Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16487 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16487 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Belvedere Marittimo il 6/7/1980
avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro del 19/9/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale M. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 19.9.2024, il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro ha provveduto su una richiesta di misura alternativa alla detenzione (affidamento in prova, detenzione domiciliare o semilibertà) di COGNOME NOMECOGNOME condannato alla pena residua da espiare di anni uno e mesi dieci di reclusione per reati in materia di sostanze stupefacenti (2019), evasione e resistenza a pubblico ufficiale (2021).
Il Tribunale di Sorveglianza richiama molteplici precedenti del richiedente per fatti commessi tra il 2012 e il 2020, dando altresì atto che, secondo l’informativa di pubblica sicurezza, il condannato è stato più volte controllato, almeno fino a marzo 2023, in compagnia di elementi controindicati e che è stato destinatario di avviso orale il 18.1.2024.
Secondo quanto rappresentato dall’UEPE, COGNOME che convive e ha una figlia, nell’ultimo anno è dipendente di una impresa di pulizia di cui è titolare la compagna e ha cercato di dare l’idea di avere avviato un timido percorso di revisione critica, giustificando il suo agito con la condizione economica e familiare; si è detto disponibile a svolgere un’attività di volontariato.
La conclusione dell’UEPE è che il condannato non ha avviato un percorso di revisione critica delle condotte antigiuridiche e che non mostra adeguata considerazione delle istituzioni; inoltre, sul piano personologico è emersa una personalità con tratti antisociali e una strategia di disimpegno morale con meccanismi di minimizzazione del comportamento e delle sue conseguenze. Infine, nell’esecuzione della pena COGNOME ha mostrato una incapacità di gestire le prescrizioni: in definitiva, l’equipe non ha ravvisato i presupposti necessari per la concessione della misura alternativa.
L’ordinanza perviene alla medesima conclusione, anche tenuto conto che i mezzi di conoscenza utilizzabili dal Tribunale sono i precedenti penali, le informazioni di polizia e i risultati dell’indagine socio-familiare. In questa prospettiva, lo svolgimento di un’attività lavorativa è solo uno degli elementi della valutazione da farsi, che richiede la dimostrazione dell’avvio di un percorso critico di revisione del passato. In difetto, l’istanza deve essere rigettata, anche perché COGNOME è da ritenersi attualmente pericoloso, tanto da avere ricevuto un avviso orale nel gennaio del 2024.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME articolando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il vizio di motivazione apparente in ordine al mancato accoglimento dell’istanza.
Censura che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza si basi sulla enunciazione di una serie di principi di diritto e non valuti specificamente le fonti di conoscenza, sicché non spiega nemmeno perché non sia possibile concedere almeno la detenzione domiciliare o la semilibertà.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il vizio di motivazione apparente dell’ordinanza per avere omesso la valutazione del rapporto tra le singole misure invocate e il pericolo di recidivanza.
Il Tribunale di Sorveglianza ha assimilato le tre misure e non si è confrontato con le diverse implicazioni delle singole misure sulla libertà del condannato, che avrebbe consentito una valutazione diversificata del rischio di ricaduta nel reato.
2.3 Con il terzo motivo, deduce la violazione del diritto di difesa, in quanto il difensore del ricorrente, nominato il giorno prima dell’udienza in luogo di
precedente difensore revocato, aveva chiesto un termine per preparare la difesa, che il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato con motivazione generica e apodittica, adducendo la mancanza dei presupposti.
Con requisitoria scritta trasmessa il 13.12.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, in quanto il Tribunale ha motivato puntualmente e coerentemente in ordine alle ragioni del rigetto, non essendo necessario argomentare distintamente per ciascuna delle misure richieste quando si sostiene la insussistenza dei presupposti minimi per accedere ad una qualsiasi delle misure alternative alla detenzione, e cioè del requisito della revisione critica del proprio operato. Il ricorso è generico e consiste in una mera critica di quanto congruamente affermato dal Tribunale di Sorveglianza sulla base del comportamento del condannato e delle risultanze dell’osservazione da parte della equipe medica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve, pertanto, essere disatteso.
