Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21541 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21541 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MONTERONI DI LECCE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Lecce, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa 11 16/10/2023 dal GIP presso lo stesso Tribunale nei confronti di NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziato in ordine al reato previsto dall’art.74, commi 2-5 e 80, comma 2 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, contestato al capo 1) dell’imputazione provvisoria nonché a quello previsto dall’art.73, comma 1, dello stesso d.P.R., contestato ai capi 15) e 19).
Il Tribunale ha preliminarmente rigettato l’eccezione difensiva inerente alla mancata trasmissione integrale dei decreti autorizzativi di intercettazione, rilevando come l’omessa trasmissione medesima non determinasse alcuna ipotesi di inutilizzabilità, non avendo la difesa richiesto l’acquisizione dei provvedimenti; ha altresì ritenuto pienamente utilizzabili le immagini tratte da videoriprese su luoghi posti nella pubblica via, argomentando come in tale caso non fosse necessaria alcuna autorizzazione da parte del giudice.
In ordine ai gravi indizi di colpevolezza, il Tribunale ha premesso che non sussistendo motivi di riesame inerenti alla sussistenza oggettiva dell’associazione contestata ai sensi dell’art.74, T.U. stup. – poteva farsi integrale rinvio a quanto argomentato in sede di ordinanza applicativa, a propria volta fondata su un’estesa attività di intercettazione telefonica e ambientale nonché su servizi di osservazione, pedinamento e controllo oltre che sui numerosi sequestri di sostanza stupefacente e comunque desunta sulla scorta: della suddivisione dei compiti tra gli associati; del numero di episodi di acquisto e cessione accertati; della disponibilità di ingenti somme di denaro; della disponibilità di apparecchi cellulari di ultima generazione non intercettabili; della ricorrenza del modus operandi.
In relazione alla specifica posizione del ricorrente, il Collegio ha fatto riferimento al compendio indiziario attinente ai reati fine, non fatti oggetto di contestazione da parte della difesa; dai quali risultava che il COGNOME aveva il ruolo di trasportatore di stupefacente per conto del sodalizio nonché quello di uomo di fiducia di NOME COGNOME, in grado anche di sostituirlo – durante il periodo in cui questi era agli arresti domiciliari – nelle trattative finalizzate all’acquisto delle sostanze.
In punto di esigenze cautelari, il Tribunale – alla luce della gravità del pericolo di reiterazione desumibile dalla gravità dei fatti contestati nonché della presenza di una precedente condanna per il reato previsto dall’art.74, T.U. stup. – ha ritenuto non superabile la doppia presunzigne prevista
dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., anche alla luce del coinvolgimento dell’indagato in un successivo fatto della stessa oggettività rispetto a quello contestato nella presente sede, confermando il giudizio del GIP in ordine all’adeguatezza della sola misura maggiormente afflittiva e ritenendo comunque non adeguata la misura degli arresti domiciliari, anche se accompagnati da modalità elettroniche di controllo.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto la violazione di legge per effetto della mancata rilevanza della caducazione della misura cautelare a seguito della mancata trasmissione dei decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni, con conseguente violazione dell’art.309, comma 10 e dell’art.306 cod.proc.pen..
Ha dedotto che il p.m. avrebbe trasmesso al GIP e, successivamente, al Tribunale del riesame, esclusivamente i decreti relativi all’installazione di videocamere nei pressi dell’abitazione di NOME COGNOME e in altri luoghi ritenuti utili ai fini investigativi nonché quelli di autorizzazione al c.d. pedinamento elettronico ma non quelli relativi alla intercettazioni telefoniche e ambientali, con specifico riferimento a quelli di cui al decreto n.307/2021, dai quali sarebbero stati tratti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti del ricorrente e che sarebbe stato onere del p.m. trasmettere ai sensi dell’art.309, comma 5, cod.proc.pen., con conseguente perdita di efficacia della misura derivante dal mancato adempimento.
Con il secondo motivo ha dedotto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. in relazione agli artt. 273 cod.proc.pen. e 74, T.U. stup., nonché, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., la manifesta illogicità e contraddittorietà del provvedimento impugNOME in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria relativa al reato associativo contestato all’indagato.
