Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43855 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43855 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 13/12/1971
avverso l’ordinanza del 18/06/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito, in difesa di NOME COGNOME l’avvocato COGNOME del Foro di NAPOLI, il quale ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendon l’accogli mento
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 06/05/2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere relativamente ai reati ex artt. 575, 577 cod. pen., nonché 10, 12 e 14 legge 14 ottobre 1974, n. 497 (delitti entrambi aggravati ex art. 416-bis cod. pen.), in quanto gravemente indiziato di essere uno dei mandanti dell’omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME, commesso in Gragnano il 27/10/2008.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti, entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., derivante da inosservanza di norme processuali riguardo agli artt. 273 e 292, comma 2, cod. proc. pen., nonché da mancanza e contraddittorietà della motivazione, anche con riferimento al travisamento della prova.
Tra gli elementi posti a fondamento della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria, a carico di COGNOME, figurano le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME; sia il provvedimento impugnato, sia l’ordinanza genetica, però, omettono la valutazione del contenuto dell’interrogatorio di NOME COGNOME del 09/04/2015, laddove questi afferma come COGNOME non fosse a conoscenza dell’omicidio di COGNOME, prima della esecuzione dello stesso. La successiva dichiarazione resa dallo stesso COGNOME, il 20/04/2015 – nel punto in cui riconduce a NOME la consegna delle armi, poi adoperate dagli esecutori materiali per la commissione dell’omicidio – non inficia la precedente dichiarazione, che non viene ritrattata nella parte attinente al mancato coinvolgimento del ricorrente nel fatto.
Ulteriore travisamento è riscontrabile nel non aver compreso che NOME avesse specificato, nel corso del suddetto interrogatorio, di aver egli stesso espressamente domandato a COGNOME se fosse disponibile a fornire collaborazione per l’eventuale commissione di una serie di delitti, ma prima del rientro di D’Antuono nel territorio di Gragnano e non successivamente. Quanto affermato da NOME, quindi, convince del fatto che NOME non sapesse – per non esser stato reso edotto dallo stesso dichiarante – che la messa a disposizione di NOME COGNOME fosse specificamente diretta all’esecuzione dell’omicidio del D’Antuono; COGNOME, in
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realtà, era convinto che l’offerta della disponibilità di Massa rivestisse un carattere solo generico, ossia rivolto a qualunque fatto criminale si fosse eventualmente reso necessario compiere.
Travisate sono, altresì, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME il quale si è limitato a riferire circa la figura del COGNOME, quale elemento di collegamento tra le cosche dei COGNOME e dei COGNOME, senza però mai attribuirgli un ruolo preciso, nell’evento omicidiario per il quale si procede. La dichiarazione accusatoria resa dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME nel verbale del 25/02/2020, inoltre, è priva di riscontro individualizzante e appresa de relato. NOME COGNOME, del resto, riconduce la causale dell’omicidio di COGNOME alla militanza di questi nel clan COGNOME, aggiungendo che l’alleanza fra i COGNOME e i COGNOME avvenne in epoca successiva all’esecuzione dell’omicidio, per cui non può costituirne la causale.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., riguardo all’art. 274 lett. c) cod. proc. p con particolare riferimento all’attualità del pericolo di commissione di reati della stessa specie e per mancanza di motivazione su tale punto specifico.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il Tribunale ha riconosciuto i gravi indizi e le esigenze di cautela con una motivazione aderente alle emergenze investigative, priva di illogicità manifeste e del travisamento della prova lamentato; l’impugnazione, per contro, si colloca interamente sul piano del merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Stando alla ricostruzione storica e oggettiva sussunta nel provvedimento impugnato, viene il rilievo un duplice omicidio, risalente al 2008 e da collocare nell’ambito di lotte, alleanze e spartizioni di zone di influenza di tipo camorristico nel territorio di Gragnano. In tale vicenda, secondo l’ordinanza genetica, confermata dal Tribunale del riesame, l’odierno ricorrente COGNOME avrebbe svolto il ruolo di mandante; il gruppo di fuoco che avrebbe materialmente realizzato il fatto omicidiario era invece costituito da diversi soggetti (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME). La vittima designata, NOME COGNOME, sarebbe stata punita essenzialmente a causa della sua intraneità al clan COGNOME, al tempo acerrimo nemico dei COGNOME, al quale si contrapponeva in una faida protratta nel tempo e particolarmente sanguinosa
(l’altra persona assassinata, NOME COGNOME, venne sfortunatamente colpita per il sol fatto di trovarsi in compagnia di COGNOME al momento dell’agguato). Le due vittime, nel corso della mattinata del 28 ottobre 2008, sostavano dunque in Gragnano alla INDIRIZZO allorquando furono attinte mortalmente da numerosi colpi di arma da fuoco, esplosi da una sola pistola semiautomatica (vennero in seguito repertati, sul posto, bossoli calibro 9×19 mm Luger – Parabellum).
