Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20682 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20682 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 30/11/2022 emessa dal Tribunale di Bologna visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio; udito l’AVV_NOTAIO, il quale chiede l’accoglimento del ricorso e si riporta alla memoria difensiva.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bologna, pronunciando a seguito di appello cautelare proposto dal pubblico ministero, riformava parzialmente l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari aveva negato la misura cautelare richiesta nei confronti dell’indagato, in relazione al reato di cui all’art. 391-bis cod. pen
ritenendo l’insussistenza delle esigenze cautelari.
Per effetto di tale pronuncia (la cui efficacia restava sospesa in attesa della sua definitività) nei confronti dell’indagato veniva applicata la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, avendo il Tribunale ritenuto che i plurimi ceilulari rinvenuti nella cella di COGNOME – detenuto sottoposto al regime di cui all’art 41-bis ord.pen. – gli fossero stati consegnati in carcere da NOME COGNOME, all’epoca in servizio nell’istituto quale infermiera.
Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla gravità indiziaria, assumendo che la norma all’epoca applicabile non prevedeva l’autonoma punibilità del detenuto, introdotta solo per effetto delle modifiche apportate dall’art. 8, comma 1, lett.a), d.l. n. 130 del 2020.
La responsabilità di COGNOME, pertanto, era stata individuata ipotizzando il concorso, nelle forme dell’istigazione a delinquere, nei confronti della COGNOME, la quale, mediante l’introduzione in carcere dei cellulari, avrebbe consentito al detenuto di comunicare con altri, in elusione delle limitazioni insite nel regime detentivo.
Sostiene il ricorrente che il concorso nel reato avrebbe richiesto l’individuazione della coscienza e volontà di COGNOME di concorrere nella commissione del reato, non essendo sufficiente che egli abbia beneficiato della realizzazione dello stesso.
Argomentando in tal senso, si è sottolineato come la generica individuazione di un interesse alla commissione del reato può costituire motivo di sospetto, senza per ciò solo fondare la gravità indiziaria in ordine al concorso nel reato.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen., difettando la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione del reato, stante la condizione detentiva – peraltro con sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis, ord.pen. – in atto nei confronti dell’indagato.
Evidenzia il ricorrente che, considerando le modalità della condotta, il luogo di svolgimento del reato e la già attuale privazione della liberà, oltre che la sottoposizione a un regime detentivo rafforzato, non vi sarebbe alcuna ulteriore e reale esigenza cautelare meritevole di tutela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati
In relazione al primo motivo di ricorso, deve ritenersi la manifesta infondatezza delle doglianze concernenti l’attribuzione a COGNOME del ruolo di istigatore della condotta posta in essere dalla COGNOME, che aveva materialmente provveduto a introdurre in carcere e consegnare i cellulari utilizzati dal ricorrente per comunicare con l’esterno.
Su tale aspetto, infatti, il Tribunale ha compiuto una esaustiva ricostruzione dei rapporti – evidentemente confidenziali – esistenti tra il ricorrente e la COGNOME nonché dell’apporto concorsuale fornito dal ricorrente, non solo istigando l’autrice materiale del fatto, ma anche fornendo necessarie indicazioni sulle modalità di reperimento dei cellulari successivamente introdotti in carcere.
2.2. Maggiore attenzione richiede, invece, la questione giuridica concernente la configurabilità del reato di cui all’art. 391-bis cod.pen. in capo al detenuto.
Occorre premettere che i fatti in oggetto si sono verificati prima dell’introduzione (ex d.l. n.130 del 2020) del comma terzo dell’art. 391bis, cod.pen., che prevede la punibilità del detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all’art. 41-bis ord.pen., che comunichi con altri in elusione delle prescrizioni imposte.
All’epoca di commissione del fatto, pertanto, l’art. 391-bis cod.pen. sanzionava la sola condotta realizzata da “chiunque” consenta a un detenuto, sottoposto al regime speciale sopra indicato, di comunicare con altri.
Sostiene il ricorrente, quindi, che solo dopo la richiamata estensione della norma incriminatrice risulterebbe punibile la condotta del detenuto che, in precedenza, doveva ritenersi esclusa dall’ambito di rilevanza penale, posto che il fatto tipico era limitato alla condotta di «chiunque consente» la comunicazione del detenuto, salva restando l’irrilevanza penale della successiva condotta di “comunicazione” commessa dal soggetto agevolato.
Seguendo tale impostazione, l’autore della condotta tipica doveva essere individuato esclusivamente nel soggetto che “consente” la comunicazione, dovendosi ritenere che il reato avesse la struttura di una fattispecie monosoggettiva, rispetto alla quale la successiva effettiva comunicazione, in violazione del regime di cui all’art. 41-bis ord.pen., assumeva mera rilevanza disciplinare per il detenuto.
Ragionando in quest’ottica, parte della dottrina che si è occupata della tematica aveva affermato che ii detenuto non poteva mai assumere il ruolo di autore della condotta, posto che l’oggetto della stessa era proprio l’agevolazione della sua comunicazione.