Ha dedotto che le conversazioni richiamate nell’ordinanza del Tribunale del riesame avrebbero dovuto considerarsi tali da provare l’estraneità del ricorrente al contesto associativo, atteso che dalle medesimi emergeva la partecipazione del COGNOME solo a un numero limitato di condotte; emergendo anche dalla conversazione intercettata in casa del COGNOME la distinzione di ruolo tra gli interlocutori e la conseguente mancanza del reciproco vincolo associativo.
Con il terzo motivo ha dedotto l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. in relazione agli artt. 275 e 275bis cod.proc.pen. e all’art.74, T.U. stup., nonché, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., la manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione in punto di sussistenza delle esigenze cautelarì,
Ha dedotto che il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato – ai fini del superamento della c.d. doppia presunzione – le dichiarazioni rese dall’indagato in sede di convalida dell’arresto e dalle quali sarebbe emerso come il COGNOME – avendo trovato lavoro in luogo distante dai luoghi in cui operava l’associazione criminale ed essendo divenuto padre di due figli aveva rescisso i suoi legami con l’associazione, rendendo non più attuale il pericolo di reiterazione del reato; ritenendo comunque che le esigenze avrebbero potuto eventualmente essere soddisfatte con la misura degli arresti domiciliari, eventualmente accompagnati da modalità elettroniche di controllo.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, la difesa del ricorrente ha dedotto l’intervenuta perdita di efficacia della misura – in relazione al combiNOME dei commi 5 e 10 dell’art.309, cod.proc.pen. – asseritamente derivante dalla mancata trasmissione dei decreti autorizzativi di intercettazioni e, nello specifico, di quello riguardante le intercettazioni ambientali disposte presso l’abitazione di NOME COGNOME e dalle quali sarebbero emersi i gravi indizi di colpevolezza a carico del COGNOME.
Il motivo è infondato.
Sul punto, in condivisione con quanto argomentato dal Tribunale distrettuale, va specificamente richiamato – anche in quanto relativo a fattispecie concreta pienamente sovrapponibile a quella di specie – il precedente espresso da Sez. 1, n. 823 del 11/10/2016, dep. 2017, NOME, Rv. 269291.
In tale sede era stato osservato che, se il principio generale è che l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere perde di efficacia
in caso di omessa trasmissione al Tribunale del riesame, da parte dell’autorità giudiziaria procedente, di tutti gli atti presentati a norma dell’art. 291, comma primo, cod. proc. pen., tra i quali rientrano anche i decreti di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche, senza che abbiano rilievo le ragioni di tale mancata trasmissione (smarrimento o disguido), essendo invece sufficiente che il giorno di trattazione del giudizio di riesame gli atti risultino oggettivamente mancanti (Sez. 1, n. 1840 del 28/11/2006 – dep. 2007, COGNOME, Rv. 236027), la sua applicazione comporta che, se i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non erano allegati alla richiesta del p.m. di applicazione della misura cautelare, la loro omessa trasmissione al Tribunale del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo non determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle intercettazioni (Sez. 6, n. 7521 del 24/01/2013 – dep. 15/02/2013, Cerbasio, Rv. 254586); tuttavia, la difesa dell’indagato può presentare specifica e tempestiva richiesta di acquisizione, così da permettere un efficace controllo di legittimità; la richiesta della parte obbliga il Tribunale ad acquisire d’ufficio tali decreti (Sez. 3, n. 42371 del 12/10/2007 – dep. 16/11/2007, Gulisano, Rv. 238059).
Nel caso in esame, i decreti autorizzativi non erano stati trasmessi al GIP all’atto della richiesta di misura cautelare e, pertanto, il p.m. non li aveva trasmessi al Tribunale.
Peraltro, come rilevato dal Tribunale e con deduzione non contestata, all’udienza celebrata ai sensi dell’art.309 cod.proc.pen., il difensore si era limitato ad eccepire l’inutilizzabilità delle intercettazioni per omessa trasmissione dei decreti, senza operare alcuna richiesta al Collegio di disporre la relativa acquisizione; conseguendone che il Tribunale non aveva quindi alcun obbligo di provvedere in tal senso.
