da consentire di pervenire ad una ricostruzione dei fatti più aderente alle esigenze difensive; le censure sono, quindi, volte ad invocare una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio.
Neppure il ricorrente ha validamente lamentato il travisamento delle conversazioni intercettate, non avendo egli allegato al ricorso i verbali delle loro trascrizioni.
Appare opportuno ricordare in questa sede che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723); siffatta interpretazione va mantenuta ferma anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 165-bis, comma 2, d.lgs 28 luglio 1989, n. 271, inserito dall’art. 7, d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, second il cui disposto, in caso di ricorso per cassazione, copia degli atti «specificamente indicati da chi ha proposto l’impugnazione ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e) del codice», è inserita a cura della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato in separato fascicolo da allegare al ricorso, prevedendosi che nel caso in cui tali atti siano mancanti ne sia fatta attestazione; sebbene la materiale allegazione con la formazione di un separato fascicolo sia devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, resta in capo al ricorrente l’onere di indicare nel ricorso gli atti d inserire nel fascicolo, che ne consenta la pronta individuazione da parte della cancelleria, organo amministrativo al quale non può essere delegato il compito di
identificazione degli atti attraverso la lettura e l’interpretazione del ricorso (S 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Cossu, Rv. 280419; Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, COGNOME, Rv. 276432).
Anche in ordine alla propria identificazione del COGNOME come il soggetto soprannominato «click-click» nelle conversazioni intercettate, questione questa sulla quale il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato, deve evidenziarsi che il ricorrente in sostanza si duole della valutazione del significato attribuito dal Tribunale alle conversazioni intercettate che è questione di merito, non suscettibile di riesame in questa sede.
Analoghe considerazioni valgono con riguardo alle censure attinenti ai gravi indizi di colpevolezza per i reati satellite, per i quali pure il ricorrente si duole significato attribuito dai giudici del merito alle conversazioni intercettate.
Il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sia pure richiamando, in relazione a talune questioni, la motivazione del provvedimento coercitivo e la richiesta del Pubblico ministero.
Nel resto, anche in questo caso, le censure del ricorrente attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale istruttorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una «mirata rilettura» degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adcttati dal giudice merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di motivi di ricorso per cassazione, che non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o
evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Le doglianze del ricorrente, invero, si risolvono nel dissenso sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la ordinanza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
Laddove poi il ricorrente contesta il tipo di sostanza ceduta, sostenendo trattarsi di marijuana e non di cocaina, egli mostra di non volersi confrontare con la motivazione dell’ordinanza impugnata, che evidenzia la carenza di interesse del ricorrente, non potendo dalla riqualificazione del reato discendere alcuna conseguenza favorevole allo stesso (vedi pag. 14 del provvedimento del Tribunale del riesame).
3. È, invece, fondato il terzo motivo di ricorso.
Il COGNOME è gravemente indiziato di avere fatto parte dell’associazione criminale dedita alla commissione dei reati di traffico di sostanze stupefacenti, delitto per il quale vige la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Tuttavia, il Tribunale non mostra di aver preso in considerazione il tempo ormai trascorso dai fatti in contestazione, che risulterebbero commessi tra il 2019 ed il 2021.
In tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui al legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», cui si riferisce
lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272).
Inoltre, nel provvedimento qui impugnato neppure si chiarisce perché la sua posizione differirebbe da quella di altri coindagati rientranti nel novero dei soggetti «demoltiplicatori» che hanno partecipato all’associazione criminale rivendendo solo in parte la sostanza ricevuta dai vertici del sodalizio e destinando la parte residua al proprio consumo personale e comunque assumendo una posizione subordinata ed un ruolo meramenl:e operativo, che invece sono stati sottoposti alla meno grave misura degli arresti domiciliari.
In ordine a tali aspetti il Tribunale non ha fornito adeguata motivazione, non potendo ritenersi soddisfacente il mero riferimento alla circostanza che taluna delle condotte oggetto di contestazione sia avvenuta presso l’abitazione del ricorrente.
Tale circostanza non riguarda il reato associativo, per il quale opera la doppia presunzione relativa di cui si è detto sopra, ma i singoli di reati di acquisto, detenzione e cessione di sostanze stupefacenti per i quali detta presunzione non opera e per i quali il Tribunale del riesame avrebbe dovuto motivare spiegando perché ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari.
Il provvedimento impugnato deve, quindi, essere annullato con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, Sezione del riesame.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 15/12/2023.