Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23357 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23357 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 30/03/2001
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME conclude chiedendo l’inammissibilità del ricorso
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME anche in qualità di sostituto processuale dell’avvocato COGNOME del foro di NAPOLI nomina dichiarata oralmente in udienza, in difesa di COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza in data 24/10/2024, il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del 02/09/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, che aveva adottato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in quanto ritenuto gravemente indiziato dei reati di: – partecipazione ad associazione di stampo mafioso ex art. 416-bis, comma primo, secondo, terzo, quarto e quinto, cod. pen. (denominata dan COGNOME/COGNOME, operante prevalentemente nel territorio di Ponticelli e zone limitrofe; fatto commesso in Napoli da settembre 2020 con condotta perdurante capo 1);. – partecipazione ad associazione ex art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, .d.P.R. 309/90, 416-bis.1 cod. pen. (fatti accertati da marzo a ottobre 2021 in Napoli -capo 15); – concorso in detenzione e cessione di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso (fatto accertato in Napoli il 9 maggio 2021 – capo 26).
1.1. Il Tribunale di Napoli, dopo un’ampia premessa in ordine alla esistenza ed operatività dell’organizzazione di stampo camorristico denominata clan COGNOME, stanziato nel quartiere napoletano di Ponticelli e zone limitrofe, richiamando le ordinanze restrittive emesse dal GIP del Tribunale di Napoli e le sentenze definitive, osservava che, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e dalle risultanze delle attività intercettive, fosse emerso come, dal settembre 2020, veniva a formarsi un nuovo autonomo sodalizio, di stampo camorristico, facente capo alle famiglie COGNOME e COGNOME.
Ancora osservava il Tribunale come l’associazione di stampo camorristico COGNOME COGNOME, di cui alla odierna contestazione (capo 1), si fosse costituita con una originaria vocazione al controllo del traffico di sostanze stupefacenti, ottenendo il completo controllo delle piazze di spaccio operanti nel territorio di riferimento; venivano quindi costituite, da parte del medesimo cartello camorristico, due distinte associazioni finalizzate al narcotraffico, rispettivamente contestate ai capi 15 (operante tra il marzo e l’ottobre del 2021) e 37 (operante dal luglio 2022 con condotta perdurante) delle provvisorie incolpazioni.
1.2. Con specifico riferimento alla posizione dell’odierno ricorrente, il Tribunale partenopeo ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i delitti allo stesso contestati, valorizzando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (in particolare NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti già positivamente vagliati in punto di attendibilità) che trovavano conferma nell’esito delle operazioni tecniche di intercettazione.
In particolare, il COGNOME indicava COGNOME tra gli affiliati al clan, cui era affidato il compito di occuparsi delle estorsioni e del recupero di armi. Le attività di Pg attestavano poi gli stabili rapporti di frequentazione dell’indagato con gli altri affiliati,
che venivano ulteriormente riscontrate dalle intercettazioni, le più rilevanti delle quali venivano richiamate in seno all’ordinanza alle pagg. 27-29.
Con riferimento al reato di associazione finalizzata al narcotraffico, il Tribunale dopo avere sottolineato come il ricorrente non ne avesse contestato la sussistenza (ma solo il profilo partecipativo), sottolineava come esso fosse aggravato sia dal metodo mafioso che dalla finalità agevolativa del clan mafioso di riferimento. Risultava dalle intercettazioni (richiamate alle pagg. 30-32), che COGNOME svolgeva attività di spaccio sia presso la piazza del rione INDIRIZZO che “a volante”, previo contatto telefonico, e collaborava in tale attività con NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.3. Il Tribunale ha infine ritenuto sussistenti le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura carceraria, in virtù della doppia presunzione prevista dalla legge, osservando come non fossero emersi elementi tali da far ritenere l’insussistenza delle esigenze cautelari.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per il suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza di NOME COGNOME in relazione al delitto di cui al capo 1), con conseguente violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della motivazione.
Il ricorrente evidenzia la assoluta genericità, imprecisione e contraddittorietà delle dichiarazioni accusatorie mosse nei suoi confronti dai collaboratori di giustizia (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) rimaste, peraltro, prive di riscontri oggettivi.
Quanto alle intercettazioni, la difesa ne evidenzia la generica ambiguità, tale da non poter costituire valido riscontro alle propalazioni dei collaboranti; peraltro, in alcuni casi (ad esempio con riferimento alle conversazioni captate durante la detenzione di NOME COGNOME), i Giudici della cautela cadono in evidenti travisamenti.