La perpetrazione del fatto omicidiario doveva svolgere la funzione di suggellare l’alleanza fra i COGNOME e i COGNOME, così riaffermando definitivamente l’egemonia criminale di tale rafforzata organizzazione camorristica sul territorio gragnanese, a conclusione di una stagione contrassegnata da aspra contrapposizione con i sunnominati COGNOME. COGNOME era peraltro individuato quale partecipe – qualche anno addietro – della cd. “strage delle terme”, nell’ambito della quale aveva trovato la morte NOME COGNOME tale fatto avrebbe costituito la scaturigine dell’intento vendicativo che animava i COGNOME.
Sempre attenendosi alle conclusioni alle quali è pervenuto il provvedimento impugnato, sovrapponibile all’ordinanza genetica, NOME COGNOME era particolarmente interessato al consolidamento dell’alleanza suddetta, avendo la figlia sposato il rampollo della famiglia COGNOME, ossia NOME; così il ricorrente avrebbe svolto una rilevante funzione di intermediazione fra i clan, occupandosi anche di fornire – per il tramite della sua longa manus NOME – l’arma adoperata dagli esecutori materiali, per la commissione del duplice omicidio.
Da ciò l’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale a carico di NOME COGNOME; una misura cautelare che trae alimento principalmente dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME, collimanti con quanto dichiarato dall’esecutore materiale del fatto, NOME COGNOME nella sua tesi di laurea. Sono state reputate combacianti con tale ricostruzione, infine, anche le dichiarazioni di un ulteriore collaboratore di giustizia, ossia NOME COGNOME.
3. Posta tale base descrittiva e argomentativa del provvedimento impugnato, la disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così rapidamente riassumibili:
in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifi della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può
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intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito»;
b) occorre rifarsi, inoltre, alla regola di giudizio secondo la quale: «In tema di procedimento di riesame di misure cautelari personali, sussiste l’obbligo del tribunale di esaminare compiutamente ogni censura difensiva sollevata all’udienza ex art. 309 cod. proc. pen., con la conseguenza che è da ritenersi affetta da vizio di motivazione l’ordinanza che, a fronte di un’eccezione ritualmente proposta, non contenga una compiuta disamina della stessa» (Sez. 4, n. 21374 del 11/06/2020, Davis, rv. 279297).
Pare utile, allora, precisare quale sia la relazione intercorrente, fra le deduzioni difensive svolte in sede di riesame e la motivazione che il Tribunale è tenuto a fornire in ordine ai temi posti dalla difesa stessa, ribadendosi come l’obbligo di motivazione possa reputarsi adempiuto anche nel caso in cui il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame effettui un rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nel provvedimento genetico, rinvio che sia incastonato in una più ampia valutazione, atta a contrastare – anche per implicito – le deduzioni difensive. Il tutto postula, però, che le questioni poste dalla difesa non siano idonee a disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo, in tal caso, la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
c) All’esito del riesame dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare, è legittima la motivazione che richiami (o riproduca) le argomentazioni contenute
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nel provvedimento impugnato, ove siano mancate specifiche deduzioni difensive, formulate con l’istanza originaria o con successiva memoria, ovvero articolate oralmente in udienza, tali da rendere funzionalmente inadeguata la relatio su cui il richiamo si è basato (Sez. 1, n. 8676 del 15/01/2018, COGNOME, rv. 272628; Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, rv. 265765). In questa prospettiva, si può ritenere senz’altro legittima la riproposizione anche di parti del provvedimento applicativo nell’ordinanza resa all’esito del riesame; a patto, però, che tale tecnica espositiva sia affiancata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Torcasio, rv. 281127).