Con il secondo motivo di doglianza il difensore ha dedotto l’insussistenza dei necessari elementi indiziari per configurare la partecipazione al sodalizio criminoso; specificamente deducendo che – in considerazione del limitato numero di episodi nei quali il ricorrente sarebbe stato asseritamente coinvolto – non sarebbe stato configurabile il necessario elemento rappresentato dalla affectio societatis.
Il motivo è inammissibile, tendendo lo stesso a una non consentita rivalutazione in punto di fatto delle argomentazioni spiegate dal Tribunale del riesame, con le quali il ricorso omette – di fatto – di confrontarsi incorrendo nel vizio di aspecificità.
3.1 Va quindi premesso che questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178); rilevando che, nel caso in cui si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME, Rv. 237475); spettando dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugNOME, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugNOME; se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugNOME.
3.2 Operata tale premessa, va rilevato che il Tribunale distrettuale dopo aver dato conto dei convergenti elementi indiziari confluenti al fine di
dimostrare l’esistenza dell’associazione – ha, con argomentazioni congrue e da ritenere esenti dai denunciati vizi di violazione della legge e di illogicità della motivazione – dato analiticamente conto della sussistenza della posizione di intraneità dell’odierno ricorrente rispetto al sodalizio criminoso.
Sul punto va premesso che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, Rv. 282139); dovendosi altresì richiamare il principio in base al quale, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’affectio di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato (Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, Rv. 278440 – 02; Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122).
Ricordando altresì che, per la configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, non è richiesto un atto di investitura formale, ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza stessa dell’associazione in un dato momento storico (Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257905; Sez. 3, n. 22124 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 263662).
3.3 La partecipazione del ricorrente è stata quindi congruamente evidenziata dal Tribunale anche in riferimento agli elementi indiziari relativi ai reati fine addebitagli e che sono idonei a configurarlo come soggetto stabilmente inserito nell’organizzazione come soggetto incaricato del trasporto della sostanza stupefacente – elemento congruamente desunto dalla conversazione tra NOME COGNOME e la madre del 04/09/2021 – ma anche come elemento in grado di provvedere alle trattative di acquisto per conto del COGNOME nel periodo in cui questi, individuato nell’ipotesi accusatoria come vertice del sodalizio, si trovava in regime di arresti domiciliari; elemento desunto dal Tribunale sulla base della conversazione avente come parte lo stesso COGNOME del 07/09/2021, in cui si faceva riferimento all’acquisizione di elevatissime quantità di stupefacente, elemento altresì confermato dalla conversazione del 12/07/2021 tra il
NOME e la COGNOME, dalla quale emergeva lo stabile ruolo rivestito in tale senso dal ricorrente.
L’interpretazione operata dal Tribunale in ordine alla valenza delle predette intercettazioni appare quindi esente dal lamentato vizio di illogicità; dovendosi richiamare, sul punto, il consolidato orientamento di questa Corte in base al quale, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337).
Si tratta quindi di un compendio indiziario sulla scorta del quale il Collegio, con motivazione non manifestamente illogica, ha desunto la stabilità del ruolo rivestito dal ricorrente all’interno del sodalizio.
Con il terzo motivo di impugnazione, il difensore ha dedotto la sussistenza di elementi idonei a superare la c.d. doppia presunzione dettata dall’art.275, comma 3, cod.proc.pen., il quale prevede che – quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati elencati nell’art.51, comma 3-bis, cod.proc.pen. (tra cui rientra quello contestato nella presente sede) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure»; adducendo comunque che sussistessero elementi tali da poter dimostrare l’idoneità della gradata misura degli arresti domiciliari, eventualmente accompagNOME da modalità elettroniche di controllo.
Il motivo è infondato, in relazione a entrambi i profili dedotti.
