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Misure cautelari e 41-bis: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un detenuto in regime 41-bis, destinatario di ulteriori misure cautelari per l’uso di un cellulare in cella. La Corte ha confermato la possibilità di configurare un concorso del detenuto nel reato altrui, anche prima della riforma del 2020. Tuttavia, ha annullato l’ordinanza cautelare per insussistenza delle esigenze cautelari, ritenendo che il regime del 41-bis fosse già la massima restrizione possibile, rendendo inefficace qualsiasi ulteriore misura.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Cautelari e Regime 41-bis: Quando un’Ulteriore Detenzione è Inefficace

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 20682/2024 affronta un tema di grande rilevanza nel diritto penale e processuale: l’applicabilità di misure cautelari nei confronti di un soggetto già sottoposto al regime detentivo speciale del 41-bis, comunemente noto come ‘carcere duro’. La pronuncia chiarisce i limiti e le condizioni di tale applicazione, ponendo l’accento sulla necessità di un’effettiva e concreta esigenza che giustifichi un’ulteriore compressione della libertà personale.

I Fatti del Caso: Un Cellulare in Cella Speciale

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Bologna che, su appello del Pubblico Ministero, aveva disposto la custodia cautelare in carcere per un detenuto. L’accusa era quella di aver concorso nel reato previsto dall’art. 391-bis del codice penale, per aver utilizzato dei telefoni cellulari all’interno della sua cella. I dispositivi sarebbero stati introdotti illecitamente da un’infermiera in servizio presso l’istituto penitenziario.

L’indagato, già sottoposto al rigido regime del 41-bis dell’ordinamento penitenziario, ha presentato ricorso per cassazione avverso tale provvedimento, sollevando due questioni principali.

La Questione Giuridica: Concorso e Concretezza delle Esigenze Cautelari

Il ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali:

1. La configurabilità del concorso nel reato: Si sosteneva che, all’epoca dei fatti (prima della modifica legislativa del 2020), la norma puniva solo chi ‘consentiva’ la comunicazione al detenuto, e non il detenuto stesso. Di conseguenza, la sua responsabilità poteva derivare solo da un concorso (nella forma dell’istigazione) nel reato commesso dall’infermiera, concorso che a suo dire non era stato sufficientemente provato.
2. L’assenza di esigenze cautelari: Il secondo e più rilevante motivo riguardava la mancanza di un concreto pericolo di reiterazione del reato. Essendo già sottoposto al regime del 41-bis, il detenuto si trovava nella condizione di massima restrizione possibile, rendendo una nuova misura cautelare priva di qualsiasi effetto deterrente o pratico.

La Decisione della Cassazione sulle Misure Cautelari

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni opposte per ciascuno di essi.

Il Concorso del Detenuto nel Reato è Configurabile

Sul primo punto, la Corte ha respinto la tesi difensiva. Ha affermato che, anche prima della riforma che ha introdotto una specifica punibilità per il detenuto che comunica, quest’ultimo poteva essere chiamato a rispondere a titolo di concorso nel reato commesso dal soggetto esterno. Secondo i principi generali del nostro ordinamento, chi istiga o agevola la commissione di un reato risponde dello stesso insieme all’autore materiale. Pertanto, il ruolo di istigatore attribuito al detenuto era sufficiente a fondare la gravità indiziaria a suo carico.

L’Insussistenza delle Misure Cautelari Concrete

Sul secondo motivo, invece, la Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni del ricorrente. La decisione si fonda su un principio di effettività e concretezza. Le misure cautelari non possono essere un’automatica conseguenza di un’accusa, ma devono rispondere a pericoli reali e attuali che la misura stessa è in grado di neutralizzare.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che il detenuto era già sottoposto al regime del 41-bis, il quale rappresenta la forma più severa di detenzione, finalizzata proprio a impedire ogni tipo di comunicazione con l’esterno e con l’organizzazione criminale di appartenenza. In un simile contesto, applicare un’ulteriore misura di custodia cautelare per lo stesso tipo di reato risulterebbe un provvedimento ‘inutile’. La sua libertà personale era già compressa al massimo grado, e l’ordinanza impugnata non avrebbe potuto aggiungere alcun effetto deterrente o restrittivo ulteriore. Mancava, quindi, il requisito fondamentale della concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, rendendo la misura illegittima. Per questa ragione, la Corte ha annullato l’ordinanza senza nemmeno la necessità di un nuovo giudizio (annullamento senza rinvio).

Conclusioni

La sentenza n. 20682/2024 stabilisce un principio di diritto cruciale: la valutazione delle esigenze cautelari deve sempre essere ancorata a una disamina concreta della situazione di fatto del soggetto. Non è sufficiente la gravità del reato contestato per giustificare una misura restrittiva, ma è necessario che tale misura sia funzionale a prevenire un pericolo effettivo. Nel caso di un detenuto in regime di 41-bis, il livello di controllo e isolamento è tale da neutralizzare, di per sé, il rischio di reiterazione di reati legati alla comunicazione illecita, rendendo superflua e non giustificabile un’ulteriore misura cautelare per la medesima finalità.

Un detenuto poteva essere punito per l’uso di un cellulare in carcere prima della riforma del 2020?
Sì, ma non per un reato autonomo. La Cassazione chiarisce che poteva rispondere a titolo di concorso (ad esempio, come istigatore) nel reato commesso da chi ha introdotto illecitamente il telefono in carcere.

È possibile applicare una misura cautelare a un detenuto già sottoposto al regime del 41-bis?
La Corte ha stabilito che è possibile solo se sussistono esigenze cautelari concrete e ulteriori. Nel caso di specie, ha annullato la misura perché il regime del 41-bis era già di per sé sufficientemente restrittivo da escludere il pericolo di reiterazione del reato, rendendo la nuova misura inefficace.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza senza rinvio?
Ha annullato senza rinvio perché ha ritenuto manifestamente insussistente il requisito delle esigenze cautelari. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte ha potuto decidere direttamente nel merito della questione giuridica, annullando definitivamente il provvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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