Misure Alternative e Radicamento Territoriale: Quando la Stabilità è la Chiave per la Libertà
Le misure alternative alla detenzione rappresentano uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per favorire il reinserimento sociale del condannato. Tuttavia, la loro concessione non è automatica, ma subordinata a una valutazione attenta da parte del giudice, che deve verificare la presenza di presupposti concreti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: senza un effettivo e verificabile radicamento sul territorio, la richiesta di affidamento in prova o detenzione domiciliare è destinata a fallire. Analizziamo il caso per comprendere meglio le ragioni di questa decisione.
I Fatti del Caso: Una Richiesta e un Diniego
Un uomo, condannato per reati legati alla normativa sull’immigrazione e sugli stupefacenti, si trovava a dover scontare una pena di oltre due anni di reclusione. Per evitare il carcere, ha presentato un’istanza al Tribunale di Sorveglianza chiedendo di essere ammesso a una delle misure alternative previste dalla legge: l’affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, la detenzione domiciliare. A sostegno della sua richiesta, ha documentato la disponibilità di un’attività lavorativa e ha indicato diversi domicili idonei a ospitarlo.
Nonostante queste premesse, il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato la sua istanza. La decisione si basava su un elemento di fatto decisivo: il condannato non era mai stato trovato presso le abitazioni indicate, risultando di fatto irreperibile. Questo, secondo il Tribunale, era un chiaro segnale di mancanza di radicamento sul territorio.
Il Ricorso in Cassazione: le Ragioni della Difesa
Contro la decisione del Tribunale, la difesa del condannato ha proposto ricorso per Cassazione. Il legale ha insistito sulla sussistenza dei requisiti per la concessione del beneficio, evidenziando nuovamente la presenza di un lavoro e di alloggi disponibili. Il ricorso mirava a dimostrare un vizio di motivazione nel provvedimento impugnato, sostenendo che il Tribunale non avesse valutato adeguatamente gli elementi positivi forniti.
Le motivazioni: le Misure Alternative Richiedono Certezze, non Ipotesi
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in pieno la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La motivazione della Suprema Corte è netta e si articola su due punti principali. 
In primo luogo, il ricorso si basava su censure di fatto. La difesa, infatti, non contestava una violazione di legge, ma la valutazione del Tribunale circa l’idoneità del condannato. Questo tipo di critica, definito “mera doglianza in fatto”, non è ammesso nel giudizio di Cassazione, che ha il compito di verificare la corretta applicazione delle norme e la logicità della motivazione, non di riesaminare le prove.
In secondo luogo, e questo è il cuore della decisione, la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza del tutto corretta e priva di illogicità. Il giudice di merito aveva sottolineato come, in passato, al soggetto fosse già stata revocata una detenzione domiciliare e respinta un’istanza di affidamento in prova proprio a causa della sua irreperibilità e del fatto che un contratto di lavoro allegato non si fosse poi concretizzato. La costante impossibilità di rintracciare il condannato presso i domicili da lui stesso forniti è stata considerata la prova lampante di un mancato radicamento territoriale, un presupposto essenziale per poter avviare un percorso di reinserimento fuori dal carcere. Le misure alternative, infatti, si fondano su un patto di fiducia tra lo Stato e il condannato, che deve dimostrare di avere punti di riferimento stabili (lavoro, casa, legami sociali) che possano essere monitorati e supportati dai servizi sociali.
Le conclusioni: l’Importanza di un Progetto di Vita Concreto
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione della pena: per accedere alle misure alternative, non basta presentare documenti o formulare promesse. È necessario dimostrare, con fatti concreti e verificabili, l’esistenza di un progetto di vita stabile e di un solido radicamento sul territorio. La mera indicazione di un domicilio o la prospettiva di un lavoro non sono sufficienti se la condotta complessiva del soggetto rivela instabilità e inaffidabilità. La decisione del giudice deve basarsi su una prognosi favorevole circa il percorso di risocializzazione, e tale prognosi non può che fondarsi su elementi certi e già consolidati nella vita del condannato.
 
Perché è stata negata la concessione delle misure alternative al condannato?
Le misure sono state negate perché il condannato, nonostante avesse indicato più abitazioni, non è mai stato reperito in tali luoghi, dimostrando un palese mancato radicamento sul territorio. Inoltre, una precedente misura era già stata revocata e un’altra istanza respinta per la sua irreperibilità.
Qual è il motivo principale per cui la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le critiche mosse dal ricorrente erano “mere doglianze versate in fatto”, cioè contestazioni sulla valutazione dei fatti da parte del giudice di merito. Questo tipo di censura non è ammesso nel giudizio di legittimità della Cassazione, che valuta solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.
Avere una proposta di lavoro è sufficiente per ottenere l’affidamento in prova?
No. Secondo questa ordinanza, la sola indicazione di un’attività lavorativa (peraltro risultata non ancora formalizzata) e di possibili domicili non è sufficiente se, nei fatti, il soggetto dimostra di non avere legami stabili e verificabili con il territorio, risultando di fatto irreperibile.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5795 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 5795  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milan ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME, soggetto condannato p violazione degli artt. 13 comma 13 digs. 25 luglio 1998, n 286 e 73 comma 5 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, commessi dal 2016 al 2018, con pena detentiva espianda pari ad anni due, mesi quattro e giorni ventotto di reclusione, ista finalizzata a ottenere la concessione dell’affidamento in prova al servizio soc ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero la detenzione domiciliare, ai s dell’art. 47 -ter Ord. pen.
 AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, impugna tale provvedimento, dolendosi della sussistenza del vizio ex art. 606, comma 1, let e) cod, proc. pen. e rappresentando come il condannato avesse reperito debitamente documentato la sussistenza di una idonea attività lavorativa, oltr precisare diversi domicili idonei allo svolgimento della misura alternativa.
Trattasi di censure non consentite in sede di legittimità, in quanto costit da mere doglianze versate in fatto. Dette critiche, altresì, sono merame riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – sec un corretto argomentare giuridico, privo di spunti di illogicità e contraddittor dal Tribunale di sorveglianza di Milano. Invero, nell’impugnato provvedimento si sottolinea come il condannato – nonostante l’indicazione di plurime abitazion non sia mai stato reperito in tali luoghi, così divenendo palese il suo man radicamento sul territorio. Evidenzia il Tribunale di sorveglianza, inoltre, come in precedenza sia stata revocata l’ordinanza di ammissione alla detenzio domiciliare e sia stata disattesa l’istanza di affidamento in prova al servizio so proprio sul duplice presupposto della irreperibilità del soggetto e del fatt l’allegato contratto di lavoro non risultasse formato. L’impugnazione, a front tale motivazione, spende unicamente argomenti assertivi e apodittici, non att scalfire la tenuta logica dell’avversata ordinanza.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versament una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.