Il primo motivo deduce genericamente il vizio di motivazione apparente, laddove invece il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro motiva adeguatamente in ordine ad una situazione obiettivamente sfavorevole all’istante, in cui l’unico elemento positivo sarebbe il lavoro, peraltro in una impresa di cui è titolare la compagna.
Per il resto, l’ordinanza impugnata mette in evidenza in modo più che congruo i numerosi altri elementi negativi per il ricorrente – i precedenti penali, i controll in compagnia di pregiudicati e l’avviso orale successivi ai reati per i quali si trova in espiazione di pena, la mancanza di revisione critica, il parere negativo dell’equipe, le sfavorevoli informazioni di polizia – che non consentono l’accoglimento dell’istanza.
In questo modo, il Tribunale di Sorveglianza ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui lo svolgimento di un’attività lavorativa è soltanto uno degli elementi idonei a concorrere alla formazione del giudizio prognostico favorevole al reinserimento sociale del condannato, che va valutato unitamente agli altri elementi riguardanti la personalità del richiedente.
Di conseguenza, del tutto ragionevolmente l’ordinanza impugnata ha ritenuto tale elemento recessivo rispetto a tutti gli altri dati disponibili, che legittimavano invece un giudizio prognostico ampiamente sfavorevole al reinserimento sociale del condannato.
2. Il secondo motivo è, a sua volta, infondato.
È vero che il Tribunale di Sorveglianza, pur partendo da una ricognizione dei presupposti degli “istituti invocati”, motiva specificamente, in sostanza, solo sull’affidamento in prova ai servizi sociali, ma lo fa evidenziando che la mancanza almeno dell’avvio di un processo di revisione critica non consente di ritenere assicurata la prevenzione del pericolo che l’istante commetta altri reati.
In questo modo, quindi, rende una motivazione tale da comportare anche il rigetto della detenzione domiciliare, il cui presupposto, ex art. 47-ter, comma 1bis, Ord. Pen., è comunque che la misura sia idonea ad evitare il pericolo che il condannato commetta altri reati, e della semilibertà, il cui presupposto, ex art. 50, commi 4 e 6, Ord. Pen., è che, in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, vi siano le condizioni per un graduale reinserimento nella società.
Sotto quest’ultimo profilo, non v’è dubbio che i progressi cui fa riferimento la disciplina della semilibertà devono consistere in un proficuo avvio del processo di revisione critica delle esperienze negative del passato, senza il quale evidentemente non v’è spazio per ritenere che il condannato possa gradualmente adattarsi al ritorno in società.
Di conseguenza, non è ravvisabile il vizio di mancanza di motivazione, in quanto dal tessuto argomentativo della ordinanza sono enucleabili le ragioni del rigetto integrale dell’istanza: il provvedimento indica le circostanze che hanno determinato il convincimento del giudice e comprova che gli elementi necessari per la decisione siano stati considerati.
Quanto al terzo motivo, la nullità invocata dal ricorrente – ovvero quella derivante dalla mancata concessione del termine a difesa prevista dall’art. 108 cod. proc. pen. – è una nullità generale a regime intermedio (in quanto attiene all’assistenza dell’imputato e non all’assenza del difensore), che deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., dal difensore presente – e, quindi, al più tardi, immediatamente dopo il compimento dell’atto che nega il termine o lo concede in misura che si sostiene incongrua – (Sez. 1, n. 13401 del 5/2/2020, COGNOME, Rv. 278823 – 01; Sez. 1, n. 11030 del 25/2/2010, COGNOME, Rv. 246777 – 01).
Nel caso di specie, risulta dal verbale dell’udienza, allegato al ricorso, che il difensore di COGNOME dopo il rigetto della richiesta di un termine per preparare la difesa, abbia concluso nel merito, insistendo per l’accoglimento dell’istanza di misura alternativa.
Di conseguenza, la eventuale nullità in questione non poteva essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione.
4. A quanto fin qui osservato, consegue, dunque, il rigetto del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 23.1.2025