Vero, in sostanza, che è pienamente consentita la motivazione per relationem, rispetto all’ordinanza impugnata, ma a patto che l’ordinanza del Tribunale del riesame contenga una motivazione che dimostri un vaglio critico e che non si risolva quindi nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento restrittivo della libertà personale, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame (Sez. 6, n. 9752 del 29/01/2014, COGNOME, rv. 259111). E nemmeno è consentito – sempre in tema di misure cautelari personali – assolvere all’obbligo di offrire un adeguato e congruo apparato motivazionale (sia dell’ordinanza applicativa di misure coercitive, sia di quella di conferma in sede di riesame), attraverso la mera riedizione del compendio raccolto in sede di indagini preliminari, facendo affidamento sul requisito dell’autoevidenza dello stesso (Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, Ferrara, rv. 256262).
Il primo motivo si risolve interamente in una critica ai criteri di valutazione adottati dai Giudici del merito, in ordine alle propalazioni dei collaboratori di giustizia; tali dichiarazioni rappresentano l’architrave dell’ordinanza genetica e sono state ritenute attendibili e tra loro coerenti, nell’impugnato provvedimento.
4.1. Con riferimento a tale contributo dichiarativo, però, il Tribunale del riesame – contrariamente alle deduzioni difensive – non ha minimamente mancato di saggiare e attestare la credibilità soggettiva dei dichiaranti, nonché di verificare l’attendibilità del narrato proveniente dai collaboratori e, infine, la loro vicendevole capacità di riscontrarsi a livello individualizzante. Quest’ultima postula, del resto, la convergenza delle propalazioni in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum, nonché la loro autonomia genetica (vale a dire, la derivazione conoscitiva da eterogenee fonti di informazione) e, infine, la loro indipendenza, nel senso che esse non devono apparire il frutto di intese fraudolente (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, rv. 255143-01; Sez. 1, n. 41238 del
26/06/2019, COGNOME, rv. 277134); trattasi peraltro di elementi che, nella specie, non sono neppure in discussione.
Una volta ritenuta genuina e lineare la narrazione proveniente dai collaboratori di giustizia, il fatto omicidiario è risultato ricostruito in manier estremamente dettagliata e storicamente coerente, almeno in correlazione al grado di certezza che connota la fase cautelare. Tutte le argomentazioni esposte dal Tribunale del riesame mostrano, in sostanza, un buon governo delle regole ermeneutiche ripetutamente esposte da questa Corte. E infatti, quanto al profilo della credibilità soggettiva ed oggettiva dei collaboranti, il provvedimento impugnato non mostra di attribuire – in maniera aprioristica – credito a tali dichiarazioni, ma analizza specificamente il contenuto dell’esposizione, soppesando la sovrapponibilità e la coerenza tra le dichiarazioni, nonché la carenza di dati radicalmente dissonanti e saggiando attentamente lo spessore delle dichiarazioni, oltre che la sussistenza di elementi di riscontro di carattere oggettivo e induttivo.
In riferimento a tale ultima tematica, è bene rammentare che – attenendosi ai principi dogmatici elaborati in questa materia dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. la succitata Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255145) – il giudice è chiamato a verificare la sussistenza di tre requisiti, rappresentati:
dalla credibilità soggettiva del dichiarante, valutata alla stregua di elementi personali quali le sue condizioni socio-economiche e familiari, il suo passato, i rapporti con l’accusato, la genesi e le ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all’accusa dei coautori e complici;
l’attendibilità intrinseca del contenuto dichiarativo, desunta da dati quali la spontaneità, la verosimiglianza, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la concordanza tra le dichiarazioni rese in tempi diversi;
la riscontrabilità oggettiva del dichiarante, attraverso elementi di prova o indiziari estrinseci, i quali devono essere esterni alla chiamata onde evitare il fenomeno della c.d. “circolarità” probatoria e che possono consistere in elementi probatori o indiziari di qualsiasi tipo e natura, ivi compresa un’altra chiamata in correità (Sez. 1, n. 16792 del 9/4/2010, rv. 246948; Sez. 2, n. 16183 del 1/2/2017, rv. 269987); a condizione, in quest’ultimo caso, che le convergenti dichiarazioni accusatorie, ritenute intrinsecamente attendibili, siano realmente autonome e che la loro coincidenza non sia fittizia, come nel caso in cui una chiamata abbia condizionato l’altra (cfr. ancora Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, rv. 255143).
