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Misure Cautelari: Cassazione su intercettazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, confermando la legittimità delle misure cautelari in carcere. La sentenza chiarisce che la mancata trasmissione dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni non le rende inutilizzabili se la difesa non ne chiede specificamente l’acquisizione. Inoltre, la Corte ha ribadito la forza della presunzione di pericolosità per questo tipo di reato, ritenendo non sufficienti a superarla le mutate condizioni di vita dell’indagato.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure Cautelari e Intercettazioni: La Cassazione Conferma la Custodia in Carcere

Con la sentenza n. 21541 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su temi cruciali della procedura penale, in particolare sulla gestione delle prove derivanti da intercettazioni e sull’applicazione delle misure cautelari per reati associativi di grave allarme sociale. La decisione offre importanti chiarimenti procedurali per la difesa e conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in materia di traffico di stupefacenti.

I Fatti del Caso: Traffico di Stupefacenti e Ruolo dell’Indagato

Il caso riguarda un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Lecce nei confronti di un individuo, gravemente indiziato di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90) e di aver partecipato a singoli episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90).

Secondo l’accusa, basata su un’ampia attività investigativa che includeva intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione e sequestri, l’indagato non era un semplice partecipe, ma ricopriva un ruolo di fiducia all’interno del sodalizio. Egli agiva come trasportatore di stupefacenti e come sostituto di uno dei vertici dell’organizzazione nelle trattative per l’acquisto delle sostanze, specialmente quando quest’ultimo si trovava agli arresti domiciliari. Il Tribunale del Riesame aveva confermato l’impianto accusatorio e la misura cautelare in carcere.

I Motivi del Ricorso e le misure cautelari

La difesa ha impugnato l’ordinanza del Riesame davanti alla Corte di Cassazione, sollevando tre principali motivi di ricorso:

1. Violazione di legge sulle intercettazioni: Si lamentava la mancata trasmissione al Tribunale del Riesame di tutti i decreti di autorizzazione e proroga delle intercettazioni, sostenendo che tale omissione dovesse comportare la caducazione della misura cautelare.
2. Insussistenza dei gravi indizi: La difesa sosteneva che le prove raccolte, in particolare le conversazioni intercettate, non dimostrassero un inserimento stabile dell’indagato nel gruppo criminale (affectio societatis), ma solo una partecipazione a un numero limitato di episodi.
3. Errata valutazione delle esigenze cautelari: Si contestava la decisione di applicare la massima misura restrittiva, senza considerare adeguatamente elementi favorevoli all’indagato (un nuovo lavoro, la paternità) che, secondo la difesa, avrebbero potuto giustificare una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

La Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettando tutte le censure difensive e confermando la legittimità dell’ordinanza impugnata.

Sull’Utilizzabilità delle Intercettazioni

In merito al primo motivo, la Corte ha chiarito un importante principio procedurale. Sebbene la legge preveda la trasmissione di tutti gli atti al Tribunale del Riesame, l’eventuale omissione non determina automaticamente l’inutilizzabilità delle intercettazioni. La Cassazione ha specificato che spetta alla difesa, una volta rilevata la mancanza, presentare una richiesta specifica e tempestiva di acquisizione dei decreti mancanti. Nel caso di specie, la difesa si era limitata a eccepire l’inutilizzabilità senza chiedere l’acquisizione, un comportamento che non fa sorgere alcun obbligo per il giudice di provvedere d’ufficio. Di conseguenza, le prove sono state ritenute pienamente utilizzabili.

Sulla Sussistenza dei Gravi Indizi di Colpevolezza

Sul secondo punto, la Corte ha giudicato il motivo inammissibile, in quanto mirava a una rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. I giudici hanno sottolineato che il Tribunale del Riesame aveva fornito una motivazione logica e congrua, evidenziando come dalle conversazioni emergesse chiaramente il ruolo stabile e fiduciario dell’indagato, incaricato non solo del trasporto ma anche di delicate trattative per l’acquisto di ingenti quantità di droga. Questo, secondo la Corte, è sufficiente a configurare la partecipazione stabile al sodalizio.

Sulle Esigenze Cautelari e la Doppia Presunzione

Infine, riguardo alle misure cautelari, la Cassazione ha confermato la corretta applicazione della cosiddetta ‘doppia presunzione’ prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per reati come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Questa norma presume sia la sussistenza di un concreto pericolo di reiterazione del reato, sia l’inadeguatezza di qualsiasi misura diversa dal carcere. Gli elementi portati dalla difesa (lavoro, famiglia) e il tempo trascorso dai fatti sono stati ritenuti non sufficienti a vincere tale presunzione, data la gravità delle condotte, il volume d’affari dell’associazione e una precedente condanna a carico dell’indagato per un reato analogo. La Corte ha ritenuto logica la prognosi negativa del Tribunale sull’idoneità degli arresti domiciliari, anche con controllo elettronico, a contenere la sua pericolosità sociale.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su consolidati principi giurisprudenziali. In primo luogo, viene riaffermato l’onere della parte di attivarsi processualmente: la difesa non può rimanere passiva di fronte a una presunta omissione documentale, ma deve richiederne formalmente l’integrazione. In secondo luogo, la Corte ribadisce la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità: la Cassazione non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella, logicamente motivata, del giudice del riesame. Infine, la sentenza sottolinea la particolare gravità dei reati associativi legati al narcotraffico, che giustifica un regime cautelare presuntivo e rigoroso, superabile solo da elementi concreti e inequivocabili che dimostrino l’assenza di pericolosità, elementi che nel caso specifico non sono stati ravvisati.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma della linea di rigore della giurisprudenza in materia di misure cautelari per i reati di criminalità organizzata. Per gli operatori del diritto, essa ribadisce due lezioni fondamentali: l’importanza di una strategia difensiva attiva e puntuale nella fase del riesame, specialmente per quanto riguarda la completezza del materiale probatorio, e l’estrema difficoltà di superare le presunzioni legali di pericolosità previste dal legislatore per i reati di maggiore allarme sociale.

Cosa succede se i decreti di autorizzazione delle intercettazioni non vengono trasmessi al Tribunale del Riesame?
La loro mancata trasmissione non comporta automaticamente l’inutilizzabilità delle intercettazioni. Secondo la Corte, la difesa ha l’onere di presentare una specifica e tempestiva richiesta di acquisizione di tali decreti. Se la difesa si limita a eccepire l’inutilizzabilità senza avanzare tale richiesta, il giudice non ha l’obbligo di acquisirli d’ufficio e le prove restano utilizzabili.

Un numero limitato di episodi criminali è sufficiente a escludere la partecipazione a un’associazione a delinquere?
No. La Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità della partecipazione a un’associazione criminale, non rileva la durata o il numero delle condotte, ma il ruolo stabile e funzionale dell’agente all’interno della struttura. Anche un contributo fornito per un periodo limitato può essere sufficiente a dimostrare l’inserimento nel sodalizio, se da esso si desume la volontà di far parte del gruppo (affectio societatis).

Un nuovo lavoro e la nascita di figli possono bastare per ottenere gli arresti domiciliari invece del carcere per reati di narcotraffico associativo?
No, non necessariamente. Per reati come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, opera una presunzione legale di pericolosità che rende il carcere la misura cautelare adeguata. Secondo la Corte, elementi come un nuovo lavoro o una famiglia, pur positivi, non sono di per sé sufficienti a superare questa presunzione, specialmente a fronte di gravi indizi, di un ruolo rilevante nell’organizzazione e di precedenti penali specifici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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