Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1761 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1761 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Catanzaro il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, che ha concluso chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 3 aprile 2023 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva disposto l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei
confronti di NOME COGNOME, sottoposto ad indagini in relazione ai reati di furto aggravato di una autovettura e di bobina di rame, e di tentate estorsioni ai danni di tali NOME COGNOME e NOME COGNOME, aggravate ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., in ragione delle modalità mafiose utilizzate.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso NOME COGNOME, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 273 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per carenza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale del riesame confermato il provvedimento genetico della misura, benché le emergenze procedimentali avessero escluso la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, avendo l’COGNOME al più millantato di essere stato autore di iniziative solo per “accreditarsi” agli occhi degli appartenenti ad una locale consorteria criminale, tenuto anche conto che le due persone offese, il COGNOME e il COGNOME, avevano negato di essere stati destinatari di richieste estorsive: i dati a disposizione non avevano consentito di collegare l’COGNOME ad alcuno dei prospettati delitti contestati, né di avere posto in essere azioni caratterizzate da una speciale forza intimidatrice verso le vittime.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 274 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per carenza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale di Catanzaro confermato il primigenio provvedimento cautelare, nonostante le carte del procedimento avessero escluso un diretto coinvolgimento dell’COGNOME nelle vicende delittuose del presunto sodalizio mafioso oggetto di investigazioni, avendo egli agito al più per attirare “le attenzioni” degli affiliati a quel gruppo criminale.
2.3. Violazione di legge, in relazione all’art. 275 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per carenza e manifesta illogicità, per avere il Tribunale catanzarese omesso di rispondere alla specifica richiesta con la quale la difesa, anche in considerazione dello scarso ruolo criminale dell’COGNOME e della risalenza nel tempo dei fatti contestati, aveva chiesto di sostituzione della disposta misura coercitiva con altra misura meno gravosa.
Il procedimento è stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati da numerose successive disposizioni, da ultimo dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come introdotto dall’art. 5 -duodecies del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, convertito dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada rigettato.
Il primo t il secondo motivo del ricorso sono inammissibili perché presentati per fare valere ragioni manifestamente infondate ovvero diverse da quelle consentite dalla legge.
2.1. È pacifico nella giurisprudenza di legittimità come il controllo dei provvedimenti di applicazione delle misure limitative della libertà personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato, nonché il valore sintomatico degli indizi medesimi. Controllo che non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e degli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità delle fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, dunque, il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (si veda, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna riconoscere come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano dato puntuale e logica contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il provvedimento cautelare, a tal fine valorizzando gli esiti delle intercettazioni di comunicazioni che avevano permesso di registrare le frasi autoaccusatorie rese dall’COGNOME, che aveva riconosciuto di essere stato autore delle condotte delittuose poi addebitategli con la contestazione cautelare (v. pagg. 2-3, ord. impugn.; pagg. 24-25, 31, ord. Gip).
Da tanto il Collegio del riesame ha arguito, con un procedimento logico invero, contestato in termini molto generici, significativamente senza alcun riferimento al contenuto di quelle captazioni – nel quale non si è ravvisabile alcun vizio di manifesta illogicità, come l’odierno ricorrente dovesse essere considerato, a livello indiziario, responsabile dei reati in argomento.
In tal modo, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, il ricorso è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ (come, peraltro, espressamente riconosciuto nel ricorso oggi in esame) oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione del materiale d’indagine rispetto al quale è stata proposta un significati e alternativo rispetto a quello privilegiato dal Tribunale nell’ambito di un sistema motivazionale perspicuo e completo. Valutazione, questa, che vale soprattutto in considerazione del fatto che gli elementi indiziari a carico del ricorrente sono stati desunti principalmente dal contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini: materiale rispetto al quale si pone un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
2.2. Alla luce delle valutazioni innanzi esposte, risultano manifestamente infondate le censure versate in termini di violazione di legge: e ciò vale anche per la questione relativa alla aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., considerato che la decisione del Tribunale di Catanzaro si pone in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale quella circostanza è configurabile quando l’azione incriminata viene posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa ed è funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune (così, tra le tante, Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, Marcianò, Rv. 281027).
2.3. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo del ricorso, in relazione al quale il ricorrente si è limitato ad enunciare il dissenso rispetto alle valutazioni compiute dal Tribunale del riesame, senza realmente specificare gli aspetti di criticità di passaggi giustificativi della decisione, cioè omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione della sentenza gravata. Pronuncia con la quale, al di là della presunzione operante ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., erano stati analiticamente indicati gli elementi fattuali (oggettiva gravità delle condotte, intensità del dolo, pessimi precedenti penali – v. pag. 3 ord. impugn.) idonei a dimostrare la sussistenza di un concreto e attuale pericolo che il ricorrente possa tornare a commettere in futuro gravi reati della stessa
natura di quelli per i quali si procede, collocati cronologicamente in epoca non lontana dal momento di adozione del primigenio provvedimento cautelare.
Il terzo motivo del ricorso è infondato, perché l’articolata motivazione valorizzata del Tribunale del riesame per giustificare l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, come unica allo stato idonea a fronteggiare il riconosciuto pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e GLYPH pregiudiziale costituisce GLYPH pronuncia GLYPH implicita sull’inopportunità di applicazione di misure meno gravose o con modalità meno limitative (in questo senso, tra le tante, Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, Marsili, Rv. 277762).
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 21/12/2023