Secondo altra impostazione, il detenuto, pur non potendo porre in essere la
condotta tipizzata dalla norma incriminatrice, ben poteva rispondere dell’illecito consumato da altri, secondo le consuete regole in materia di concorso di persone nel reato, qualora risulti aver istigato l’autore a commetterlo.
Quest’ultima soluzione, recepita nell’ordinanza impugnata, è quella che si ritiene meritevole di accoglimento, dovendosi valorizzare il consolidato principio secondo cui le condotte concorsuali non richiedono la commissione, sia pur parziale, del fatto tipico, ben potendo consistere anche in condotte meramente agevolative o di istigazione, purchè causalmente rilevanti, ai fini della commissione del reato. Costituisce un incontroverso principio di diritto l’affermazione secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, stante la struttura unitaria del reato concorsuale, allorché si realizza la combinazione di diverse volontà finalizzate alla produzione dello stesso evento, ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa per cui, quando l’attività del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l’evento verificatosi è da considerare come l’effetto dell’azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l’azione tipica del reato (Sez.2, n. 51174 dell’1/10/2019, Lucà, Rv. 278012).
L’evento del reato concorsuale, in ragione della struttura unitaria di detto reato, deve essere considerato l’effetto della condotta combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che ne hanno posto in essere una parte priva dei requisiti di tipicità (Sez.5, n. 40449 del 10/7/2009, COGNOME, Rv. 244916).
Applicando tali principi al caso di specie, ne consegue che la condotta tipica del reato in esame consiste nel “consentire” al detenuto di comunicare, con la conseguenza che il detenuto ben può concorrere con la condotta di colui che materialmente predispone i mezzi e le condizioni affinchè la comunicazione si realizzi, purchè abbia realizzato quanto meno una condotta di istigazione o, comunque, di agevolazione.
Quanto detto comporta che, nel regime antecedente all’introduzione della previsione dell’autonoma figura di reato attualmente prevista dall’art. 391-bis, comma terzo, cod. pen., il detenuto non poteva rispondere di alcun reato per il mero fatto di aver comunicato in violazione delle prescrizioni impostegli, mentre ben poteva concorrere nel reato commesso da colui che aveva consentito il verificarsi di tale comunicazione, sempre che tale agevolazione sia l’effetto dell’elusione delle prescrizioni imposte al detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord.pen. (in AVV_NOTAIO, sul reato in esame, si veda Sez.6, n. 34098 del 28/6/2023, Fontana, Rv. 285156).
2.3. Sulla base della ricostruzione che precede, il fatto che, con l’intervento normativo del 2020, sia stata espressamente prevista la punibilità del detenuto che comunichi in violazione delle limitazioni impostegli, non consente di desumere a contrario che analoghe condotte commesse precedentemente fossero penalmente irrilevanti.
La novella, infatti, è essenzialmente intervenuta non già per ampliare l’ambito applicativo della disposizione contenuta all’art. 391-bis, comma primo, cod.pen., bensì per sanzionare in sé per sè la condotta di “comunicare” realizzata dal detenuto, a prescindere dal fatto che questa sia stata consentita dall’ausilio prestato da terzi. A tal riguardo, è significativo che nei lavori preparatori della legge di conversione si riconosca come, con l’introduzione del reato di “comunicazione” del detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41-bis ord.pen., è stata data rilevanza penale ad una condotta che, in precedenza, integrava un mero illecito amministrativo.
In definitiva, all’esito della novella risultano punibili sia l’extraneus che consenta al detenuto di comunicare, sia il detenuto che – con l’ausilio di concorrenti ovvero autonomamente – comunichi con altri in elusione delle prescrizioni imposte.
Ne consegue che l’ampliamento delle condotte di reato, realizzata mediante l’introduzione dell’art. 391-bis, comma terzo, cod. pen. non è dipesa dalla necessità di estendere la punibilità del detenuto rispetto all’ipotesi del concorso con il terzo che agevoli le comunicazioni, bensì è funzionale a sanzionare in via autonoma la condotta di comunicazione, pur se realizzata senza l’ausilio di terzi, realizzata dal detenuto che violi le prescrizioni imposte dal regime detentivo.
3. Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Rileva il ricorrente che lo stato detentivo e la sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis, ord.pen., costituiscono di per sé presidi idonei ad escludere il rischio di reiterazione del reato.
La deduzione è pienamente condivisibile, dovendosi sottolineare come – ove pure venisse confermata la misura cauteiare custodiale – il regime detentivo cui risulta sottoposto il ricorrente rimarrebbe inalterato e, quindi, non si realizzerebbe alcun concreto effetto deterrente ulteriore.
Quanto detto consente di affermare che le esigenze cautelari rappresentate nell’ordinanza impugnata non sono concretamente ravvisabili, posto che il grado di limitazione della libertà personale cui è sottoposto il ricorrente non è ulteriormente comprimibile.
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che l’ordinanza impugnata debba essere annullata senza rinvio, difettando il requisito delle esigenze cautelari e non occorrendo, a tal riguardo, alcun ulteriore accertamento di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. Così deciso il 26 marzo 2024
Il Consigliere estensore
La Presidente