4.2. L’ordinanza censurata ha correttamente preso in considerazione, quindi, anche il profilo della convergenza delle varie ricostruzioni, rifacendosi al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui le dichiarazioni accusatorie
provenienti da plurime fonti possono anche offrirsi reciproco riscontro, a patto che si proceda comunque alla loro valutazione, in uno agli ulteriori elementi di prova atti a confermarne la credibilità, in modo che resti verificata la concordanza circa il nucleo essenziale della narrazione, restando quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, rv. 262309).
4.3. Le censure mosse dalla difesa peccano allora, con tutta evidenza, di genericità: il provvedimento impugnato, infatti, ha condiviso la valutazione compiuta in sede di ordinanza genetica, in ordine alla attendibilità degli apporti collaborativi, ai quali – contrariamente alle deduzioni difensive – ha dedicato ampio spazio.
Il Tribunale, in sostanza, non si è arrestato ad un mero vaglio inerente alla constatazione dell’avvenuta collaborazione con la giustizia in altri processi, ma ha incentrato la complessiva analisi muovendo dalla personalità dei dichiaranti, dalla genesi della loro collaborazione con la giustizia e – in special modo – dai rapporti intessuti con gli accusati, circostanza fortemente evocativa di una diretta e immediata percezione dei fatti per i quali si procede, oltre che delle dinamiche interpersonali poste a monte degli stessi. Né risulta tralasciato il dato – di tenore oggettivo e, pure, specificamente dimostrativo della affidabilità della fonte di conoscenza – rappresentato dalla sicura militanza dei propalanti nella criminalità organizzata. Sono state evidenziate le specificità connotanti le singole narrazioni e si sono esclusi sospetti di reciproco inquinamento, ovvero di possibile astio nell’animo dei collaboranti. L’analisi ha poi implicato il raccordo – di tenore logico e intratestuale – fra le varie propalazioni e, successivamente, con gli elementi oggettivi raccolti nel corso delle indagini.
4.4. Più nel dettaglio, l’avversata ordinanza pone a fondamento della ritenuta gravità indiziaria a carico di COGNOME, in primo luogo, le chiamate in correità e reità provenienti dai collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME; trattasi di dichiarazioni che sono reputate essere, tra loro, del tutto collimanti e che sono suffragate, sul piano deduttivo, dalla compartecipazione di COGNOME al tempo uomo di fiducia proprio del ricorrente. Non viene ignorata dal Tribunale del riesame, del resto, la valenza indiziante da riconnettere alle affermazioni contenute nella tesi di laurea di NOME COGNOME. Questi, pur non rendendo esplicite dichiarazioni eteroaccusatorie, ha reso una versione del fatto che – quanto alla stretta materialità – è perfettamente combaciante con le ricostruzioni provenienti da COGNOME e COGNOME.
4.4.1. Il narrato eteroaccusatorio di COGNOME viene valutato come intrinsecamente credibile, per esser stato egli – all’epoca dei fatti – a capo del
gruppo di fuoco del clan COGNOME, nonché principale artefice della prolungata e complessa fase organizzativa del fatto omicidiario, che vedeva il pieno coinvolgimento del COGNOME (soggetto che agiva, pacificamente, dietro incarico proprio di COGNOME).
