Misure Alternative: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
L’accesso alle misure alternative alla detenzione rappresenta un momento cruciale nel percorso di esecuzione della pena, mirando al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, il percorso per ottenerle può essere complesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti del ricorso contro un provvedimento di diniego, sottolineando la differenza tra contestazioni di fatto e vizi di legittimità.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato per violazione della legge sugli stupefacenti e altri reati, si vedeva respingere dal Tribunale di Sorveglianza la richiesta di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, alla detenzione domiciliare. Il Tribunale, confermando una precedente decisione del Magistrato di Sorveglianza, riteneva necessario un ulteriore periodo di osservazione del condannato prima di poter esprimere un giudizio positivo sulla sua idoneità a beneficiare di misure esterne al carcere.
Contro questa decisione, il difensore del condannato proponeva ricorso per Cassazione.
I Motivi del Ricorso e le Misure Alternative Richieste
La difesa basava il proprio ricorso su diversi punti, sostenendo una violazione di legge e un difetto di motivazione. In particolare, si evidenziava che:
1. Il soggetto non era sottoposto a nuovi procedimenti penali.
2. Aveva svolto attività lavorativa.
3. Era rientrato spontaneamente in Italia con l’intento di saldare il proprio debito con la giustizia.
Questi elementi, secondo la difesa, avrebbero dovuto indurre il Tribunale a concedere le misure alternative richieste, e il loro mancato accoglimento integrava, a suo dire, un vizio censurabile in sede di legittimità.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che le argomentazioni presentate dalla difesa non costituivano vizi di legittimità (come una violazione di legge o una motivazione palesemente illogica), bensì mere doglianze versate in fatto.
In altre parole, il ricorrente non stava denunciando un errore giuridico del Tribunale di Sorveglianza, ma stava semplicemente proponendo una diversa lettura degli elementi di fatto, contestando nel merito la valutazione discrezionale del giudice.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Cassazione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato i fatti, in questo caso il Tribunale di Sorveglianza. Il suo compito è verificare che la decisione impugnata sia stata presa nel rispetto della legge e con un percorso argomentativo logico e non contraddittorio.
Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza aveva motivato la sua decisione sulla base della necessità di un ulteriore periodo di osservazione. Questa è una valutazione prognostica che rientra pienamente nella sua competenza. La Cassazione ha ritenuto che tale motivazione fosse corretta dal punto di vista giuridico e priva di vizi logici. Le censure del ricorrente, essendo una mera riproposizione di argomenti già vagliati e disattesi correttamente in sede di merito, sono state considerate inammissibili.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un’importante lezione pratica: per impugnare con successo un provvedimento di diniego di misure alternative davanti alla Corte di Cassazione, è indispensabile concentrarsi su specifici errori di diritto o su palesi illogicità della motivazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con la valutazione del Tribunale di Sorveglianza sulla maturità del percorso rieducativo del condannato. La discrezionalità del giudice della sorveglianza in questo ambito è ampia e sindacabile solo entro i ristretti confini del giudizio di legittimità. La conseguenza della dichiarazione di inammissibilità è, inoltre, onerosa, comportando la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione del Tribunale di Sorveglianza sulla necessità di un ulteriore periodo di osservazione per concedere una misura alternativa?
No, secondo questa ordinanza non è possibile se la contestazione si limita a una diversa valutazione dei fatti. La Corte di Cassazione può intervenire solo in caso di vizi di legge o di motivazione illogica o contraddittoria, non per riesaminare nel merito la prognosi formulata dal giudice della sorveglianza.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Il fatto che un condannato sia rientrato spontaneamente in Italia e abbia lavorato è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale?
Non necessariamente. Questi elementi, sebbene positivi, vengono valutati dal Tribunale di Sorveglianza nel contesto di un giudizio più ampio. Come emerge dal caso, il Tribunale può ritenere che, nonostante questi aspetti, sia necessario un ulteriore periodo di osservazione prima di poter formulare un giudizio positivo sulla rieducazione e sulla non pericolosità sociale del condannato, negando così le misure alternative.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5776 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5776 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di BOLZANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Bolzano ha confermato il provvedimento con il quale il competente Magistrato di sorveglianza non aveva accolto l’istanza presentata da NOME COGNOME (soggetto condanNOME per violazione degli artt. 73 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, 337 e 582 cod. pen., con fine pena fissato al 27/11/2025), finalizzata a ottenere l’ammissione in via provvisoria all’affidamento al servizio sociale ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero la detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 -ter Ord. pen.; il Tribunale di sorveglianza di Bolzano, consequenzialmente, ha rigettato tale richiesta in via definitiva.
AVV_NOTAIO, difensore di NOME, impugna tale provvedimento, dolendosi della sussistenza del vizio ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per violazione di legge in relazione agli artt. 47 e 47ter Ord. pen., nonché della mancanza di motivazione dell’impugNOME provvedimento. La difesa insiste sul fatto che il soggetto non è sottoposto ad alcun nuovo procedimento penale, deducendo anche come egli abbia svolto attività lavorativa e abbia fatto spontaneamente rientro in Italia, proprio al fine di saldare il debito con la giustizia.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costituite da mere doglianze versate in fatto. Dette critiche, altresì, sono meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico, privo di vizi logici e contraddittorietà – dal Tribunale di sorveglianza di Bolzano. Invero, nell’impugNOME provvedimento si rileva la necessità di un ulteriore periodo di osservazione; secondo il convincimento espresso dal Tribunale di sorveglianza, quindi, non è attualmente possibile giungere alla formulazione di un giudizio positivo, in ordine al superamento della duplice prognosi da effettuare.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.