4.1 Nel caso di specie, la Corte ha congruamente motivato in ordine ai dati positivi rappresentati dalla gravità delle condotte ascritte all’indagato – atteso che dal compendio indiziario emergeva il costante coinvolgimento in trattative aventi a oggetto rilevanti quantità di stupefacente e il suo pieno e stabile coinvolgimento nell’attività del sodalizio criminoso – e dalla presenza di una precedente condanna per analoga fattispecie delittuosa, elementi da cui è stata tratta la insussistenza di qualsiasi elemento idoneo a superare la predetta presunzione relativa.
Non ravvisandosi, in relazione alla deduzione della difesa, la sussistenza di alcun vulnus motivazionale inerente alla mancata valutazione delle dichiarazioni rese dallo stesso indagato; il quale, in sede di interrogatorio di garanzia, si è avvalso della facoltà di non rispondere e ha fornito alcune asserzioni attinenti al proprio attuale stato lavorativo e familiare che il Collegio non ha ritenuto idonee a essere valutati ai fini predetti.
Dovendosi anche ricordare, sul punto, che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. detta presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo; dovendosi rilevare che, nella materia cautelare, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagNOME da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Ferri Rv. 282766 – 02).
Sul punto, deve prendersi atto che la giurisprudenza di legittimità ha comunque rilevato che, pur in presenza della suddetta presunzione, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 4/5/2022, Scozzafava, Rv. 281273 – 02).
Nel caso di specie, peraltro, deve ritenersi che l’ordinanza impugnata abbia adeguatamente adempiuto al suddetto onere argomentativo; emergendo dal complessivo tessuto motivazionale la deduzione in base alla quale la presunzione relativa, anche in riferimento al tempo trascorso dalla commissione delle condotte, non fosse superabile alla luce degli elementi rappresentati dal volume di affari dell’associazione, dal numero delle transazioni, dalla quantità e qualità dei compartecipi; elementi da ritenere rilevanti anche in relazione al ricorrente, attesa la sussistenza di un grave compendio indiziario in ordine allo svolgimento di un’attività pienamente intranea a quella del sodalizio,
4.2.. Infondato è anche il secondo punto del motivo di impugnazione, con il quale la difesa ha dedotto il difetto di motivazione dell’ordinanza in relazione all’eventuale adeguatezza della misura degli arresti domiciliari accompagnati da modalità elettroniche di controllo.
In relazione a tale profilo, va ricordato che Sez.U., 28/4/2016, n.20769, COGNOME, RV. 266651 avevano ritenuto (punto 4.1 del “considerato in diritto) che, all’indomani della riforma introdotta dalla I. 16 aprile 2015, n.47 e ove non si sia al cospetto di una ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura di massimo rigore, deve ritenersi sempre necessaria, in sede di applicazione di una misura cautelare personale, una esplicita motivazione sulla inidoneità degli arresti domiciliari controllati.
Il principio espresso dalle Sezioni unite ha peraltro trovato una successiva elaborazione da parte delle Sezioni semplici, le quali hanno ritenuto che il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275b1s cod.proc.pen.; con la conseguenza che deve ritenersi assolto l’onere motivazionale sulla assoluta proporzionalità della misura carceraria – in relazione all’art.275, comma 3bis, cod.proc.pen. – quando si esclude in radice l’idoneità del regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controllo elettronico in relazione all’art.275bis cod.proc.pen., il quale dispone che tali modalità sono sempre disposte dal Giudice procedente «salvo che le ritenga non necessarie» (in termini, sez.2, n.31572 del 2017, Caterino, RV. 270463; sez.2, n.43042 del 2019, Marsili, RV. 277762).
Peraltro, nel caso di specie, il Tribunale ha specificamente e congruamente motivato in ordine all’inadeguatezza della misura gradata anche se accompagnata dalle predette modalità di controllo – sulla base di una prognosi negativa in ordine all’attitudine dell’indagato al rispetto delle relative prescrizioni, con specifico riferimento a quella del divieto di comunicare con persone diverse da quelle conviventi.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma iter disp. att. cod. proc. pen..
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19 marzo 2024
Il Cansigliere estensore
Il Presidente