E lo stesso COGNOME – prosegue il Tribunale del riesame – ha narrato di aver egli stesso in seguito ricevuto incarico da NOME COGNOME, il quale ne temeva la volontà di vendetta, di uccidere il figlio di COGNOME. Ha poi operato, il COGNOME, una precisa chiamata in correità a carico sia del COGNOME che del COGNOME, indicandoli specificamente quali mandanti dell’omicidio del COGNOME (azione delittuosa funzionale all’espansione criminale della famiglia COGNOME nella zona gragnanese, anche in virtù del matrimonio tra la figlia di NOME e NOME COGNOME).
4.4.2. Rispondendo poi a specifica doglianza difensiva, il Tribunale del riesame ha vagliato la sussistenza di possibili distonie – di matrice non solo meramente narrativa, ma anche di carattere infratestuale o logico – fra tale narrato e le propalazioni dell’ulteriore collaboratore di giustizia Belviso. Tali pretese incongruenze sono state accuratamente scandagliate e, all’esito, reputate inerenti a profili di carattere secondario e sostanzialmente ininfluente, ai fini della sussistenza di una grave piattaforma indiziaria a carico di COGNOME
4.5. Per contrastare tale struttura argomentativa lineare, completa e priva di spunti di contraddittorietà, la difesa spende censure che si dipanano sul piano del fatto e che sono tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle emergenze ricavabili dall’incarto processuale, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, più che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità.
Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, rv. 235507).
Con il secondo motivo, la difesa aggredisce il profilo della ritenuta sussistenza delle esigenze cautelare.
Sostiene la difesa che il provvedimento impugnato valorizzi esclusivamente la gravità dei fatti contestati, nonché la pessima personalità dell’indagato (libero vigilato) e, infine, i suoi rapporti con ambienti criminali; risulterebbe del tutto trascurata, però, la deduzione difensiva inerente al provvedimento a mezzo del quale, in data 30/03/2022, il Tribunale di Napoli – Sezione misure di prevenzione, ha dichiarato cessata la pericolosità sociale del ricorrente, disponendo la revoca della misura. L’ordinanza impugnata, dunque, si porrebbe in stridente conflitto logico e interpretativo con le conclusioni raggiunte da tale provvedimento di revoca, nel contempo omettendo di valutare come l’indagato sia un soggetto i cui carichi pendenti sono risalenti e, comunque, precedenti alla detenzione, iniziata nel 2010 e giunta a termine nel 2022.
Il Tribunale del riesame, viepiù, non si sarebbe adeguatamente confrontato neanche con il contenuto della relazione di sintesi redatta dall’equipe del penitenziario di Siano, la quale ha riscontrato nel Carolei un lieve stato di ansia e un eloquio accelerato, oltre che la volontà di allontanare i figli dal tipo di vita che egli stesso ha vissuto.
Mancherebbe ogni considerazione, poi, in ordine tanto alla revoca del regime detentivo speciale ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354, quanto con riguardo all’ottenimento della liberazione anticipata. Sottolinea anche la difesa come NOME, appena rimesso in libertà, abbia intrapreso l’attività lavorativa, poi proseguita con regolarità fino all’esecuzione del titolo custodiale. Degno di nota, infine, sarebbe il fatto che il delitto per il quale si procede risalga a oltre quindic anni orsono, di tal che nulla dimostrerebbe la sussistenza del paventato pericolo di recidiva nel reato.
5.1. Giova allora premettere un sintetico richiamo al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui – in tema di misure cautelari personali – il ricorso per cassazione che deduca insussistenza delle esigenze cautelari è ammissibile esclusivamente laddove denunci la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento; non sono proponibili, al contrario, censure che attengano alla ricostruzione dei fatti, o che si risolvano in una differente valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, rv. 270628; Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, COGNOME, rv. 210019; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, rv. 265244; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, rv. 199391).
In ordine ai profili di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, inoltre, deve rilevarsi che, ai fini della valutazione del pericolo che l’imputato commetta ulteriori reati della stessa specie, il requisito della “concretezza”, cui si richiama
l’art. 274, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., riguarda l’indicazione di elementi non meramente congetturali, sulla base dei quali possa affermarsi che l’imputato, verificandosi l’occasione, possa facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico tutelato dalla fattispecie delittuosa per la quale si procede (Sez. 3, n. 49318 del 27/10/2015, Barone, rv. 265623).
