Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35836 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35836 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 10/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile l’istanza volta alla concessione della detenzione domiciliare e rigettato quella tesa all’affidamento in prova al servizio sociale, che erano state presentate da NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena di anni due e mesi quattro di reclusione, inflitta con la sentenza del Tribunale di Roma del 07/01/2022, relativa a reati di rapina aggravata commessi nel 2021, con fine pena fissato al 22/03/2026.
Ricorre per cassazione NOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per violazione di legge, in riferimento agli artt. 4-bis e 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché per illogicità della motivazione.
Il Tribunale ha fondato la decisione reiettiva esclusivamente sulla mancanza, da parte del condannato, di un processo di rivisitazione critica di quanto compiuto, desumendo ciò dalla mancata ammissione degli addebiti. I passaggi rilevanti dell’ordinanza, peraltro, sono identici a quelli contenuti nel provvedimento riguardante l’originario coimputato NOME COGNOME.
Dalla lettura della relazione redatta dall’equipe trattamentale del carcere di Rieti, però, non si evince tale mancata ammissione, potendosi solo leggere come la ricostruzione dei fatti sia stata difficoltosa, a causa della scarsa comprensione della lingua italiana, da parte del soggetto. L’equipe trattamentale stessa, una volta preso atto della situazione di difficoltà di comprensione linguistica nella quale versava il ricorrente, si è fatta assistere proprio dal coimputato sopra nominato, che ha svolto la funzione di interprete, in spregio alle incompatibilità dettate dall’art. 144 cod. proc. pen. Del resto, pure a prescindere dalla sussistenza di tale profilo di nullità, occorre ricordare che NOME COGNOME ha dei limiti linguistici esattamente analoghi a quelli del ricorrente, come del resto agevolmente desumibile già da quanto riportato nella allegata relazione di osservazione e programma di trattamento.
L’ordinanza impugnata, quindi, considera impropriamente il dato della mancata ammissione delle proprie responsabilità, da parte del condannato e, comunque, ignora i numerosi indici positivi, che avrebbero dovuto essere invece valorizzati, nell’apprezzamento inerente all’istanza ex art. 47 Ord. pen. (trattasi di soggetto residente in Italia da dodici anni; a carico del ricorrente non è emerso alcun collegamento con contesti criminosi associativi; NOME COGNOME, prima del fatto per il quale ha riportato la condanna in espiazione, lavorava
stabilmente, nella qualità di titolare di una tintoria ed ha, infine, uno stabile domicilio in Italia).
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimità, stante la marcata discrezionalità che connota la valutazione demandata al Giudice di sorveglianza, in tema di adozione delle misure alternative alla detenzione, incombe sul medesimo il dovere di basare la propria decisione – all’esito di un giudizio di tipo prognostico – sui risultati del trattamento individualizzato posto in essere nei confronti del condannato, sulla base dell’esame scientifico della personalità dello stesso. L’apparato argomentativo del provvedimento adottato deve dimostrare, attenendosi specificamente alla concreta fattispecie, l’avvenuta considerazione di tutti gli elementi previsti dalla legge, che siano stati richiamati a giustificazione dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza (Sez. 1, n. 2207 del 18/5/1992, Caltagirone, rv. 190628).
2.1. Si è ad esempio affermato, consequenzialmente, come – in tema di misure alternative – né i precedenti penali (nonostante tale dato rappresenti comunque un ancoraggio sicuro, dal quale muovere nell’effettuazione dell’analisi personologica), né le informative di polizia inerenti al vissuto criminale del condannato, possano rivestire una valenza autonoma ed esclusiva ed essere, in tal modo, sufficienti a legittimare un giudizio prognostico negativo, circa le prospettive di reinserimento nel contesto sociale; tale valutazione, invece, deve essere affidata, essenzialmente, alla valutazione approfondita dei risultati emersi dall’osservazione della personalità, con particolare riferimento alla condotta intramuraria e agli eventuali progressi conseguiti nel percorso trattamentale (Sez. 1, n. 6680 del 22/11/2000, Saias, Rv. 218314).
2.2. Censurabile è anche il provvedimento reiettivo di istanza di affidamento in prova al servizio sociale, che si limiti a un generico richiamo a “informazioni assunte”, ovvero che valorizzi in senso negativo la vita anteatta del condannato, per dedurne negativi lumi, circa la idoneità della misura (Sez. 1, n. 4483 del 27/10/1993, dep. 1994, Bonicoli, Rv. 195797).
La decisione reiettiva ora al vaglio del Collegio è fondata su una pluralità di considerazioni negative, tra loro perfettamente combacianti – ad avviso del
Tribunale di sorveglianza – nell’indicare come il condannato non sia, almeno allo stato, meritevole dell’invocato beneficio.
3.1. Nell’avversata decisione, infatti, si trova anzitutto il riferimento agli esiti ancora non soddisfacenti, raggiunti dall’osservazione scientifica della personalità del detenuto, che non si è evoluta verso modelli comportamentali socialmente accettabili. Viene sottolineata, altresì, la mancata rivisitazione in chiave critica del vissuto deviante, evidenziandosi anche la omessa espressione di una volontà realmente volta alla risocializzazione.
Non si manca di richiamare, infine, la recente commissione di una grave condotta criminosa contro la persona, fatto ritenuto evocativo della persistente pericolosità sociale del soggetto.
3.2. Per aggredire tale apparato motivazionale – lineare, coerente, privo di vuoti logici e del pur minimo spunto di contraddittorietà – la difesa spende deduzioni di carattere meramente assertivo e fattuale, non in grado di disarticolare l’impianto del provvedimento impugnato.
Giova precisare, poi, che il sistema processuale stabilisce il diritto dell’imputato a conoscere il contenuto di tutti gli atti di accusa, già nel procedimento che si svolge in sede di cognizione; l’esercizio di tale diritto, però, è regolamentato nell’ordinamento processuale, in modo da renderlo compatibile con le esigenze di certezza e celerità del processo e conforme ai principi relativi alla tipicità dei mezzi di impugnazione.
4.1. Con specifico riferimento, dunque, alla dedotta questione attinente alla mancata comprensione della lingua italiana, nonché alla denunciata nullità che sarebbe derivata – in ipotesi difensiva – dall’essersi avvalsa l’equipe trattamentale del carcere di Rieti dell’ausilio, nella veste di interprete, del connazionale e coimputato NOME COGNOME, questo Collegio si limita a richiamare il principio di diritto, al quale intende dare continuità, enunciato da Sez. 1, n. 34866 del 12/05/2021, NOME Bilal, rv. 281893, a mente della quale: «In tema di procedimento di esecuzione nei confronti di condannato alloglotta, il diritto di quest’ultimo alla nomina dì un interprete o alla traduzione degli atti è funzionale alle comunicazioni con il difensore finalizzate alla presentazione di richieste o memorie nel corso del procedimento, sicché grava sull’interessato l’onere di formulare apposita richiesta al giudice dell’esecuzione, evidenziando tale necessità».
4.2. La sopra riportata regola ermeneutica, fissata dalla Corte con riferimento al procedimento di esecuzione, è agevolmente mutuabile, con tutta evidenza, anche in relazione al procedimento di sorveglianza; il principio da applicare, quindi, è nel senso che il diritto – riconosciuto al condannato alloglotte
di ottenere l’assistenza di un interprete, è subordinato alla formulazione di una preventiva richiesta, da parte dell’interessato. Richiesta che, nel caso di specie, non risulta esser stata tempestivamente presentata.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 02 luglio 2024.