Non viene effettuata nessuna analisi concreta in merito all’esistenza dell’affectio societatis e della stabilità del legame associativo del ricorrente con il clan camorristico.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza di NOME COGNOME in relazione ai delitti di cui ai capi 15) e 26), con conseguente violazione degli artt. 273 e 192 cod. proc. pen., nonché mancanza ed illogicità della motivazione.
Osserva la Difesa come, a margine di una contraddittorietà della stessa contestazione (non essendo chiaro se COGNOME operi presso una “piazza di spaccio” o “a volante”), il contenuto delle intercettazioni valorizzate in chiave accusatoria dai Giudici della cautela, sia invero del tutto neutro, dal momento che nelle conversazioni oggetto di captazione ci si limita a descrivere movimenti sul territorio, senza alcun riferimento a sostanze stupefacenti.
In ogni caso il Tribunale del riesame non ha fornito alcun elemento che colleghi COGNOME ad un sodalizio organizzato.
Quanto al capo 26), si duole la Difesa che la gravità indiziaria sia stata desunta da una sola conversazione telefonica, dal contenuto estremamente generico; né è ravvisabile alcun collegamento con l’associazione criminale di cui al capo 1), idoneo a fondare la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis.1. cod. pen..
2.3. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione ex art. 606, comma 1, lett b), c) ed e) cod. proc. pen. per violazione e falsa applicazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e per motivazione mancante e/o illogica e contraddittoria con riguardo all’asserita sussistenza delle esigenze di cautela.
Il COGNOME, gravato da un solo precedente bagatellare, si è allontanato da anni da Napoli, per intraprendere un’attività lavorativa nel nord Italia, dimostrando in tal modo la sua volontà di distaccarsi da ambienti delinquenziali: il Tribunale ha tuttavia del tutto omesso di prendere in considerazione tali positivi elementi, indicativi dell’assenza di un pericolo di recidivanza, fornendo sul punto una motivazione del tutto assente e perciò censurabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e sconta la sua natura fattuale e confutativa delle argomentazioni espresse nell’impugnata ordinanza, con la quale peraltro non si confronta compiutamente.
La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa
l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
In riferimento ai limiti del sindacato di legittimità in materia di misure cautelari personali, questa Corte è quindi priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez. Un., n. 11 del 22/03/2000 , Audino, Rv. 215828 ), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 dell’11/03/1998, COGNOME, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391).
Giova sul punto richiamare anche il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigenze cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
In termini generali, deve anche ribadirsi che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un
motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi – giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 27498 del 23/5/2019, Puca, Rv. 276704; Sez. 1, n. 43258 del 22/05/2018, COGNOME, Rv. 275805; Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270172).
Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nella concreta fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, l’ordinanza esaminata, risulta avere adeguatamente sviscerato tutti gli elementi indiziari gravanti su NOME COGNOME averli ricondotti ad unità concettuale in coerenza con la loro concordanza e adottando una motivazione del tutto logica – avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente.
3.1. Con specifico riferimento alla ritenuta sussistenza di un grave quadro indiziario a carico dell’indagato con riferimento al capo 1), il Tribunale napoletano ha innanzitutto valorizzato le dichiarazioni di NOME COGNOME che indicava il COGNOME come affiliato al clan COGNOME, nell’ambito del quale si occupava prevalentemente di estorsioni e recupero d’armi; tali dichiarazioni avevano trovato conferma nelle propalazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, ed erano altresì riscontrate dalle stabili frequentazioni, come attestate dalle indagini di p.g., dell’indagato con altri intranei del clan (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME). Evidenziava altresì il Tribunale come dalle operazioni tecniche di intercettazione disposte nel procedimento instaurato per l’omicidio di NOME COGNOME ed il tentato omicidio di NOME COGNOME commessi il 13 marzo 2021, plurimi fossero i riferimenti a COGNOME (soprannominato O Show) quale affiliato ai COGNOME, coinvolto nella guerra in corso, e possibile bersaglio del contrapposto clan dei COGNOME. Altre conversazioni, infine, attestavano i rapporti dell’indagato con gli altri affiliati e la sua subordinazione rispetto a NOME COGNOME.
Il Tribunale richiamava, infine, tra gli elementi di sostegno dell’inserimento del COGNOME nell’associazione camorristica di cui al capo 1), la conv. 180 del 09/07/2021 dalla quale emergeva la “spasmodica attesa” da parte di NOME COGNOME che si trovava in carcere; di ottenere sostentamento economico dai COGNOME, anche per il tramite del COGNOME.