Con riferimento al requisito dell’attualità, pare sufficiente rifarsi all’orientamento espresso da Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Gízzi, rv. 282891, a mente della quale: «In tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza» (cfr. Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, rv. 282769; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, rv. 282991; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, rv. 282767).
5.2. Tanto chiarito, al solo fine di delineare il quadro dogmatico entro cui si colloca la tematica dedotta, può precisarsi come la decisione impugnata non meriti – nella sede di legittimità – alcuna rivisitazione. La motivazione adottata dal Tribunale del riesame, infatti, si presenta articolata e convincente, risultando congruamente analizzati gli aspetti inerenti al pericolo concreto di reiterazione di condotte delinquenziali di analoga natura, nonché i relativi profili dell’attualità e della concretezza.
Il provvedimento impugnato, dunque, valorizza la gravità della allarmante condotta serbata, ritenendo che NOME COGNOME abbia mostrato una personalità negativa, desumibile non solo dalla enorme gravità del fatto per il quale si procede, nonché dall’allarmante contesto complessivo – di chiara natura camorristica – nel quale lo stesso si inquadra, ma anche dal vissuto criminale del soggetto, gravato da diverse condanne per reati connotati dalla medesima matrice camorristica.
5.3. Sostiene la difesa che non si sia considerata l’intervenuta revoca della misura di prevenzione, adottata sulla base della ritenuta cessazione della pericolosità sociale del soggetto; nemmeno sarebbero stati valutati ulteriori elementi, quali la risalente collocazione temporale dei fatti e dei carichi pendenti, nonché la stabile collocazione lavorativa e la volontà, manifestata dall’indagato all’equipe del carcere, di tenere i figli lontano da questa tipologia di vita.
Contrariamente all’assunto difensivo, però, il Tribunale del riesame ha affrontato nel dettaglio – adottando una struttura motivazionale ampia e coerente, dunque meritevole di rimanere immune da qualsivoglia stigma, in questa sede ciascuna delle argomentazioni prospettate della difesa. Nella motivazione dell’avversata ordinanza, infatti, si ritiene che le esigenze cautelari sussistano intonse, pur in presenza di una molto risalente collocazione temporale; e infatti, il Tribunale del riesame evidenzia che:
il COGNOME è sempre stato un personaggio di spicco, all’interno del sodalizio malavitoso, essendo la sua notevole caratura criminale ampiamente dimostrata proprio dalle plurime condanne definitive per fatti di mafia (nell’ordinanza si evidenzia che proprio tale posizione di rilievo, assunta all’interno del sodalizio, potrebbe consentire all’indagato di riassumere il controllo e la gestione della compagine delinquenziale e assicurarne nuovamente la piena operatività);
il ricorrente non si è mai apertamente dissociato dalle logiche camorristiche che ne hanno contrassegnato la condotta, né risulta essersi mai allontanato dal contesto malavitoso associativo di riferimento;
il COGNOME non ha mai mostrato un qualche – pur se embrionale – affiato di resipiscenza, a fronte della gravissima condotta posta in essere.
In ragione di tali valutazioni, il Tribunale del riesame- ad onta del fatto che sia trascorso, dal momento della commissione del duplice omicidio, un ragguardevole lasso di tempo – ha reputato essere ancora concrete e attuali le ravvisate esigenze cautelari.
5.4. Infine, il Tribunale del riesame si è soffermato anche sulla possibilità di porre Carolei in regime di arresti domiciliari. Sul punto – non essendo emersi elementi nuovi, atti a modificare il quadro cautelare già valutato in sede di ordinanza genetica – l’ordinanza impugnata ritiene palese la insufficienza di un qualsiasi presidio detentivo di tipo domiciliare (in quanto esso postula, immancabilmente, la sussistenza di una attitudine all’autogoverno comportamentale, rivelatosi allo stato insussistente).
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non comportando – la presente decisione – la rimessione in libertà del ricorrente, segue altresì la disposizione di trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
f
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 17 ottobre 2024.