Misure Alternative: La Cassazione Conferma i Limiti di Pena
Le Misure Alternative alla detenzione rappresentano un pilastro fondamentale del nostro ordinamento penitenziario, mirando al reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, l’accesso a tali benefici è subordinato a precisi requisiti di legge, la cui assenza rende la richiesta inammissibile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza questo principio, confermando la decisione di un Tribunale di Sorveglianza che aveva respinto l’istanza di un detenuto a causa della pena residua troppo elevata.
Il Caso in Esame: Ricorso Contro il Diniego delle Misure
Il caso analizzato riguarda un individuo condannato che, tramite il suo difensore, aveva presentato ricorso contro un decreto del Tribunale di Sorveglianza. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibili le sue richieste volte a ottenere l’affidamento in prova, la detenzione domiciliare o la semilibertà.
Il ricorrente lamentava una presunta violazione di legge, richiamando diverse norme procedurali e costituzionali. Tuttavia, la questione centrale ruotava attorno a un presupposto oggettivo: l’entità della pena ancora da espiare.
I Limiti di Pena per le Misure Alternative
La legge stabilisce soglie precise di pena per poter accedere alle Misure Alternative. Nel caso specifico, il Tribunale di Sorveglianza aveva rilevato che la pena che il condannato doveva ancora scontare era superiore a quattro anni. Questo dato, da solo, è sufficiente a precludere l’accesso a benefici come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare.
Inoltre, per la misura della semilibertà, il ricorrente non aveva ancora espiato il quantum di pena minimo richiesto dalla normativa per poter presentare la domanda. Di fronte a questi ostacoli normativi insormontabili, il Tribunale non ha potuto fare altro che dichiarare l’istanza inammissibile.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato pienamente la decisione del primo giudice. I giudici supremi hanno qualificato le censure del ricorrente come “manifestamente infondate”. La motivazione della Corte è lineare e si basa su una semplice constatazione: non vi è stata alcuna violazione di legge da parte del Tribunale di Sorveglianza.
Il decreto impugnato era, infatti, corretto, poiché le Misure Alternative richieste erano oggettivamente inapplicabili a causa del superamento dei limiti di pena. La Cassazione ha sottolineato come la pena da scontare, essendo superiore a quattro anni, rendesse automaticamente inammissibili le richieste. L’assenza dei presupposti di legge ha quindi portato a una declaratoria di inammissibilità del ricorso, senza neanche entrare nel merito della posizione del condannato.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: i requisiti quantitativi per l’accesso alle Misure Alternative sono inderogabili. Un ricorso che non tenga conto di questi limiti è destinato a essere dichiarato inammissibile. La conseguenza non è solo il rigetto della domanda, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in questo caso fissata in 3.000 euro, alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza di verificare scrupolosamente la sussistenza di tutti i requisiti di legge prima di avviare un procedimento, per evitare esiti sfavorevoli e costi aggiuntivi.
È possibile ottenere misure alternative alla detenzione se la pena residua da scontare è superiore a quattro anni?
No, secondo l’ordinanza in esame, le misure alternative come l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare sono inammissibili se la pena da scontare supera il limite di quattro anni previsto dalla legge.
Cosa succede se un ricorso per ottenere misure alternative viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Quali sono i motivi per cui la Cassazione ha ritenuto il ricorso “manifestamente infondato”?
Il ricorso è stato considerato manifestamente infondato perché le richieste del ricorrente si scontravano palesemente con i limiti di legge. La pena da scontare era superiore a quattro anni, escludendo così l’applicabilità delle misure richieste, e inoltre non era stato espiato il quantum di pena necessario per la semilibertà.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6657 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6657 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIAZZA ARMERINA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 10/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole della violazione di legge dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. in relazione all’art. 678 cod. proc. pen. e degli artt. 27 e 32 Cost. – sono inammissibili in quanto manifestamente infondate.
Invero, il decreto di inammissibilità del Presidente del Tribunale di sorveglianza di Palermo non incorre in alcuna violazione di legge, risultando le misure alternative richieste dal ricorrente (affidamento in prova, detenzione domiciliare e semilibertà) inammissibili, poiché la pena da scontare è superiore ad anni quattro e in ogni caso il ricorrente non ha espiato il quantum di pena necessario per l’applicazione della semilibertà.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.