3.2. Con riferimento alla partecipazione del COGNOME nell’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 , di cui al capo 15), la gravità indiziaria a carico dell’indagato è stata desunta dai Giudici della cautela dal tenore delle conversazioni intercettate (riportate alle pagg. da 30 a 32 dell’impugnata ordinanza) da cui è emerso come il
ricorrente svolgesse stabilmente l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti, sia presso la piazza del INDIRIZZO, che “a volante”, previo contatto telefonico, collaborando in tale attività con NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi ritenuti gravemente indiziati di essere partecipi anche della parallela associazione camorristica di cui al capo 1). L’episodio contestato al capo 26, infine, trovava il suo fondamento nel contenuto di una conversazione intercettata il 09/05/2021 attestante l’offerta in vendita di sostanza stupefacente, ad opera di COGNOME unitamente a COGNOME, nei conforti di NOME COGNOME
Con argomentare non illogico, il Tribunale ha evidenziato come la stabile attività di spaccio operata dall’indagato, unitamente ad altri affiliati, dovesse ritenersi aggravata ex art. 416 bis.1 cod. pen. «trattandosi di spaccio praticato con stabilita da affiliato al clan al fine, dunque, anche di rafforzare l’operatività del contestato sodalizio sul territorio»; nel descrivere l’operatività dell’associazione di cui al capo 15), il Tribunale specificava peraltro come il controllo dei territori fosse garantito dal clan mafioso, il quale imponeva ai referenti di ogni piazza non solo le forniture, ma anche il pagamento di una percentuale degli utili. GLYPH
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Ebbene, a fronte di una tale esaustiva motivazione, il ricors è basato su una lettura alternativa dei dati processuali, per cui si risolve nella richiesta di nuovo apprezzamento in fatto, dunque di un tipo di sindacato non consentito in sede di legittimità.
In particolare, quanto al denunciato travisamento delle prove con specifico riferimento al significato ascritto dai Giudici al contenuto delle citate conversazioni, va ricordato che in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito soltanto in presenza di un travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e sempre che la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 237994 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 8/03/2012, COGNOME, Rv. 252190 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259516 – 01; Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01).
In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente si è limitato, in modo del tutto generico, a contestare la valenza dei sopra indicati elementi indiziari, senza però confrontarsi con il coerente ragionamento logico e giuridico svolto dal giudice a quo per confermare la ordinanza genetica. In sostanza, l’indagato contrappone una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è ammissibile in questa sede.
3.3. È infine manifestamente infondato l’ultimo motivo di ricorso.
Nel caso di specie al ricorrente è contestato (anche) il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. A tale paradigma normativo – come correttamente evidenziato nel provvedimento impugnato – deve applicarsi l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in base al quale, allorquando ricorrano gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di associazione di stampo mafioso, ovvero a uno dei delitti contemplati nell’art. 51, comma 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., è disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, per i soli reati citati nell’ultimo capoverso della norma e in relazione al caso concreto, quelle comunque sussistenti possono essere soddisfatte con altre misure. La giurisprudenza di legittimità, sul punto specifico, ha chiarito che in tali casi la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata esclusivamente dalla prova positiva, in ordine alla rescissione dei legami con l’organizzazione criminosa, non essendo invece richiesto un giudizio di attualità delle esigenze cautelari già insito nella disposizione speciale di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22096 del 03/07/2020, Rv. 279771; Sez. 1, n. 23113 del 19/10/2018, dep. 2019, Fotia, Rv. 276316; Sez. 5, n. 35848 del 11/06/2018, COGNOME, Rv. 273631; Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 269112).
Nel caso in esame, il Tribunale, in modo non manifestamente illogico, ha dato rilievo all’assenza di qualsiasi dato indicativo di un’ipotetica dissociazione dell’indagato dal sodalizio o di una recisione dei rapporti esistenti con l’organizzazione camorristica, nell’ambito del quale egli operava alle dirette dipendenze del capo sino ad epoca recente.
A fronte di tale motivazione, il ricorso si pone in termini meramente confutativi, sollecitando questa Corte a sovrapporre una, non consentita, diversa valutazione a quella, non manifestamente illogica, operata dai Giudici della cautela.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che – nella fattispecie – non ricorrono elementi che possano indurre a ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria di inammissibilità non può che conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, oltre che al versamento – in favore della Cassa delle ammende – di una somma che si stima equo fissare in euro tremila.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 18 marzo 2025
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Il Consigliere estensore
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