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Misure cautelari e art. 416-bis: limiti del ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere per associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) e narcotraffico. La sentenza ribadisce che il giudizio di legittimità sulle misure cautelari non consente una nuova valutazione dei fatti, ma si limita al controllo sulla violazione di legge e sulla manifesta illogicità della motivazione. La Corte ha ritenuto logica e congrua la decisione del Tribunale del Riesame, basata su dichiarazioni di collaboratori di giustizia riscontrate da intercettazioni, e ha confermato la corretta applicazione della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere per i reati di mafia.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure cautelari e art. 416-bis: la Cassazione sui limiti del ricorso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato i principi cardine che governano il ricorso contro le ordinanze in materia di misure cautelari e art. 416-bis c.p., ovvero il delitto di associazione di tipo mafioso. La decisione sottolinea la netta distinzione tra il giudizio di merito, incentrato sulla valutazione delle prove, e quello di legittimità, limitato al controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione. Il caso in esame riguardava un individuo accusato di far parte di un’associazione camorristica operante nel napoletano, con un ruolo attivo nelle estorsioni e nel narcotraffico.

Il Contesto del Ricorso: Le Accuse e la Decisione del Riesame

L’indagato aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la misura della custodia cautelare in carcere. Le accuse a suo carico erano gravissime: partecipazione ad associazione mafiosa, partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e concorso in detenzione e cessione di droga, con l’aggravante del metodo mafioso. Il quadro indiziario si fondava principalmente sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, corroborate da attività di intercettazione e indagini di polizia che attestavano i suoi stabili rapporti con altri affiliati al clan. La difesa, tuttavia, contestava la genericità e la mancanza di riscontri oggettivi di tali accuse, sostenendo che il Tribunale avesse travisato il contenuto delle conversazioni intercettate.

I Limiti del Giudizio di Cassazione in Materia di Misure Cautelari e art. 416-bis

La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio consolidato: il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. In tema di misure cautelari e art. 416-bis, il compito della Cassazione non è quello di riconsiderare gli elementi di prova o di sostituire la propria valutazione a quella del giudice della cautela. Il controllo si concentra esclusivamente sulla verifica di due aspetti: la violazione di specifiche norme di legge e la presenza di una motivazione manifestamente illogica o contraddittoria. Qualsiasi censura che miri a una diversa ricostruzione dei fatti o a una differente interpretazione delle prove è destinata all’inammissibilità.

La Valutazione degli Indizi e la Logicità della Motivazione

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale del Riesame fosse del tutto logica, coerente e completa. I giudici della cautela avevano correttamente valorizzato la convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori, che indicavano l’indagato come membro organico del clan con compiti specifici. Tali dichiarazioni trovavano riscontro nelle frequentazioni documentate e nel contenuto delle intercettazioni, dalle quali emergeva il suo coinvolgimento nelle dinamiche associative e nelle attività illecite, come lo spaccio di stupefacenti. La Corte ha specificato che proporre una lettura alternativa delle conversazioni, come fatto dalla difesa, costituisce un tentativo di apprezzamento di merito non consentito in sede di legittimità.

La Presunzione di Pericolosità e l’Onere della Prova per l’Indagato

Un punto cruciale della decisione riguarda le esigenze cautelari. Per il reato di cui all’art. 416-bis c.p., l’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce una doppia presunzione: si presumono esistenti le esigenze cautelari e si presume che solo la custodia in carcere sia una misura adeguata a fronteggiarle. Per superare tale presunzione, non è sufficiente addurre elementi generici, come un trasferimento per lavoro in un’altra regione. L’indagato ha l’onere di fornire la prova positiva e inequivocabile di aver reciso ogni legame con l’organizzazione criminale. In assenza di tale prova, che nel caso di specie mancava del tutto, la decisione di mantenere la custodia in carcere è stata ritenuta giuridicamente corretta e non illogica.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la propria decisione di inammissibilità evidenziando la natura fattuale e confutativa del ricorso. La difesa non ha denunciato reali vizi di legge o palesi illogicità nel ragionamento del Tribunale, ma ha tentato di contrapporre la propria interpretazione del materiale probatorio a quella, congrua e ben argomentata, dei giudici del riesame. Questo approccio si scontra con i limiti strutturali del sindacato della Cassazione. La motivazione del provvedimento impugnato è stata giudicata esaustiva, avendo analizzato in modo coerente tutti gli elementi a carico dell’indagato, riconducendoli a un quadro unitario di gravità indiziaria sia per la partecipazione all’associazione mafiosa sia per il coinvolgimento nel narcotraffico. La Corte ha inoltre sottolineato che, per l’applicazione delle misure cautelari, è sufficiente un giudizio di qualificata probabilità di colpevolezza, non essendo richiesto lo stesso standard probatorio necessario per una sentenza di condanna definitiva.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza riafferma la rigidità dei confini del giudizio di legittimità in materia di misure cautelari, specialmente per reati di eccezionale gravità come l’associazione mafiosa. La decisione conferma che, di fronte a una motivazione logicamente strutturata e aderente ai dati processuali, il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un’occasione per rimettere in discussione l’apprezzamento dei fatti. Viene inoltre ribadita la forza della presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., che pone a carico dell’indagato un onere probatorio particolarmente gravoso per ottenere una misura meno afflittiva del carcere. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

È possibile ottenere in Cassazione una nuova valutazione delle prove in un procedimento per misure cautelari?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o fornire una diversa valutazione delle prove. Il suo controllo è limitato alla violazione di specifiche norme di legge e alla manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato.

Quali sono i requisiti per applicare la custodia in carcere per il reato di associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.)?
È sufficiente la presenza di gravi indizi di colpevolezza. L’art. 275, comma 3, c.p.p. stabilisce una presunzione legale secondo cui, per questo tipo di reato, sussistono le esigenze cautelari che impongono la custodia in carcere, salvo che l’indagato fornisca la prova positiva di aver reciso ogni legame con l’organizzazione criminale.

Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono sufficienti per fondare gravi indizi di colpevolezza?
Sì, se vengono adeguatamente riscontrate da altri elementi. Nel caso di specie, le dichiarazioni dei collaboratori sono state ritenute attendibili perché confermate da altre fonti di prova, come le frequentazioni dell’indagato con altri affiliati (attestate da indagini di polizia) e il contenuto delle intercettazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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