Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11621 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11621 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PESCARA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
rilevato, in linea generale, che l’affidamento in prova al servizio sociale, discipliNOME dall’art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, è una misura alternativa alla detenzione carceraria che attua la finalità costituzionale rieducativa della pena e che può essere adottata, entro la generale cornice di ammissibilità prevista dalla legge, allorché, sulla base dell’osservazione della personalità del condanNOME condotta in istituto, o del comportamento da lui serbato in libertà, si ritenga che essa, anche attraverso l’adozione di opportune prescrizioni, possa contribuire alla risocializzazione prevenendo il pericolo di ricaduta nel reato;
che il giudizio in merito alla ammissione all’affidamento si fonda, dunque, sull’osservazione dell’evoluzione della personalità registratasi successivamente al fatto-reato, nella prospettiva di un ottimale reinserimento sociale: è infatti consolidato, presso la giurisprudenza di legittimità, l’indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di affidamento in prova al servizio sociale, ai fini del giudizio prognostico in ordine al buon esito della prova, il giudice, pur non potendo prescindere dalla natura e gravità dei reati commessi, dai precedenti penali e dai procedimenti penali eventualmente pendenti, deve valutare anche la condotta successivamente serbata dal condanNOME» (Sez. 1, n. 44992 del 17/09/2018, S., Rv. 273985), in tal senso deponendo il tenore letterale dell’art. 47, commi 2 e 3, legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui condiziona l’affidamento al convincimento che esso, anche attraverso le prescrizioni impartite al condanNOME, contribuisca alla sua rieducazione ed assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati;
che, dunque, il processo di emenda deve essere significativamente avviato, ancorché non sia richiesto il già conseguito ravvedimento, che caratterizza il diverso istituto della liberazione condizionale, previsto dal codice penale (Sez. 1, n. 43687 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248984; Sez. 1, n. 26754 del 29/05/2009, COGNOME, Rv. 244654; Sez. 1, n. 3868 del 26/06/1995, NOME, Rv. 202413);
che, se il presupposto dell’emenda non è riscontrato, o non lo è nella misura reputata adeguata, il condanNOME, se lo consentono il limite di pena diversamente stabilito con riferimento alle varie ipotesi disciplinate dall’art. 47ter legge 26 luglio 1975, n. 354 – ed il titolo di reato, può essere comunque ammesso alla detenzione domiciliare, alla sola condizione che sia scongiurato il pericolo di commissione di nuovi reati (Sez. 1, n. 14962 del 17/03/2009, Castiglione, Rv. 243745);
che il fine rieducativo si attua, in tal caso, mediante una misura dal carattere più marcatamente contenitivo, saldandosi alla tendenziale sfiducia
ordinamentale sull’efficacia del trattamento penitenziario instaurato rispetto a pene di contenuta durata;
che, per quel che concerne la semilibertà – che attua la de-carcerazione solo parziale del condanNOME, ammesso a svolgere fuori dall’istituto, per parte del giorno, attività lavorativa (o altra attività risocializzante) – l’ammissione a relativo regime, pure ancorato a requisiti legali di pena, presuppone una prognosi favorevole, in relazione ai progressi trattamentali compiuti (o, comunque, allo svolto percorso di emancipazione dalla devianza), in ordine alla mera possibilità di un suo graduale reinserimento nella società, secondo quanto previsto dall’art. 50 legge 26 luglio 1975, n. 354;
che rientra nella discrezionalità del giudice di merito l’apprezzamento in ordine all’idoneità o meno, ai fini della risocializzazione e della prevenzione della recidiva, delle misure alternative – alla cui base vi è la comune necessità di una prognosi positiva, seppur differenziata nei termini suindicati, frutto di un unitario accertamento (Sez. 1, n. 16442 del 10/02/2010, Pennacchio, Rv. 247235) – e l’eventuale scelta di quella ritenuta maggiormente congrua nel caso concreto;
che le relative valutazioni non sono censurabili in sede di legittimità, se sorrette da motivazione adeguata e rispondente a canoni logici (Sez. 1, n. 652 del 10/02/1992, Caroso, Rv. 189375), basata su esaustiva, ancorché se del caso sintetica, ricognizione degli incidenti elementi di giudizio;
che, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza – preso atto della preclusione, stante l’entità della pena da espiare, alla detenzione domiciliare ha disatteso l’istanza di ammissione alle residue misure alternative sul rilievo che NOME COGNOME, pur tenendo un comportamento carcerario complessivamente corretto, non ha ancora manifestato sufficienti sintomi di positiva evoluzione della sua personalità, tali da attestarne la capacità di rispetto delle regole e l’effettiva volontà di reinserimento nel contesto sociale e lavorativo e che la donna è priva di solidi riferimenti familiari e di concrete opportunità lavorative;
che, a fronte di un giudizio scevro da vizi logici e saldamente ancorato alle emergenze procedimentali, la ricorrente si limita ad evidenziare le circostanze attinenti all’assenza di precedenti condanne e di ulteriori pendenze, alla palesata disponibilità a svolgere attività di volontariato ed al supporto offertole dall madre e dalla famiglia del compagno – che, a suo modo di vedere, attesterebbero la sussistenza delle condizioni per l’ammissione ad una delle misure alternative richieste;
ritenuto che la ricorrente si pone, a ben vedere, in un’ottica di mera confutazione, che non riesce ad individuare fratture logiche nel ragionamento sotteso alla decisione impugnata, incentrato sull’omesso avvio di un effettivo processo di emenda e, di conseguenza, sull’attuale inidoneità dell’affidamento in
prova al servizio sociale e della semilibertà a prevenire il rischio, concreto, di recidiva;
che il provvedimento impugNOME resiste, pertanto, alle censure difensive, quanto legittima manifestazione della discrezionalità riconosciuta al Tribunale sorveglianza in vista della delibazione dell’istanza della condannata che, n fattispecie, è stata rigettata sulla scorta di argomentazioni aliene da quals deficit di linearità o coerenza razionale;
che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione de causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favo della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso il 19/12/2023.